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Green Paper di Assonime: perchè le imprese non investono? Troppo dipendenti dalle banche

Perché in Europa le imprese non investono? Perché si sta accumulando un enorme deficit di infrastrutture, nonostante i tassi di interesse non siano mai stati così bassi? Perché le banche non concedono più credito? Cosa è successo ai meccanismi che alimentano la crescita nel lungo periodo? Sono queste le domande che gravano sul futuro dell’Europa e a cui vuole rispondere una ricerca promossa da Assonime e dal CEPR, con il sostegno di Emittenti Titoli (Società presieduta da Luigi Abete) presentata oggi in un incontro presso l’Università Bocconi di Milano.

L’incontro è rivolto all’accademia e ai principali centri di ricerca per promuovere ricerche originali che aiutino a rispondere a questi problemi e a redigere un Rapporto finale con precise proposte operative. Il progetto ha finora prodotto un Green Paper (firmato da Alberto Giovannini, Colin Mayer, Stefano Micossi, Carmine di Noia, Marco Onado, Marco Pagano e Andrea Polo) che dimostra come i gravi problemi dell’Europa di oggi sono stati aggravati, ma non determinati, dalla crisi finanziaria. Dunque, le misure prese finora a Bruxelles o nelle singoli capitali sul filo delle emergenze che si sono aperte, non possono essere la risposta definitiva per evitare che l’Europa si avviti in un lungo processo di bassa crescita e quindi di decadenza. In particolare, il Green Paper dimostra che le imprese europee dipendono ancora troppo dal credito bancario e che l’Italia è il paese in cui questa distorsione è più evidente perché la struttura industriale è troppo sbilanciata verso la piccola e media dimensione, priva di vere alternative al tradizionale prestito. Dunque, a differenza di altri paesi, in Italia il mercato finanziario non ha potuto controbilanciare gli effetti del credit crunch.

Inoltre, la situazione finanziaria delle imprese è cambiata profondamente negli anni della crisi, accentuando vari elementi di debolezza e soprattutto aprendo un solco sempre più ampio fra quelle più robuste e quelle più fragili, che ovviamente stentano ormai ad ottenere credito addizionale. Ciò significa che il credit crunch non è solo determinato da fattori di offerta, cioè dal comportamento delle banche, ma anche da fattori di domanda. I dati del Green Paper dimostrano che il primo tipo di fattori è stato quello prevalente nei momenti più acuti della crisi (fortunatamente ormai alle nostre spalle) ma che successivamente il secondo ha assunto sempre maggior peso. E ancora: le imprese europee (e italiane in particolare) sono poco patrimonializzate, anche perché troppo riluttanti alla quotazione azionaria. Alla base vi è un timore eccessivo ad aprire la proprietà azionaria, dunque un problema generale di governance, che fa prevalere i vantaggi a breve del controllo su quelli a lungo della crescita dimensionale.

Ma la crisi ha dimostrato che la miopia delle scelte aziendali non è limitata alle piccole e medie imprese: è un problema più generale che ha colpito le banche, che hanno privilegiato risultati a breve sulla solidità; ha colpito i mercati finanziari, oggi dominati da scambi che avvengono nello spazio di un battito di ciglia; ha dominato gli investitori istituzionali, che hanno ridotto decisamente l’orizzonte dei loro investimenti.

Colin Mayer, che ha curato il Green Paper, ha scritto in un suo recente libro che l’impresa ha tradito la sua naturale vocazione a crescere e ad investire, nel lungo periodo. Le ricerche che il seminario in Bocconi sollecita devono aiutare a capire perché ciò è potuto accadere e dunque ad identificare strumenti finanziari, forme contrattuali, soluzioni istituzionali per il futuro.


Allegati: Restarting European Long-Term Investment Finance.pdf

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