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Fed contro inflazione, chi vincerà? Per il premio Nobel, Edmund Phelps, difficile dirlo oggi

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Il rischio è quello di trovarsi nei prossimi mesi dentro ad una tempesta perfetta. L’inflazione provocata dall’aumento dei costi energetici e delle materie prime continua a correre inesorabile, mentre le banche centrali stanno organizzando una strategia di aumento dei tassi più rapida del previsto. Nel mondo post pandemia, la cassetta degli attrezzi monetari per arginare l’inflazione potrebbe tuttavia non garantire risultati azione-effetto così deterministici. Soprattutto se l’aumento dei tassi dovrà comunque evitare di soffocare la crescita economica.

Per decifrare un dilemma così complicato non ci sono molti uomini al mondo che vengono interpellati per dare consigli ai governatori centrali. Tra questi c’è sicuramente Edmund Phelps, premio Nobel nel 2006, professore emerito di economia e direttore del “Center on Capitalism and Society”. Per i suoi studi sull’equilibrio tra inflazione e disoccupazione ormai più di quindici anni fa aveva ottenuto il più importante riconoscimento mondiale per un economista. Dal suo ufficio di New York, all’interno del campus della Columbia University, sta promuovendo la sua ultima fatica letteraria, “Dynamism”, un saggio sugli effetti dell’innovazione collegata alla crescita economica. Ma Phelps, come detto, oltre agli studi sull’innovazione rimane una delle voci più autorevoli al mondo in tema proprio di inflazione.

Pochi giorni fa la giornalista Vonnie Quinn, in un’intervista su Bloomberg Radio, ha interrogato il professor Phelps sulle tante incertezze che si stanno sommando sulle aspettative di inflazione e sulle capacità delle banche centrali di essere ancora le grandi “normalizzatrici” dei cicli economici. In questo scenario di incredibile incertezza, nemmeno il massimo studioso al mondo di inflazione ammette di avere le coordinate precise per prevedere cosa potrebbe succedere nell’economia globale da qui ai prossimi mesi.

L’economista neokeynesiano afferma che ci sono somiglianze importanti con gli anni Sessanta, ma che ogni iperinflazione è un evento contrassegnato da variabili particolari. E ancora: nemmeno la politica monetaria americana detiene strumenti infallibili per evitare il peggioramento dell’inflazione e addirittura una prospettica spirale di recessione. Sull’orizzonte del medio termine, Phelps sostiene che in generale è comunque abbastanza probabile che non andremo incontro ad un periodo di alta inflazione duratura. Ma, ed è questa parola che dà il senso dell’incertezza sul futuro della spirale dei prezzi, una situazione così complessa non può essere circoscritta in nessun scenario ben preciso.

Nello specifico, una ripartenza post pandemia “azzoppata” da una dinamica di iperinflazione potrebbe infatti sconvolgere tutti i piani di ripresa negli Usa e nell’Unione Europea, nonostante la spinta poderosa all’economia reale che dovrebbe arrivare dal piano Biden per gli investimenti e dall’utilizzo dei fondi del Next Generation.

Per Edmund Phelps, nessun “economista professionista” è oggi in grado di rilasciare certezze sul fatto che ci stiamo dirigendo verso un peggioramento dell’inflazione o se invece la politica monetaria, nello specifico quella della Fed, riuscirà nel suo obiettivo di depotenziare la dinamica inflattiva. Le cause dell’aumento dei prezzi sono quelle sul banco degli imputati da mesi, non c’è nessuna “causa nascosta” anche per Phelps.

Il Covid e i suoi effetti sul gioco domanda-offerta di beni, la contrazione della forza lavoro e la congestione nei principali porti del mondo che ha rallentato la normale circolazione delle merci (i cosiddetti “colli di bottiglia”). E infine, il colpo del ko sferrato dall’enorme domanda aggregata proveniente dalla spesa pubblica.

Per concludere: non sarà solo l’inflazione la bestia nera dei governatori centrali e delle economie occidentali perché, come ha ribadito nell’intervista radiofonica l’economista originario da Evanston nell’Illinois, prima o dopo bisognerà anche fare i conti con il dilemma della produttività (persa). Lasciando da parte la parentesi della rivoluzione informatica, avvenuta nella Silicon Valley tra il 1995 e il 2005, l’Occidente non riesce a rialzarsi da una produttività molto lenta e da una crescita comunque stagnante (anche quest’ultima previsione non rientra certo tra i moltiplicatori dell’ottimismo economico). La produttività e la crescita sostenuta, profetizza Phelps, arriveranno solo dall’impulso di alcuni settori ristretti dell’economia: il comparto tecnologico e l’informazione. Saranno progressi addirittura sorprendenti e straordinari. Ma cosa faranno per il Pil e i salari? Non credo che faranno molto, risponde l’economista della Columbia University.

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