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La salsiccia al ceppo di Linguaglossa, usanza secolare, nuovo presidio Slow Food

Foto Antony Russo Salsiccia di Linguaglossa

E’ tradizione che a Linguaglossa, un piccolo paese sulle pendici dell’Etna, alla festa di  San Martino molto avvertita in tutta la provincia di Catania  perché  simbolicamente associata alla maturazione del vino nuovo, e quindi concepita come un’occasione per ritrovarsi brindare stappando il vino novello, si accompagni al vino  un sostanzioso pranzo secondo il detto “s’ammazza lu porcu e si sazza lu vinu”, perché molte famiglie siciliane in questo periodo macellavano il maiale per farne, salami e salsicce.

La Festa di San Martino è soprattutto la festa della Salsiccia al ceppo alla brace con contorno di caliceddi (cavolicelli).

Per questa preparazione la salsiccia viene posta a spirale su una griglia e viene cotta alla brace per mezz’ora circa, Nel frattempo i caliceddi vengono lavati e lessati in acqua salata bollente, a cottura finita vanno scolati e conditi con olio.

Appartiene a tempi remoti la salsiccia al ceppo, a stili di vita campagnola e contadina secolari, di cui si vanno sempre più perdendo le tracce che riguardano oltre Linguaglossa, anche i limitrofi comuni di  Piedimonte Etneo e Castiglione sempre nell’area etnea della provincia di Catania

Il nome le deriva dal fatto che la carne non veniva triturata come avviene per la maggior parte dei salumi in tutta Italia, bensì sminuzzata su un grande ceppo di legno di quercia dei macellai con un grosso coltello.

Se ne stavano perdendo le tracce ma il combattivo sindaco di Linguaglossa Salvatore Puglisi ha ritenuto bene di avviare un progetto per mantenere in vita questa tradizione che stava scomparendo per motivi di normative igienico sanitarie ed anche di remuneratività economica. L’idea vincente fu di portare il caso all’attenzione di Slow Food per garantire un futuro alla Salsiccia al ceppo. La sua lungimiranza è stata premiata: da oggi la Salsiccia al ceppo di Linguaglossa, è entrata a far parte dei Presidi Slow Food, il cinquantunesimo per l’esattezza, della Sicilia, che detiene il primato nazionale di presidi.

“Fare parte dell’associazione – commenta con soddisfazione Puglisi – significa avere la possibilità di confrontarci con altri ristoratori, con il mercato mondiale oltre a dare la possibilità alle nostre macellerie di affacciarsi su mercati che prima non c’erano, perché le nostre tradizioni hanno bisogno di un mercato globale per essere conosciute e valorizzate”.

«La particolarità di questa salsiccia riguarda il modo in cui trattiamo la carne – spiega Anthony Russo, referente dei tre produttori che finora hanno aderito al Presidio -. Usiamo una lama chiamata partituri, una sorta di mannaia, con cui sminuzziamo cinque tagli del maiale, la coscia, la pancetta, il lardo, il capocollo e la spalla, sopra il legno di quercia. Il nostro è un lavoro interamente artigianale e utilizzare il ceppo è importante perché, in questo modo, la carne assume un sapore differente rispetto a ciò che accade negli insaccati industriali, dove la macinazione avviene ricorrendo a macchinari».

 La carne così macinata (alcuni macellai utilizzano anche il guanciale) viene impastata a mano e condita con sale, pepe nero e semi di finocchietto selvatico raccolto sull’Etna. A questa ricetta base, poi, ogni macellaio aggiunge un tocco personale, unendo dosi differenti dei singoli tagli secondo il proprio gusto, l’ispirazione e la disponibilità, e alle volte aggiungendo qualche altro sapore, ad esempio pomodoro semisecco e provola stagionata.

«L’avvio del Presidio della salsiccia al ceppo di Linguaglossa è il riconoscimento a un’intera zona da sempre vocata alla produzione di carni eccellenti – sostiene il referente Slow Food del Presidio Riccardo Randello -. Ma forse, negli anni, questa tradizione sarebbe potuta andare perduta senza il lavoro svolto da Slow Food». Da tempo, infatti, questa specialità è inclusa nell’Arca del Gusto, il registro nel quale da quasi 25 anni la nostra associazione segnala gli alimenti a rischio estinzione in tutto il mondo. Il riconoscimento come Presidio arriva al termine di un lavoro lungo un paio d’anni, stimolato e sostenuto dal Comune di Linguaglossa che ha creduto nell’opportunità di mettere a sistema una risorsa da sempre presente sul territorio. D’ora in avanti, il lavoro da fare sarà ancora maggiore: Francesco Sottile, docente di Biodiversità e qualità del sistema agroalimentare all’Università di Palermo e tecnico della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus, spiega che «l’obiettivo è quello di rafforzare la filiera a partire dall’allevamento. Già oggi i produttori utilizzano esclusivamente carne di suini nati e allevati in Sicilia, ma l’auspicio è quello di veder nascere allevamenti vicini a Linguaglossa. Realtà che, naturalmente, pongano il benessere animale al centro del proprio lavoro».

Secondo Filoteo degli Omodei, uno dei maggiori studiosi della Sicilia del sec. XVI che si occupò di storia e geografia della Sicilia e dell’Etna, la fondazione di Linguaglossa risalirebbe all’anno 1100 ad opera di una colonia di avventurieri genovesi e Lombardi che si installarono qui per estrarre la resina dei pini del bosco dell’Etna e qui edificarono alcune case nel bosco dando vita ad un vero e proprio Borgo. L’etimologia della denominazione proviene dal latino e del Greco con chiaro riferimento alla lingua di lava eruttata nella prima metà del ‘600. Ma un’altra tesi si richiama alla parlata di questa gente di origini galliche ritenuta grossolana.  

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