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Pensionati, ecco chi sono quelli d’oro che percepiscono oltre 90 mila euro lordi l’anno

Sono circa 33 mila e costano ogni anno intorno ai 3,3 miliardi. La Corte Costituzionale ha stabilito che non è lecito toccare i loro assegni di pensione, nemmeno per un contributo di solidarietà temporaneo. Ma chi sono i pensionati d’oro? 

A livello tecnico, si tratta delle persone che incassano un reddito pensionistico annuo superiore ai 90 mila euro. Parliamo sempre di cifre lorde, naturalmente. Come scrive oggi Il Corriere della Sera, i trattamenti compresi fra i 90 e i 150 mila euro sono in tutto circa 1.500 e allo Stato richiedono una spesa di 330 milioni l’anno. Quelli che superano i 200 mila euro sono invece 1.200, per un costo di 275 milioni. 

Il più facoltoso dei pensionati italiani è Mauro Santinelli, ex top-manager di Telecom (nonché inventore del servizio prepagato Tim Card, per intenderci), che guadagna 3 mila euro al giorno (!), ovvero oltre 90 mila al mese. Lo rivela Mario Giordano, che nel libro “Sanguisughe” (edito da Mondadori) passa in rassegna diversi casi. I più noti sono certamente quelli che riguardano gli ex parlamentari, che però hanno davvero poco in comune con i normali cittadini, dal momento i vitalizi vengono stabiliti in via autonoma da Camera e Senato. 

Hanno suscitato polemiche in tempi recenti i 31 mila euro al mese percepiti da Giuliano Amato, il quale però si è difeso spiegando che si tratta di una cifra lorda e comprensiva del vitalizio, peraltro devoluto in beneficenza dall’ex premier. In graduatoria figurano anche un altro ex di Palazzo Chigi, Lamberto Dini (40 mila euro lordi al mese), superato di poco dall’ ad di F2i, Vito Gamberale (44 mila). Meno ricche, ma ugualmente dorate, le pensioni dell’attuale numero uno della Bce Mario Draghi (14.843) e dell’ex presidente delle Generali, Cesare Geronzi (22 mila euro). Viaggiano oltre i 20 mila al mese anche tutti gli ex membri della Consulta. 

Più che nelle cifre in sé, il problema è nel modo in cui queste pensioni vengono concesse. Molto spesso non si tratta di normali calcoli sulla base dei contributi regolarmente versati durante la vita lavorativa, ma di semplici privilegi concessi a chi ha raggiunto posizioni di particolare rilievo. Insomma, come sempre, se non si vuol fare demagogia, bisogna distingure caso per caso e l’origine dell’assegno fa la differenza.

La somma che veniva richiesta ai pensionati d’oro non era certamente decisiva per la tenuta dei conti pubblici, dal momento che avrebbe fruttato solo 25 milioni l’anno. Il punto era un altro: si trattava di lanciare un segnale d’equità e solidarietà sociale in un periodo di enormi sacrifici per le fasce economiche più svantaggiate.

La Consulta però ha ritenuto che il prelievo fosse discriminatorio. La misura, introdotta dal governo Berlusconi e poi rinforzata dalla squadra di Mario Monti, prevedeva un contributo del 5% per la parte eccedente i 90 mila euro di pensione. Una quota che saliva al 10% sopra i 150 mila e al 15% oltre i 200 mila. Sarebbe durata solo fino al 2014, ma secondo i giudici era inaccettabile perché colpiva solo i pensionati. Che fossero d’oro, a quanto pare, era irrilevante. 

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