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Censis: Italia “sciapa e infelice”, ma la classe dirigente sfrutta la crisi

La società italiana è “sciapa e infelice”: un vero e proprio crollo “non c’è stato”, ma “troppe persone scendono nella scala sociale”. E’ quanto sottolinea il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, nelle considerazioni generali del 47esimo rapporto sulla situazione sociale del Paese.

Nel suo studio, il Centro studi investimenti sociali punta il dito contro la “classe dirigente italiana”, che “tende a ricercare la sua legittimazione nell’impegno a dare stabilità al sistema, magari partendo da annunci drammatici, decreti salvifici e complicate manovre che hanno la sola motivazione e il solo effetto di far restare essa stessa la sola titolare della gestione della crisi. La classe dirigente non può e non vuole uscire dalla implicita ma ambigua scelta di drammatizzare la crisi per gestirla. Una tentazione che peraltro vale per tutti: politici come amministratori pubblici, banchieri come opinionisti”. In generale, secondo il Censis, si sono imposte nel dibattito sociale e politico “tre tematiche che sembrano onnipotenti nello spiegare la situazione del Paese: la prima è che l’Italia è sull’orlo dell’abisso, la seconda è che i pericoli maggiori derivano dal grave stato di instabilità e la terza è che non abbiamo una classe dirigente adeguata a evitare il pericolo del baratro”. 

Una situazione di crisi che  trova riscontro nei dati contenuti all’interno del rapporto. 

CONSUMI INDIETRO DI 10 ANNI

Secondo il rapporto, nel 2013 le spese delle famiglie sono tornate indietro di oltre dieci anni: dai primi anni 2000 a oggi sono diminuite del 6,7% le spese per prodotti alimentari, del 15% quelle per abbigliamento e calzature, dell’8% quelle per l’arredamento e per la manutenzione della casa, del 19% quelle per i trasporti. “Meno sprechi, ma anche meno capacità di risparmio, definiscono un quadro preoccupante nel quale risulta ormai essenziale agire con rapidità in termini di radicale abbassamento della pressione fiscale – scrive il Censis –, di incentivi ai consumi prontamente utilizzabili, di politiche per il lavoro”. Tra le famiglie, il 76% dà la caccia alle promozioni, il 63% sceglie gli alimenti in base al prezzo più conveniente, il 62% ha aumentato gli acquisti di prodotti di marca commerciale, il 68% ha diminuito le spese per cinema e svago, il 53% ha ridotto gli spostamenti con auto e scooter per risparmiare benzina, il 45% ha rinunciato al ristorante.

INCERTEZZA SU FUTURO E LAVORO, NON SOLO PER I GIOVANI

Secondo un’indagine dell’istituto condotta a settembre, un quarto degli occupati è convinto che nei primi mesi del 2014 la propria condizione lavorativa andrà peggiorando; il 14,3% pensa che avrà a breve una riduzione del proprio reddito da lavoro e il 14% di poter perdere l’occupazione. “Sono timori che interessano trasversalmente la popolazione italiana – spiega il Censis – non solo i giovanissimi, che più che temere una riduzione della retribuzione hanno paura di ritrovarsi senza lavoro, ma anche le fasce d’età centrali, tra le quali l’esigenza di provvedere con il proprio reddito al benessere della famiglia amplifica le ansie rispetto al futuro”. Tra i 35-44enni. il 13,7% è convinto che la propria posizione lavorativa sia a rischio e il 17,3% prevede una riduzione del reddito; tra i 45-54enni la paura di perdere il proprio posto di lavoro accomuna il 17,1% degli occupati. “Il sentiment di sfiducia è alimentato dal deterioramento di un quadro di contesto – prosegue il rapporto – che ha visto, soprattutto nell’ultimo anno, allargare il perimetro della crisi dalle fasce generazionali più giovani a quelle più adulte”.

IMPRESE: CRESCE IL PESO DI DONNE E IMMIGRATI

Il Censis invita a riconsiderare il ruolo degli immigrati, definiti “un volano: di fronte alle difficoltà di trovare un lavoro dipendente, costretti a lavorare per restare in Italia, gli stranieri si assumono il rischio di aprire nuove imprese”. Fra il 2009 e il 2012 gli imprenditori italiani sono calati del 4,4%, mentre gli stranieri sono aumentati del 16,5%. L’imprenditoria straniera rappresenta l’11,7% del totale. Si concentra nelle costruzioni (il 21,2% del totale) e nel commercio al dettaglio (20%). Di fronte alla crisi che sta colpendo i negozi italiani, che dal 2009 sono diminuiti del 3,3%, gli stranieri sono invece cresciuti del 21,3% nel comparto al dettaglio (dove gli esercizi commerciali a titolarità straniera sono 120.626) e del 9,1% nel settore dell’ingrosso (21.440). 

Sul versante femminile, alla fine del secondo trimestre del 2013 le imprese con titolare una donna erano 1.429.880, pari il 23,6% del totale. Nell’ultimo anno il saldo è positivo (quasi 5mila unità in più). Le imprese rosa sono concentrate nel commercio (28,7%), in agricoltura (16,2%), nei servizi di alloggio e ristorazione (9,2%). Sono prevalentemente di piccole dimensioni (quasi il 69% ha meno di un addetto) e di tipo individuale (il 60% del totale). L’incremento più significativo nell’ultimo anno si registra però per le società di capitali: 9.027 unità in più (+4,2%). Inoltre, la partecipazione delle donne come libere professioniste al mercato del lavoro ha registrato un incremento del 3,7% tra il 2007 e il 2012.

ALLARME RAZZISMO

Secondo il Censis, solo il 17,2% degli italiani prova comprensione e ha un approccio amichevole nei confronti degli immigrati: 4 su cinque si dividono tra diffidenza (60,1%), indifferenza (15,8%) e aperta ostilità (6,9%) mentre due italiani su tre (il 65,2%) pensano che gli immigrati in Italia siano troppi. Nel 2013, la nomina del primo ministro di colore della Repubblica ha rappresentato un elemento positivo “ma agli osservatori più attenti non saranno sfuggiti alcuni segnali di tensione abilmente alimentati da una parte dei nostri rappresentanti politici in un razzismo che monta dall’alto e che trova nelle preoccupazioni legate alla crisi un pericoloso brodo di coltura”.

MEZZOGIORNO DIMENTICATO

Stando ai calcoli dell’istituto, il Pil pro-capite nel Mezzogiorno è di 17.957 euro, il 57% di quello del Centro-Nord, inferiore anche ai livelli medi di Grecia e Spagna. Il Censis parla del Meridione come di “un problema irrisolto”, i cui dati mostrano un grave peggioramento: “L’incidenza del Pil del Mezzogiorno su quello nazionale è passata dal 24,3% al 23,4% nel periodo 2007-2012, frutto di una contrazione di 41 miliardi, il 36% dei 113 persi dall’Italia a causa della crisi. Forte è l’impressione che da ogni programma politico la questione meridionale sia stata di fatto derubricata”. 

ISTRUZIONE ANCORA A LIVELLI BASSI

Ancora oggi il 21,7% della popolazione italiana con più di 15 anni possiede al massimo la licenza elementare. Per la maggior parte si tratta di persone anziane, ma in questa percentuale sono compresi il 2% di 15-19enni, l’1,5% di 20- 24enni, il 2,4% di 25-29enni e il 7,7% di 30-59enni che non hanno mai conseguito un titolo di scuola secondaria di primo grado. Quanto alle università, “l’affanno che gli atenei mostrano nei confronti internazionali è la conseguenza di un sistema universitario per certi versi troppo provinciale – si legge ancora nel dossier –. Le università italiane stentano quindi a collocarsi all’interno delle reti internazionali di ricerca”, poiché la “prevalente connotazione locale” pesa sulla “reputazione internazionale”.

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