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Alesina (Harvard), Bini Smaghi (Bce) e Padoan (Ocse): tre ricette anticrisi per tre economisti

“Dove va l’economia? Le sfide davanti a noi.”: non poteva esserci un momento più adatto per affrontare un tema come questo dopo i tracolli della Borsa e dei nostri titoli di Stato di questi giorni. Ed è esattamente quello che avvenuto a Milano nel confronto promosso dalla Ruling Companies Association tra tre grandi economisti come Alberto Alesina, Lorenzo Bini Smaghi e Pier Carlo Padoan. Tutti e tre hanno confermato che dopo la grande crisi nel mondo è in atto una ripresa economica, anche se con ritmi lenti e diversi a seconda dei paesi.

Storicamente le riprese dopo crisi di tipo finanziario sono più lunghe e difficoltose rispetto a riprese da altri tipi di crisi. Ciò è dovuto alla necessità di ricapitalizzazione delle banche e al lento recupero dei mercati del lavoro. Ne esce un quadro incerto. L’inflazione, trainata dalle materie prime, è aumentata. La disoccupazione rimane alta, dimostrandosi la conseguenza più grave della recessione. Qualche segnale positivo dalla crescita, che sta diventando più autosostenuta: per la prima volta dall’inizio della crisi il motore principale dal lato della domanda è la spesa privata e non il sostegno di iniziativa fiscale o monetaria.

Alberto Alesina, docente all’università di Harvard, si dichiara ottimista: dalla crisi possono nascere spinte per riforme strutturali, misure di austerità fiscale possono avere effetti positivi sulla crescita ed anche l’elettorato, capendo la necessità, può premiare governi che riducono il deficit. Per Alesina gli aggiustamenti fiscali vanno fatti subito, basati su tagli alla spesa più che su aumenti d’imposta ed aiutati da una politica monetaria espansiva. In chiave nazionale una manovra severa può far bene ma per tranquillizzare i mercati va fatta al più presto e non ritardata per la maggior parte al 2013: “Se io fossi Berlusconi andrei in televisione a dire che la manovra viene rafforzata e anticipata”.

Secondo Pier Carlo Padoan, vice segretario generale e capo economista dell’OCSE, nei paesi avanzati l’attenzione a politiche prudenziali e strutturali, accanto agli strumenti di politica monetaria e fiscale, rappresenta la via principale di crescita nel medio periodo. Padoan ha inoltre affermato che la correlazione tra debito e crescita è negativa: “I Paesi ad alto debito hanno crescita più bassa e viceversa, dobbiamo affrontare simultaneamente i problemi del debito e della crescita.” Ma se la crescita autosostenuta dei Paesi avanzati rimane debole, le fonti di domanda che ci potranno aiutare a livello globale saranno quelle dei Paesi emergenti. Accanto alla rapida crescita di questi ultimi, si osserva un’Europa che procede a due velocità ben distinte: sul binario più veloce i Paesi del Nord, trainati dalla Germania, sull’altro quelli del Sud, che arrancano.

Per Lorenzo Bini Smaghi, Board Member alla Banca Centrale Europea, il problema è che alcuni Paesi non sono competitivi in termini di costo per unità del lavoro: “In un mondo in cui tirano i Paesi emergenti, chi è competitivo cresce di più”. Secondo Bini Smaghi uno degli aspetti più critici è il contagio diretto tra rischio sovrano e rischio bancario: “In Italia la correlazione tra i due rischi è alta per l’elevata dimensione del debito pubblico e perché le banche hanno in pancia una quantità di titoli sovrani importante”.

Discordanti i pareri sulla Grecia. Per Alesina il vero problema è il contagio dei paesi a rischio: “Se non ci fossero loro la Grecia sarebbe potuta fallire senza gravi conseguenze”. Più grave è, secondo l’economista di Harvard, la separazione in termini di ripresa della Germania dai paesi del Sud Europa, che si prospetta nel lungo periodo pericolosa dal punto di vista politico. Per Bini Smaghi invece “far fallire gli stati è una follia. La Grecia fa parte dei paesi avanzati, nei quali il debito sovrano è la base del risparmio privato e del funzionamento dei mercati finanziari. Un suo fallimento comporterebbe problemi politici, sociali ed umanitari. Lo stato va aiutato a non fallire e la soluzione deve essere trovata a livello europeo”.

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