X

Clima, doppio allarme. Scompare il satellite anti-metano e l’idrogeno rischia il flop

Foto di Alan Frijns da Pixabay

Più armi alle guerre, meno armi contro il disastro climatico, che ci regala nuove inquietanti notizie. Si è perso nello spazio il satellite MethaneSat, che nel suo primo promettente anno di vita operativa aveva rivelato una cruda verità: le emissioni dannose per l’effetto serra causate da metano sono molte di più, addirittura un multiplo, di quello che si pensava. Un disastro, perché il satellite, lanciato con il contributo di colossi hi-tech come il magnate di Amazon Jeff Bezos e Google, aveva il compito di scrutare le aree terrestri più critiche per le emissioni guidandoci sui possibili rimedi. Seconda sgradevole notizia: l’idrogeno, sul quale molti confidano come vettore energetico del futuro e sicuro protagonista nella mobilità per alimentare direttamente il ciclo dei motori elettrici, non è pulito. Inquina eccome. Nel suo ciclo di produzione, di stoccaggio, di trasporto.

Lo scenario spaventa davvero. Con nuovi segnali d’allarme che dalla salute si spostano perfino sul fronte dell’economia e dei vincoli allo sviluppo, proprio mentre il mondo sembra curiosamente preda di una deriva negazionista nelle parole e nei fatti, appena confermata dall’uscita ufficiale dell’America di Trump dagli accordi sul clima di Parigi.

Satellite “anti-metano”: un anno di allarmi e nulla più

MethaneSat si è rivelato ben più utile di quel che si pensava. Lanciato nel marzo dello scorso anno dall’Ong Environmental Defense Fund (EDF) ha letteralmente gelato l’immagine di un gas considerato la transizione ideale, in sostituzione del petrolio e del carbone, verso un uso più pulito dell’energia all’insegna delle rinnovabili e magari del nuovo nucleare. Poche illusioni. Il metano inquina forse un po’ meno dei suoi concorrenti nel mondo degli idrocarburi ma i dati reali forniti dalla breve vita di MethaneSat alzano non poco l’allarme, peraltro già lanciato da numerosi centri di ricerca e dalla stessa Commissione Ue.

In una proiezione ai prossimi vent’anni il metano ha un potenziale di riscaldamento globale 84 volte più rilevante di quello della CO2, anche perché le emissioni disperse nei bacini di produzione del Nord America e dell’Asia centrale, sulle quali si è concentrato il focus del satellite, sono molto più elevate di quanto stimato fino all’anno scorso: in Texas sono fino a cinque volte superiori, nel Caspio meridionale oltre 10 volte.

Dalla metà del maggio scorso MethaneSat non risponde. I suoi artefici tagliano corto: indagini sono in corso, in ogni caso il satellite ”probabilmente non sarà più recuperabile”. Tutto perso? Non tutto. Molto lavoro è stato fatto e i dati raccolti dal satellite sono e saranno preziosissimi. “Abbiamo acquisito informazioni cruciali sulla distribuzione e sul volume di metano rilasciato dalle aree di produzione di petrolio e gas, sviluppando una capacità senza precedenti di interpretare le misurazioni dallo spazio e tradurle in volumi di metano rilasciato. Una capacità preziosa per altre missioni”.

La Ong promette di tener fede alla sua anima. “Collaboreremo con partner in tutto il mondo per sfruttare gli algoritmi e il software associato, perché il mondo abbia accesso a dati fruibili e di alta qualità”. Nel frattempo “continueremo a elaborare i dati recuperati dal satellite e nei prossimi mesi pubblicheremo ulteriori immagini delle emissioni su scala regionale derivanti dalla produzione globale di petrolio e gas”.

Idrogeno, un finto amico pronto ad ingannarci

A disorientare l’opinione pubblica furono persino i guru mediatici dell’economia ambientale. Uno per tutti: Jeremy Rifkin. Leggendo i suoi saggi si rischia di cadere in trappola. L’idrogeno fonte energetica del futuro in grado di salvare l’umanità? È sufficiente qualche rudimento elementare di chimica o di fisica per capire che l’idrogeno non è una fonte, non si trova in natura. Per farne quello che realmente può essere, ovvero un utile vettore energetico, bisogna crearlo da altre fonti: con l’elettrolisi effettuata con l’elettricità prodotta da fonti rinnovabili o, come oggi va ancora per la maggiore, bruciando idrocarburi. Che inquinano.

Bene, direte. Basta “crearlo” tutto con le rinnovabili e il gioco è fatto. Idrogeno al posto del gas, idrogeno per allestire pile a combustibile che alimentano direttamente i motori elettrici delle auto. Invece no. Rischia di ingannarci come gas, o peggio. Con emissioni indirette fino a sei volte superiori alle stime e danni da effetto clima da otto a 13 volte più alti di quelli della CO2 nei prossimi 100 anni. Anche perché combinandosi con il metano ne amplifica gli effetti nefasti. Lo si ricava da un paio di report internazionali che analizzano le emissioni dell’idrogeno non nei suoi utilizzi finali ma, più correttamente, lungo l’intera filiera della sua produzione, stoccaggio, trasporto, utilizzo. Cosa che – va sottolineato – andrebbe sempre fatta. Un esempio per tutti: il “ciclo” dell’auto elettrica e delle sue componenti.

Gli studi che citiamo sono quelli realizzati dalla stessa EDF (Environmental Defense Fund) a cui si deve la missione purtroppo abortita di MethaneSat che fa peraltro seguito, confermandoli in pieno, a molti altri studi tra i quali quello realizzato da un team di ricercatori delle università britanniche di Cambridge e di Reading.

Lungo il suo ciclo di vita molto idrogeno, viene sottolineato nello studio EDF realizzato in collaborazione con istituti universitari e perfino aziende petrolifere, sfugge nell’atmosfera. E quando lo fa non è un gas neutro. Reagisce con il radicale OH prolungando la vita del metano disperse generando ozono nell’alta atmosfera, uno dei principali fattori di riscaldamento climatico. Questa la prima secca conclusione delle rilevazioni EDF, partite nel marzo scorso per concludersi presumibilmente nella metà del prossimo anno, sull’intera filiera che va dai siti di produzione alle infrastrutture trasporto fino le stazioni di rifornimento (poche, per la verità) in Nordamerica e Europa.

Conclusioni analoghe erano già venute dai ricercatori inglesi. Che rilanciano un sonoro monito: solo se l’idrogeno viene prodotto, stoccato e distribuito in modo davvero pulito può garantire i suoi rilevanti vantaggi teorici sul versante climatico, non solo per ridurre le emissioni di anidride carbonica e metano, i due principali imputati delle emissioni che creano l’effetto serra, ma anche per ridurre le altre missioni direttamente inquinanti, come il monossido di carbonio (CO), i composti organici volatili (VOL) e i micidiali ossidi di azoto (i Nox, al centro tra l’altro del celeberrimo scandalo “dieselgate”).

Peccato che nel 2022, anno di riferimento per i puntigliosi rilievi effettuati per allestire lo studio, circa il 95% dell’idrogeno venisse prodotto nel mondo utilizzando combustibili fossili, e solo una minima parte era ottenuta dall’elettrolisi dell’acqua, utilizzando peraltro grandi quantità di energia elettrica anch’essa prodotta con il ricorso a combustibili fossili. Negli ultimi tre anni qualcosa è cambiato? Poco, pochissimo, sottolineano gli esperti.

Related Post
Categories: Tech