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La ricetta della Romana di Vrasa: la brace ricrea antichi sapori e atmosfere nel nuovo ristorante di tendenza di Sorrento

Firstonline

Per generazioni e generazioni del meridione è statio il fulcro della domesticità familiare. Una fonte di calore per riscaldare d’inverno i gelidi ambienti delle case popolari soprattutto  ( non quelle dei signori che nei loro palazzi avevano preziosi camini),  attorno alla quale le donne  si riunivano per parlare, collocati strategicamente sotto i grandi tavoli di marmo nelle cucine, fulcro di vita familiare, per riscaldare la famiglia a cena, i bambini che vi studiavano pomeriggio dopo essere tornarti da scuola,  gli uomini che al ritorno dal lavoro si riposavano dalle fatiche quotidiane nei campi giocando a carte, e anche per asciugare i panni che venivano appoggiati sul una campana di legno collocata sopra  alla bisogna. Ma soprattutto era un momento di grande funzione sociale testimone muto ma presente dell’affrontare i problemi della vita quotidiana, della famiglia, del lavoro, del presente e del futuro, dei rapporti con la comunità.  Il suo uso era un rito che si rinnovava ogni mattina quando veniva messa in balcone o in terrazza per far bruciare la legna frammista a carbonella che poi trasformata in brace avrebbe dato sollievo alla famiglia nella giornata. Ed era un rito far durare a lungo la sua funzione muovendo di tanto in tanto con una paletta di bronzo le ceneri per ravvivarla.

Ai giovani di oggi quell’oggetto misterioso che ancora si incontra in qualche mercatino antiquario, che i napoletani chiamavano, per la sua funzione “a vrasera”, un contenitore basso e largo di rame o di ottone a volte dotato di due manici per facilitarne il trasporto, dice poco o nulla, al massimo lo scambiano per sotto vaso da piante funzione alla quale viene destinata da qualche nostalgico appassionato dei tempi che furono.

Ma la vrasera in realtà racconta una storia straordinaria di un meridione in cui la famiglia patriarcale prima e quella nucleare poi, continuavano a ritrovarsi attorno al focolare domestico prima che l’avvento della famiglia moderna con la sua dirompente carica centrifuga cancellasse d’un colpo secoli di storia familiare.

A questo mondo antico ma così pieno di significati e valori autentici si sono ispirati un gruppo di amici che hanno dato vita a Sorrento a un format di assoluta originalità che è tutt’altro che un’operazione di retroguardia, ma si connota di forte attualità per recuperare dopo due anni di pandemia, la voglia di tornare a godere di momenti di convivialità persi per le restrizioni imposte dalle misure sanitarie, di riscoprire il valore dell’incontro, del rapporto umano, della dimensione del tempo lungo e rilassato di una conversazione fra amici come antidoto alla frenesia pervadente di un way of life misurato sui minuti, sui secondi di questa stagione scandita dai tempi del web web.  Questa filosofia viene proposta in duemila metri quadri immersi nel verde, miracolosamente usciti fuori dal centro storico della cittadina costiera, alla spalle della Cattedrale, appoggiati alle antiche mura cinquecentesche, resti dell’antica fortificazione eretta  in seguito alla invasione saracena del 1558.

Vi si accede da un vicoletto stretto, nascosto ai più, a pochi metri dall’affollato Corso d’Italia, processione obbligata del turismo di massa che invade la cittadina, e d’improvviso si ha l’impressione di entrare in una nuova dimensione destabilizzante.  Ti accoglie una scalea di tipo rinascimentale a due rampe che preannuncia chissà quali fasti architettonici e invece  arrivati su ti ritrovi  nel grande giardino accolto da un orto di verdure stagionali, pomodori, peperoni, zucchine, melanzane  e da numerosi alberi da frutto, aranci, limoni, prugne, fichi, albicocchi, imponenti alberi di ulivo, che scandiscono gli spazi da vivere, che ti rimandano ai valori della terra e alla sua importante funzione naturale che il Covid ci ha insegnato a riscoprire per il nostro benessere. La grande struttura in legno che ospita le cucine e la parte coperta del ristorante ad ampie pareti scoperte e ampie vetrate sembra riportarti invece alle architetture balinesi. In questo melange di rimandi alla naturalità domina una cucina raffinata affidata alle sapienti mani dello chef Vincenzo Incoronato, formatosi alla Scuola Alberghiera di Vico Equense, la stessa in cui sono nati Antonino Cannavacciuolo e Gennarino Esposito, solide esperienze in importanti ristoranti in Norvegia, dove le parole d’ordine da anni sono sostenibilità, e impegno nell’uso di prodotti di qualità, unitamente ad un uso sapiente di affumicature e fermentazioni. E con lui c’è Andrea Guarracino, che vanta due fondamentali esperienze lavorative: Palazzo Petrucci, certezza stellata della migliore cucina napoletana firmata dallo Chef Lino Scarallo e poi Don Alfonso 1890, il regno di Alfonso e Ernesto Iaccarino locale mitico di Sant’Agata sui due Golfì, primo tristellato di tutto il meridione tempio della cucina mediterranea di altissimo livello meta gourmet da tutto il mondo.

Il nome è già un programma “Vrasa”, un neologismo che fonde due culture, quella partenopea della Vrasera e quella ispanica di Brasa, per identificare una cucina che vede nel fuoco il fulcro della tradizione culinaria Italiana, da nord a sud, basata sulla cottura con il fuoco, dal braciere alla spiedo, dal forno a legna alla griglia. Nello specifico il concept che domina la cucina di Vrasa e ne è il motore è proprio una parrilla basca artigianale alimentata da legni di essenze fruttifere e bambù biologici.

Prendiamo ad esempio, tanto per cominciare, uno dei piatti iconici di questo originale ristorante come “Romana” un piatto a base di lattuga (che i napoletani chiamano Romana), alici e pomodori datterini, tutte le sue componenti ricevono un trattamento separato sulla brace per poi ritrovarsi in una preparazione in cui tutti i sapori della mediterraneità vengono esaltati diffondendo uniformemente i loro aromi, un vero e proprio tuffo salutistico in natura. Oppure le Linguine di Gragnano trafilate al bronzo sposate con le melanzane e le cozze di Bacoli, trionfo di localismo costiero, dove l’ultimo passaggio avviene direttamente alla brace per dargli un sapore avvolgente. Si può proseguire con un sorprendente filetto di Lampuga, crema di zucca e limone bruciato, o con una Lingua di manzo salsa verde e ‘nduja. E si può parlare anche   della   camera di affumicatura di impostazione norvegese che diventa protagonista di Grace, un raffinato chiffon cake ai sentori agrumati.

Preparazioni raffinate e moderne ma che riportano sempre ad atmosfere di prodotti di terra e di mare di forte impronta locale e naturale, non sviati da elaborazioni  pindariche ad effetto, e soprattutto a una storia di antica familiarità per ritrovarsi all’ombra di un fico o di una palma come in un giardino d’infanzia dove i ricordi inducono a tempi lenti di piaceri gastronomici, un luogo dove la natura si prende la sua rivincita coinvolgendo i suoi avventori in un mondo ovattato lontano dal brulichio della vita moderna.

Il tutto accompagnato ad una eccezionale scelta di vini nazionali e soprattutto locali grazie ad una cantina che il sommelier Francesco Gargiulo ha saputo scovare battendo a tappeto la Regione per individuare piccoli tesori di una enologia che in questi ultimi tempi ha salito molte posizioni nelle classifiche nazionali dell’eccellenza e che ha molto ancora da esprimere.

La ricetta della Romana

Ingredienti:

Insalata romana

Alici sotto sale

Pomodorini datterino

Crostini di pane aromatizzati con olio alle erbe

Crema di parmigiano

Sale Maldon

Pepe bianco

Olio evo

Preparazione

Prendiamo l’insalata, la sciacquiamo accuratamente e la dividiamo a metà in senso verticale. Spennellarla con olio evo e adagiarla sulla griglia della brace. Farla cuocere in maniera indiretta (quindi spostata dal calore diretto dei carboni) per circa 5 minuti facendo attenzione a non bruciare le foglie esterne.

A parte mettiamo un pezzo di parmigiano 36 mesi in infusione nella panna con sale e pepe a 62° fino ad ottenere una fonduta che lasciamo raffreddare prima dell’utilizzo.

Condiamo i pomodorini con sale e olio e li grigliamo a fuoco diretto sulla brace mediante l’ausilio di un retino per pochi minuti fino ad appassirli leggermente.

Prendiamo due fette di pane casareccio, tagliamole a cubetti e in una bastardella li condiamo con sale olio aromatico alle erbe e li inforniamo a 180° in forno ventilato per circa 4 minuti.

Prendiamo 5 alici sotto sale e priviamole del sale in eccesso avendo cura di non spezzarle e dopo eviscerate mettiamole in una soluzione di acqua e succo di limone per eliminare tutte le impurità.

Impiattamento:

Adagiamo la romana sul piatto con la parte interna verso l’alto. Aggiungiamo qualche pomodorino, qualche crostino di pane, qualche alice e dei ciuffetti di crema di parmigiano. Un pizzico di sale e un giro di olio e il piatto è pronto.

La ricetta della linguina di Gragnano alle cozze di Bacoli

Ingredienti:

Linguine di Gragnano trafilate al bronzo

Melanzane napoletane

Cozze di Bacoli

Erba cipollina

Olio evo

Sale

Preparazione

A brace appena spenta ma ancora calda, ricopriamo le melanzane con la cenere per circa 1 ora.

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Successivamente ne ricaviamo soltanto la polpa che viene saltata in padella con aglio e olio e poi frullata ed emulsionata con olio evo.

Laviamo e puliamo le cozze, che poi facciamo aprire in una casseruola senza aggiunta di acqua e poi recuperiamo i frutti e l’acqua delle cozze, filtrandola.

Mettiamo a cuocere la pasta fino a un paio di minuti prima del tempo di cottura consigliato, poi iniziamo a mantecarla nebulizzando olio in un colino a maglia fine direttamente sul fuoco della brace per circa 2 minuti.

Uniamo la pasta alla crema di melanzane e alle cozze e all’erba cipollina tritata.

VRASA

Via Santa Maria Della Pietà, 30,

 80067, Sorrento

 +39 340 427 3961

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