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Formaggi: il Caciocavallo podolico vuole essere DOP

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Dopo la mozzarella di Gioia del Colle un altro formaggio del Sud d’Italia aspira ad ottenere il prestigioso riconoscimento, è il caciocavallo podolico, formaggio tipico del Mezzogiorno che riporta all’antica tradizione della transumanza e a una tradizione casearia comune a Basilicata, Calabria, Campania e Puglia.

Le associazioni degli allevatori di queste quattro regioni, con il supporto del Dipartimento qualità agroalimentare (Dqa), si sono riunite a Potenza per condividere un percorso che possa portare al riconoscimento della denominazione di origine protetta per questo particolare tipo di formaggio.

La richiesta del caciocavallo podolico segue di poco quella avanzata per la “Spressa delle Giudicarie”, formaggio magro da tavola del Trentino occidentale e in parte della provincia di Brescia, uno dei più antichi formaggi della montagna alpina che un tempo veniva prodotto in modo artigianale nei masi, prima di trasferire le vacche all’alpeggio, Spressa era infatti sostanzialmente un prodotto “residuale”, i contadini e i casari cercavano di ricavare dal latte la maggiore quantità possibile di burro, ben pagato dal mercato locale. Ciò che rimaneva era utilizzato per la produzione di un formaggio povero, il cui consumo era riservato quasi esclusivamente alla famiglia del contadino. La denominazione “Spressa” deriva dalla voce dialettale “spress”, ossia la massa rappresa spremuta.

Il caciocavallo podolico – è scritto in una nota dell’Ara (Associazioni regionali allevatori) di Basilicata – “è una rinomata eccellenza casearia che può rappresentare il punto da cui far ripartire l’intero comparto zootecnico del Mezzogiorno, soprattutto nel settore dell’allevamento condotto al pascolo”.

Si tratta di un formaggio a pasta filata da latte bovino, proveniente da mucche esclusivamente di razza podolica e comunque da allevamenti bradi o semibradi, con alimentazione basata principalmente sul pascolo.
La lavorazione prevede esclusivamente latte bovino locale, caglio naturale bovino o caprino, sale. Il latte crudo viene riscaldato fino a 36°37° C quindi si procede con l’aggiunta del caglio cui segue la rottura della cagliata che viene poi messa a scolare su larghi teli di lino in attesa della maturazione ed acidificazione. Si prosegue quindi al taglio della cagliata a mano con coltelli di acciaio e all’aggiunta del siero bollente. A questo punto la filatura avviene a mano con l’ausilio di mestoli di legno. Ultime fasi sono la formatura a mano, la salatura in salamoia, la legatura e la stagionatura.

La richiesta della DOP per questo formaggio di antiche origini, punta a valorizzare il territorio e garantire maggior possibilità di guadagno agli stessi allevatori con particolare riguardo ai giovani che possono essere stimolati a trovate occupazione nelle attività casearie concepite come  un ambiente propositivo e innovativo, che si ritiene possa essere preso a modello di un modus operandi da replicare anche per altri progetti.

Questo percorso è tra l’altro in linea con le nuove richiesta del mercato, il prodotto ben soddisfa i criteri di benessere animale, l’integrazione con forme di turismo ecosostenibile, il richiamo alle più antiche tradizioni agropastorali come la transumanza.

E’ da rilevare a questo proposito che un gruppo di studiosi dell’Università di Milano ha dimostrato, nell’ambito del progetto Strength2Food, che i prodotti a indicazione geografica (DOP e IGP) fanno da “traino” per le esportazioni di prodotti alimentari della stessa tipologia, anche se non protetti dal marchio di qualità.

Come si è detto il latte proviene dalle mucche di razza podolica, una razza che secondo una versione largamente accreditata sarebbe stata importata in Italia anticamente dalle steppe della Podolia (in Ucraina), ad opera degli Unni nel 452 d.C. o dei romani, i quali l’avrebbero importata anche a Creta.

Secondo altre fonti, invece, avrebbero da sempre popolato la penisola italica

Tuttavia la razza, per quanto non minacciata di estinzione, ha subito un consistente declino, dovuto alla meccanizzazione dell’agricoltura che ha reso obsoleto l’uso da tiro, e all’urbanizzazione e all’esodo dalle aree rurali/montane. Da una consistenza stimata in 630.000 esemplari dall’Atlante Etnografico delle popolazioni bovine allevate in Italia del 1983, la popolazione di podolica ha conosciuto, secondo dati FAO del 2002, una diminuzione pari all’80%.

Di fatto, la razza podolica è frutto di un processo millenario di adattamento agli ambienti delle aree meridionali del Paese, ai suoi boschi, alle sue macchie. La consistenza dei capi in quest’area del mediterraneo è di circa 130.000 capi, presenti, in particolare, in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, e Puglia.

La razza viene allevata per la produzione di carne e per il latte, e per la resistenza al freddo perché è una razza che sta sempre allo stato brado, da quando nasce fino alla sua morte. Viene pascolata durante inverno nei boschi a bassa quota e il resto dell’anno nelle montagne da 800 metri a salire. La transumanza dei bovini, fa spostare gli esemplari da un luogo ad un altro. Ad ogni bovino viene attribuito un nome e viene appesa al collo una campana per indicarne la presenza anche a distanza.

La vacca podolica è stata inclusa tra le razze da carne. L’interesse del bovino podolico è andato man mano crescendo sino alla creazione del libro genealogico. Nel 1988 ci fu la prima Mostra nazionale del bovino iscritto al libro genealogico della razza podolica e nel 1996 è stato inaugurato il Centro genetico della Podolica dell’Associazione Nazionale Allevatori Bovini da Carne, (ANABIC) a Laurenzana (Potenza). Il centro ha migliorato la genetica della razza fino a iscrivere quasi più di 500 torelli per la riproduzione di capi per la genetica. I capi in Italia sono circa 130.000.

La podolica deve pascolare praticamente tutto l’anno, non sopporta gli spazi ristretti delle stalle – la sua carne è sapida e ricca di vitamine e sali minerali. L’elevato contenuto di carotene dona al grasso un colore leggermente giallognolo: proprio per questo motivo e per la consistenza delle carni, più tenace (se non sono adeguatamente frollate) rispetto a quelle degli altri bovini alimentati a cereali, non è apprezzata come merita. I suoi ritmi di accrescimento sono inoltre più lenti di quelli riscontrati in altre razze allevate in modo intensivo.

La quantità di latte prodotto in brevi periodi dell’anno è di circa 15 kg al giorno con un tenore di grasso del 4,50% e proteine del 3,60%. Il latte viene trasformato in formaggi a pasta filata molto pregiati (come il Caciocavallo podolico poiché conferisce al prodotto qualità organolettiche di particolare gradimento da parte del consumatore. La carne è di buona qualità, presenta una sapidità tipica di questa razza ed un grasso giallognolo che conferisce ai tagli una scioglievolezza particolare ed aromatica dovuta alle essenze contenute nei foraggi con cui vengono alimentati i vitelli all’ingrasso. Il grasso di marezzatura è sporadico.

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