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Se Il Sole parla in tedesco: salviamo l’Italia senza la Merkel?

“Schnell, frau Merkel”. Così Il Sole 24 Ore ripropone il fortunato titolo del novembre scorso che probabilmente contribuì alla caduta del Governo Berlusconi, girandolo contro la Germania accusata di fare melina e quindi di essere la responsabile dell’aggravamento della crisi dell’Euro. “FATE PRESTO”, il titolo che fu gridato a caratteri cubitali da il Mattino nel 1980 in occasione del terremoto che fece oltre tremila morti in Campania, non dovrebbe questa volta essere rivolto solo alla Merkel, bensì a tutti i leader europei, ciascuno dei quali porta una parte di responsabilità per all’avvitamento della crisi europea che tra salvataggi parziali all’ultimo minuto e rinvii delle decisioni di fondo continua inesorabile la sua marcia, travolgendo uno dopo l’altro tutti i paesi, anche quelli che stanno cercando faticosamente di risanare i propri conti e ristrutturare il proprio sistema economico per migliorare la propria competitività.

Ormai i problemi veri sono spesso offuscati da incongrui nazionalismi, da posizioni politiche di corto respiro, oppure da dichiarazioni e polemiche veramente puerili come quella della ministra delle Finanze austriaca che oggi ha affermato che l’Italia dovrà prima o poi chiedere l’aiuto finanziario europeo. I mercati che già sono frastornati e sfiduciati sulla solidità della costruzione dell’eurozona reagiscono cercando di salvaguardare il più possibile i propri investimenti, anche a costo di rinunciare per qualche tempo agli interessi. L’avversione al rischio diventa totale e tutti cercano di vendere i propri Euro comprando dollari o franchi svizzeri, oppure titoli tedeschi, i cui tassi sono infatti vicini allo zero.

Al punto in cui sono arrivate le cose, continuare ad illudere i propri concittadini che la colpa della crisi è tutta dei tedeschi e che dalla signora Merkel deve venire la salvezza, è operazione rischiosa e truffaldina. Sperare che in qualche modo si possa mettere in comune il debito di ciascun paese trasferendolo in Europa e quindi addossandolo ai paesi che hanno i conti in ordine, è poco realistico e serve solo a tanti politici per sviare l’attenzione della pubblica opinione dalla proprie responsabilità. Ancor più grave se a questa fuga dalle responsabilità partecipano i vertici dei partiti e delle organizzazioni rappresentative degli interessi oltre a tanti intellettuali alla ricerca di un pò di popolarità.

Sicuramente anche i tedeschi hanno la loro parte di responsabilità. In un sistema privo di qualsiasi tipo di equilibratore automatico, la loro economia può approfittare di un cambio sottovalutato, e quindi accumulare crescenti attivi della bilancia dei pagamenti, senza rischiare di creare inflazione al proprio interno e senza eccessivi squilibri salariali. Questo deve essere in qualche modo compensato. I tedeschi sostengono che i paesi più deboli devono attuare una serie di riforme in modo da rendere più competitivi i loro sistemi produttivi e quindi fare concorrenza alle merci tedesche sottraendo loro spazio sui mercati mondiali.

Gli altri paesi sostengono che questa è certamente una strada da percorrere ma che ci vuole del tempo affinché le riforme possano dare i loro frutti. E questo tempo deve essere colmato da misure atte a rassicurare i mercati e sostenere la crescita in modo da evitare di cadere in un baratro da cui poi è difficile poter uscire. Del resto nel 2003 anche i tedeschi si trovarono in questa situazione e chiesero all’Europa di non sanzionare lo sfondamento del tetto del 3% del loro deficit. Cosa che venne accordata con il voto determinante degli italiani.

Tuttavia la situazione oggi è molto più ingarbugliata rispetto a dieci anni fa. Quello che si può realisticamente prevedere è che dal vertice di fine giugno escano decisioni non risolutive nell’immediato, ma tali da dare ai mercati la certezza che l’Europa si sta muovendo senza tentennamenti sulla strada della integrazione fiscale e in prospettiva dell’unione politica vera e propria. Ma non è detto che il risultato sarà tale da restaurare la credibilità dell’Euro ed allentare così le tensioni sui tassi d’interesse dei paesi più deboli.

Quindi sarebbe opportuno che gli italiani si compattassero da subito sul conseguimento di alcuni obiettivi che sono sicuramente nell’interesse di tutti. Il primo dei quali è quello di cercare di riportare i nostri tassi d’interesse a livelli vicini a quelli pre crisi. Ad esempio l’obiettivo di portare i nostri spread a livello di quelli francesi ( 110 punti contro i nostri 480) potrebbe rappresentare una sfida intorno alla quale coagulare l’orgoglio nazionale, come già avvenne all’epoca dell’ingresso nell’Euro con la sovrattassa varata dal Governo Prodi. Del resto la Francia ha un deficit maggiore del nostro ed una bilancia dei pagamenti deficitaria più o meno come la nostra. Per di più la propria base industriale, pur avvantaggiandosi dalla presenza di numerose imprese di grandi dimensioni, soffre una crisi non molto dissimile da quella delle nostre aziende.

E noi potremmo fare alcune mosse capaci di avvicinarci ai cugini d’oltralpe,mettendoci comunque in una posizione migliore per resistere alle inefficienze dell’Euro o per approfittare della ripresa europea nel caso si riuscisse a fare passi rapidi verso una integrazione più funzionale e più equilibrata. In estrema sintesi, e seguendo i suggerimenti che da tempo sono stati avanzati da Paolo Savona, occorrerebbe un immediato taglio della spesa pubblica di almeno il 3% ed una riduzione del debito pubblico di 400 miliardi di Euro attraverso la vendita dei beni mobili ed immobili dello Stato e di tutte le amministrazioni pubbliche. La riduzione della spesa pubblica vale circa 30 miliardi e credo, anche se Savona non lo dice, che possa essere in parte utilizzata per alleviare la pressione fiscale sulle imprese sui lavoratori dipendenti, mentre un taglio del nostro debito pubblico porterebbe ad un abbassamento dei tassi d’interesse con un beneficio non solo per il bilancio dello Stato, ma anche per le nostre banche e quindi per i flussi di credito che vanno alle imprese.

Del resto proprio oggi l‘agenzia di rating Fitch ha detto che l’Italia non è affatto a rischio perché i suoi fondamentali sono migliori di quelli della Spagna, ma deve affrontare il problema del debito e quindi far scendere rapidamente i tassi d’interesse che ai livelli attuali non sono sostenibili perché di gran lunga superiori alla crescita del Pil. Continuare invece , come fanno quasi tutti i politici e anche molti imprenditori( oggi lo ha ripetuto il presidente di Confindustria Squinzi) che l’austerità va bene,ma non bisogna esagerare e che il rigore va scaglionato nel tempo , ad esempio rinviando a dopo il 2013 il pareggio di bilancio,è un grave errore.

In primo luogo si da un messaggio ai mercati di incapacità di attuare le giuste misure per interrompere la nostra vocazione a confidare nella spesa pubblica per sostenere la crescita, ed in secondo luogo si manda alla Merkel proprio quel messaggio che i tedeschi temono di più, e cioè che i paesi deboli come l’Italia, vogliono gli aiuti solo per continuare a fare quello che facevano prima.

Al contrario, affrontando con decisione la riduzione del perimetro del nostro settore pubblico attraverso la vendita di aziende statali o degli enti locali e quella dei numerosi immobili non utilizzati, si potrebbe non solo ridurre il nostro debito pubblico, ma anche creare un assetto più efficiente e competitivo del nostro sistema economico consentendoci così di recuperare il gap di crescita che da oltre dieci anni ci separa dagli altri paesi europei.

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