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Ucraina, anche l’esercito contro Yanukovich: ecco i numeri del declino economico

Poco importa se “mamma” Russia presterà 15 miliardi di dollari, di cui tre già versati in questi giorni, oltre allo sconto sul gas, che sotto la Tymoschenko venne negato da Mosca. Poco importa se, secondo i dati della Banca Mondiale, il tasso di povertà è sceso nel Paese al 2,9% nel 2008 (ultimo dato disponibile) dal 14,7% del 2004, o che l’aspettativa di vita sia salita di tre anni dai 68 del 2008 ai 71 del 2011. O ancora che la disoccupazione sia lontanissima dagli standard negativi in voga al di qua dei Carpazi.

Ai cittadini ucraini, che stanno mettendo a ferro e fuoco Kiev e altre città, costringendo alle dimissioni il premier Mykola Azarov e mettendo con le spalle al muro il presidente Viktor Yanukovich, da oggi sotto l’attacco anche dei generali dell’esercito, questo non basta più. Già, perché i soldi prestati dall’amico Putin saranno rimborsati al tasso del 5% annuo, mentre l’Ue, nella quale Yanukovich ha rifiutato di entrare, ha per dire appena stanziato 45 milioni di euro di fondi per rafforzare la stabilità finanziaria del settore energetico e ridurne l’impatto ambientale dannoso (le emissioni di CO2 hanno pericolosamente ripreso ad aumentare dal 2010). La somma, seppur piccola, non dovrà essere rimborsata, e a questa vanno aggiunti altri 87 milioni già erogati dal 2007 ad oggi.

Ma soprattutto, i 45 e passa milioni di ucraini hanno capito che il miracolo economico del Paese, nelle mani di un leader da tempo mal sopportato per il semplice fatto di far fatica a parlare la lingua ucraina, si sta inesorabilmente spegnendo. A certificarlo non è solo l’impietosa Standard & Poor’s, che ha recentemente confermato il rating B- con outlook negativo: “Bilancio debole e cattiva gestione finanziaria”. La stessa che viene imputata dal Fondo Monetario Internazionale e dall’Index of Economic Freedom, che misurando diritti di proprietà, libertà dalla corruzione, libertà fiscale, spesa pubblica, libera impresa e così via ha collocato l’Ucraina al 155esimo posto su 178 Paesi esaminati. Peggio persino di “mamma” Russia e della vicina Bielorussia, meglio soltanto di Iran, Cuba, Corea del Nord e di un pugno di Paesi africani.

Del resto, proprio negli anni del boom degli emergenti, Kiev è stata fra i pochi a perdere terreno: la crescita del Pil, dopo la buona performance del 2011 (+5,2%), si è prima stabilizzata nel 2012 (+0,2%), per poi cadere nell’anno appena concluso al -1,1%. Le previsioni della Banca Mondiale prevedono una ripresa nel 2014, che però andrà forse rivista in seguito alla situazione da guerra civile di queste settimane e che comunque scenderà dal +2% quest’anno al +0,7% appena nel 2016.

Per non parlare, poi, dello stato sociale. Sotto silenzio rispetto ai grandi temi dell’adesione europea e dei legami con la Russia, sono quasi passati inosservati alcuni provvedimenti che definire oligarchici è poco: accusato prima dall’opposizione di aver pompato il bilancio con “entrate irreali”, Yanukovich si è poi trovato “costretto” a tagliare drasticamente (di ben 72 volte rispetto al 2012) il finanziamento di importanti programmi sociali, tra cui l’assistenza sanitaria. Non solo: è riuscito, allo stesso tempo, ad aumentare i costi dell’Amministrazione presidenziale, e a varare dal 1° gennaio di quest’anno una nuova tassa sugli immobili che, secondo il sito ucraino Ekonomika, “applicherà ulteriori vantaggi ai proprietari di appartamenti con una superficie di oltre 120 metri quadrati”. E’ stato anche aumentato lo stipendio a dipendenti pubblici e a militari (la spesa militare è salita dal 2,4% del Pil nel 2011 al 2,8% nel 2012) ed è passata una legge, ovviamente restrittiva, per cui gli stranieri che vogliono studiare o lavorare in Ucraina devono essere già laureati e passare un rigoroso esame di lingua.

Ma per Yanukovich il tempo del decisionismo sembra volgere al termine: ora è il Paese stesso, che ancora nel 2009 non forniva l’istruzione primaria a tutti e che vanta un tasso di disoccupazione sempre più basso, dall’8,8% del 2008 al 7,5% del 2012, ad aver iniziato a studiare e a lavorare. E a cercare, lontano dalla repressione di un leader sempre più delegittimato, una nuova rivoluzione arancione: in gioco non c’è solo il legame con la Russia, che gran parte della popolazione (soprattutto nella parte orientale del Paese) continua a non disconoscere, ma un nuovo miracolo economico.

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