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Francesco Apreda, cucina di tradizione con memorie di viaggio

Scampia, luogo simbolo di tutto il degrado e l’orrore di Napoli, con il suo record del più alto tasso di disoccupazione d’Italia ma anche della più degradata criminalità di quartiere, che ha ispirato a Saviano l’humus narrativo della sua Gomorra, era lì a due passi da Miano, nella periferia nord di Napoli. E dall’altra parte c’era Secondigliano, altro regno incontrastato della Camorra che qui detta legge di territorio.  A Miano Franceso Apreda, era nato nel gennaio del 1974, anni in cui i clan di Scampia e di Secondigliano si facevano guerra aperta.  Sembrava di stare a Beirut. Suo padre, impiegato di banca, non se l’era sentita di far crescere i figli in quell’abisso di umanità che avrebbe potuto pesantemente condizionare il loro futuro e, affrontando il coraggio a due mani, un giorno prese la famiglia e la caricò su un’auto.  Scappò da quell’orrore, abbandonando tutto e si trasferì nella più tranquilla e più a dimensione umana, Formia, cittadina balneare nel Golfo di Gaeta, costringendosi a fare quotidianamente la spola con Miano per mantenere il posto di lavoro. Così  facendo segnò il destino di suo figlio Francesco, un ragazzo mite, senza grilli per la testa, educato secondo sani principi, mai un tono di voce sopra le righe, sempre incline al sorriso. Insomma uno che a Miano avrebbe vissuto in una perenne condizione di soggezione e disagio ambientale anche se a Miano ha sempre continuato a pensare con l’affetto che si porta comunque per la città dove hai vissuto i primi anni della tua vita, così come ha continuato a pensare ai suoi amici che ha sentito sempre vicini, ai parenti che continuano a vivere lì.

Il ragazzo non aveva ben chiaro cosa avrebbe fatto da grande ma Formia, nota fin dai tempi dei romani per la dolcezza del suo clima e la bellezza del suo mare, si trovò immerso in un contesto turistico che aveva sviluppato nel tempo una notevole attività alberghiero – ricreativa. Insomma fra alberghi e ristoranti a Formia non è difficile trovare un impiego. Francesco a 14 anni fa la sua prima esperienza di lavoro presso una panetteria a San Felice Circeo. Poi, così per curiosità ma anche perché la cucina gli piace, si iscrive alla scuola I.P.S.S.A.R. di Formia. Arriva a corso iniziato, ma mette a frutto i racconti di lavoro del padre, dello zio chef executive all’Excelsior di Sorrento, e anche del nonno che aveva lavorato da garzone in cucina. E recupera la distanza dai suoi compagni di scuola. E a 17 anni prende il diploma Tecnico per le Attività Alberghiere, con qualifica di Chef. In quei tre anni di scuola Apreda scopre un mondo che lo affascina e assorbe tutti i suoi pensieri. La cucina diventa per lui un luogo di viaggi, prima interiori, alla scoperta di sensazioni nuove all’interno delle tradizioni gastronomiche della sua terra – che ne ha così in abbondanza da poter soddisfare una vita di scoperte continue – ma poi di viaggi veri e propri perché l’ansia di scoprire nuovi mondi di gusto gli è entrata nel sangue. A 19 anni, lascia Formia. Bussa all’Hassler di Roma, non una cosetta da poco, un albergo di lusso che ha un ristorante mozzafiato su una delle terrazze più spettacolari di Roma, affacciato sulla celeberrima scalinata di piazza di Spagna. Ha voglia di vedere, osservare, imparare. Chiede ed ottiene di poter lavorare come Commis. E’ il primo gradino in cucina, deve stare sempre agli ordini del capo partita per pulire le verdure, preparare le salse, sbattere le uova, preparare i legumi, pelare le patate.  Per un anno Francesco guarda ed esegue tutto alla perfezione si mette in vista per la tua voglia di rendersi utile, e viene promosso capo partita, è responsabile di un settore, predispone le preparazioni.

Ma dopo un anno quello che doveva assorbire e imparare l’aveva fatto e la voglia di viaggiare era tanta.  Con una buona dose di coraggio misto a incoscienza saluta, ringrazia e vola a Londra. La sua audacia viene premiata. Grazie a un suo ex compagno di scuola, Maurizio Morelli, che si è fatto conoscere a Londra per aver ottenuto insieme  a Stefano Cavallini una stella Michelin al ristorante italiano aperto presso il prestigioso The Halkin Hotel in Belgravia, la zona più lussuosa della città, riesce a farsi accettare dal raffinato ristorante Le Gavroche in Myfair guidato da Michel Roux, due stelle Michelin. Una scuola severa, dove il rigore della cucina sposa sovente l’originalità, così severa che quando si presentò il primo giorno al lavoro fu rimandato a casa perché la sua giacca non era ben stirata.  Ma li convinse tutti rispondendo al momento del colloquio alla domanda: «Se un cuoco ti tira una pentola come reagisci? Mi scanso e continuo a fare il mio lavoro».  Figurarsi se uno che viene da Miano poteva mai impaurirsi per una pentola che vola…

Da qui sale tutti i gradini professionali. Poco dopo eccolo sous chef all’Ibla, e successivamente mettere il cappello da Chef al Green Olive ristorante ritenuto “Bib Gourmants” nella guida Michelin. Ha bruciato le tappe ed altre ne brucerà. Roberto Wirth, proprietario dell’Hassler non ha mai smesso di seguire da lontano Apreda nei cinque anni londinesi e quando va a Londra non manca di fermarsi in uno dei suoi ristoranti dove può verificare come l’ex Commis sia cresciuto e abbia maturato una dimensione di grande caratura. Ne è così convinto che lo chiama e gli propone di andare a Tokyo per lavorare come Chef del ristorante italiano di sua proprietà Cicerone all’interno dell’Imperial Hotel di Tokio, un albergo di fine ottocento dell’aristocrazia giapponese costruito originariamente sui fossati del palazzo reale poi ampliato con altri corpi moderni.

Francesco non ci pensa su due volte, l’ansia della scoperta di nuovi mondi morde sempre. Il tempo di parlarne con la fidanzata Marilena che poi diventerà sua moglie, e su due piedi risponde sì a Wirth.  In Giappone la sua cucina di tradizione italiana sposa l’affascinante mondo della raffinata cultura gastronomica nipponica, Apreda scopre un nuovo mondo di sapori, di aromi, impara ad apprezzare l’integrità degli alimenti e le caratteristiche che li contraddistinguono, apprende nuove tecniche di cottura, capisce l’importanza di combinare le materie prime introducendo nel piatto armonie di forme e di colori. E’ una tipologia di cucina elegante che gli si prospetta davanti agli occhi oltre che al palato.  Ma la cosa più importante è che tutti questi principi gli fanno riscoprire anche i significati e sapori veri di tanti piatti della cucina di tradizione italiana.

Intanto a Roma Roberto Wirth sta pensando di dare al ristorante dell’Hassler una dimensione gastronomica internazionale. Sono passati cinquant’anni dall’’apertura del primo ristorante panoramico di Roma.  Oscar Wirth, il padre, nel 1956 sorprendendo un po’ tutti, aveva inaugurato l’allora “Roof Restaurant” all’ultimo piano dell’albergo. Decisione audace perché all’epoca tutti i ristoranti di prestigio degli alberghi romani erano collocati al primo piano “nobile”.  Il figlio Roberto, vuol dare una sua impronta sia all’albergo, che ha ospitato nella sua storia Kennedy, Grace Kelly, Audrey Hepburn, Igor Stravinskji, Picasso, Gabriel Garcia Marquez, Ingrid Bergman, la principessa Diana, e più recentemente Steve Jobs, Bill Gates, Tom Cruise, Madonna e tanti altri, ma soprattutto al ristorante. Medita in pratica una nuova inaugurazione dopo avere effettuato un completo restyling del locale. Si mette all’opera in prima persona, con l’Interior Designer Astrid Schiller. Ma richiama dal Giappone Apreda perché dia il suo contributo tecnico-gastronomico, dal momento che sarà lui il nuovo Chef del lussuoso ed esclusivo ristorante che si chiamerà Imàgo, come immagine, come immaginazione, come evocazione di mondi lontani.  Nella cucina del nuovo ristorante Apreda riverserà tutte le sue esperienze, quelle della sua tradizione napoletana, quelle di alta cucina inglese, quelle della raffinata cucina nipponica e anche quella della colorata e speziata cucina indiana, l’ultima sua scoperta dopo che Wirth lo ha incaricato di curare anche due ristoranti che gestisce a Mumbai e a Nuova Delhi.

Wirth aveva visto giusto quando aveva puntato tutte le sue carte sul giovane chef napoletano affidandogli a 29 anni le cucine del suo ristorante. In men che non si dica Apreda svetta sul panorama nazionale, la Guida del Gambero Rosso gli assegna tre forchette il massimo riconoscimento, arriva poi la consacrazione della guida Michelin che nel 2009 gli appunta una stella sempre confermata fino ad oggi, contemporaneamente Imago viene annoverato fra i “Top 95 ristoranti” nella Conde Nast Traveler’s Hot List.

Un pensiero di Andrej Tarkovskij il grande regista sovietico di Nostalghia recita: ”In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l’uomo un viaggio simbolico. Ovunque vada è la propria anima che sta cercando. Per questo l’uomo deve poter viaggiare”. Sembra scritta apposta per significare come Apreda si rapporti con la sua cucina, quella voglia di errare per il mondo altro non è che una continua ricerca di nuove soluzioni, di nuovi sapori, di nuove combinazioni, di voglia di entrare nell’anima di una cucina, che resta di fondo quella di tradizione italiana e campana, che sappia esprimere i suoi più reconditi sapori. Ma nel contempo di soddisfare anche la propria ansia di nuovo, per una cucina che, come ha scritto la Guida dei ristoranti italiani de L’Espresso, non rassomiglia a nessun altra.  La ricetta che propone a First&Food nasce da questa curiosità costante che lo anima sa sempre, da un viaggio in India che gli ha fatto conoscere un tipo di cardamomo nero dell’Himalia, abbrustolito, che non nulla a che vedere con quello verde comune.  Apreda rimaste stupito da un sapore del tutto differente rispetto agli altri fino a quel momento conosciuti. Tornato a casa, volle provarlo, aveva  pronti dei pomodori gialli, un provolone di un affinatore di Formia, aveva soprattutto il ricordo di un risotto che la mamma faceva quando era piccolo a Miano, un risotto bianco con una ‘mescolata’ di pomodoro sopra, e da quel ricordo di viaggio e da quel ricordo di storia familiare nacque un piatto in cui oriente e occidente si sposano in un mix di straordinari sapori. E’ proprio vero, come dice lo scrittore svedese Jan Myrdal: “Viaggiare è come innamorarsi: il mondo si fa nuovo…”

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