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Il made in Italy vince nel mondo: l’esempio della torinese Nu Air. Intervista all’ad Roberto Balma

Non affondare per colpa della crisi, ma crescere nonostante essa. Non considerare la Cina (solo) una minaccia, ma – più velocemente di molti altri – come un’opportunità. Non lamentarsi dei sacrifici chiesti dal governo Monti, perchè “l’alternativa era la bancarotta dell’Italia: lunga vita a questo Esecutivo, che toglierà tutte le ragnatele dei privilegi e della cattiva amministrazione”. Non contrapporsi per principio ai sindacati, ma cercare di lavorare in perfetta sintonia con loro “nonostante gli dica sempre tutto in faccia. Ma ho salvato centinaia di posti di lavoro, e questo lo sanno”.

Sembra un controsenso vivente, ma Roberto Balma, 50 anni da poco compiuti, è uno di quegli imprenditori definibili “salva-Italia”, di quelli che in barba alla crisi continuano a crescere, a creare lavoro e ad avere le idee chiare sul futuro. Giocando sempre d’anticipo e guardando ben oltre il proprio naso.

Torinese doc, Balma è presidente e ad del gruppo Fini Nu Air, leader mondiale nella produzione di compressori d’aria, settore del made in Italy spesso dimenticato (ma che ha applicazioni infinite nel campo dell’industria e anche in quello domestico) nel quale l’Italia, grazie in primis alla sua azienda, eccelle. Il gruppo Fini Nu Air fattura 250 milioni di euro, dà lavoro a 1.500 dipendenti nel mondo, produce 2 milioni di compressori a pistoni – quelli per utilizzo domestico e professionale – l’anno, pari al 25% della produzione mondiale, ha una posizione di leadership europea anche nel segmento dei compressori a vite destinati al mercato industriale, ha oltre 6.500 clienti in ogni angolo del pianeta e soprattutto, “elemento chiave per non farsi travolgere dalla recessione”, esporta l’88% della sua produzione. 

Balma, insignito proprio ieri del titolo di Cavaliere del Lavoro della Repubblica, è in sella dal 1985, anno della sua laurea (“la mattina ho discusso la tesi, il pomeriggio esordivo in ufficio”), prima nell’azienda fondata dal padre nel 1948, portando avanti l’attività di famiglia, poi, dal 1994, da solo, iniziando a mettere pesantemente mano a un’impresa “che non sarebbe mai sopravvissuta senza fare scelte drastiche e coraggiose”. Un Balma neanche trentenne capisce che i tempi stanno cambiando e dà piena applicazione al suo credo: “Piccolo è fragile, crescere per sopravvivere”. “La crisi del 2008 è stata talmente violenta che ha dimezzato in tronco il mercato. Per sopravvivere abbiamo fatto l’esatto contrario di tanti altri, che si sono sempre più ridimensionati per paura di fallire”. E così acquisire, in Italia e all’estero: prima le società di distribuzione in giro per l’Europa, poi la bolognese Fini SpA e quindi la Chinook-Shamal di Piossasco.

E poi valicare i confini continentali, anche, anzi soprattutto, quando questo poteva sembrare una follia. E dunque, la Cina. Nu Air è stata tra le aziende italiane pioniere dell’avventura orientale, ma senza perdere il know how e la qualità tipicamente tricolori. Come? “Ci siamo andati nel 2001, quando è cambiata la legge che imponeva di fare joint venture con società locali. Questa formula metteva a forte rischio di essere copiati, cosa che comunque è avvenuta negli anni successivi in piccola misura, mentre con la possibilità di costituire una società 100% italiana abbiamo preservato il nostro engineering, che lavora tuttora solo ed esclusivamente negli stabilimenti italiani (a Robassomero, vicino Torino, e a Bologna, ndr), dove costruiamo i prodotti di più alta tecnologia”. 

“La Cina invece – prosegue Balma, alludendo ai centri di Shanghai e Taishan – ci serviva per mantenere il mercato di bassa gamma, abbassando i costi di produzione e restando competitivi sull’intera fascia di prodotti, dalla A alla Z, che è quella che il cliente richiede. Se ti manca anche un solo tipo di prodotto, puoi fare anche quello migliore di tutti ma il cliente si rivolgerà altrove, dove spenderà di meno e troverà tutta la gamma. Noi siamo riusciti a rimanere vincenti su entrambi i binari: qualità in Italia, dove esponiamo fieramente il logo “made in Italy” su tutti i compressori che, unici nel Paese, confezionamo con componentistica esclusivamente italiana, e quantità in Cina, dove giustamente scriviamo “made in China” anche se poi il prodotto è al 100% progettato nel nostro headquarter di Torino”.

I risultati di questa scommessa – vinta – sono inoppugnabili: nel 1985 l’allora Balma Compressori fatturava 8 milioni, nel 1994 (anno in cui Roberto prende le redini) era già a 40, nel 2007, prima dell’esplosione della crisi, era arrivata a 326 milioni, prima di registrare un calo fisiologico salvo poi risalire nel 2011 a 250 milioni, grazie alle acquisizioni effettuate proprio nel pieno della recessione. “La gente mi dava del matto – ricorda con orgoglio Balma -, abbiamo preso aziende sull’orlo del fallimento, rischiando capitali e risorse. Ma questo ha pagato, e contemporaneamente abbiamo salvato centinaia di posti di lavoro”.

Ecco perchè, cosa non da tutti, Balma anche sempre avuto un buon rapporto con i sindacati: “Mi rispettano, nonostante io dica sempre quello che penso. Le corporazioni troppo spesso frenano le riforme, bisognerebbe lasciar lavorare questo governo che vedrete, alla lunga, salverà l’Italia. La Fornero a riformare il nostro mercato del lavoro, troppo rigido e squilibrato, e Monti sta facendo un gran lavoro di pulizia, di risanamento e di lotta all’evasione fiscale, della quale si parla solo nei momenti dei grandi blitz ma vi posso assicurare che stanno svolgendo un lavoro quotidiano e certosino. Vedrete che poi interverranno anche sulla crescita, ma ci vuole tempo: ecco perchè spero che questo governo rimanga in carica ancora tanti anni”. E le tasse? Gli imprenditori e i cittadini che si sentono strangolati? “Sacrifici necessari, l’alternativa era la bancarotta del Paese”, taglia corto il numero uno dei compressori, con una sicurezza quasi spiazzante, per chi è abituato a leggere sui giornali o a vedere in tv storie di imprenditori che proprio non riescono a concepire oltre il loro orticello.

Balma invece è andato ben più lontano. “Andare all’estero non è stato sempre semplice, ma era necessario”, dice mostrando la foto, unica nel suo ufficio insieme a quelle immancabili del padre e delle due figlie, della stretta di mano con il chairman della società giapponese Iwata (quotata alla Borsa di Tokyo). “Noi lavoriamo in Cina, ma la vera conquista è stata il Giappone, dove sono da sempre diffidenti e ultra-selettivi nelle loro partnership. Ecco perchè ho messo proprio quella foto, è un trofeo”. E la prossima frontiera quale sarà? Anche qui il leader dell’aria compressa guarda già molto avanti. “La Cina stessa sta diventando cara: molte aziende statunitensi, per esempio, stanno già tornando negli Usa, e grazie a questo l’America sta ripartendo. Poi ci sono gli altri Brics, interessanti come sbocchi di mercato ma non come centri di produzione secondo me, perchè crescono talmente rapidamente che nel giro di pochi anni saranno Paesi ricchi anche loro. Vedo invece un grande potenziale nell’Africa, continente ricchissimo di materie prime e dove non hanno assolutamente nulla”.

Già, perchè il vero problema secondo Balma “è il livello di benessere che abbiamo già raggiunto in Europa, e il tasso di natalità troppo basso che farà calare negli anni popolazione e di conseguenza consumi. Chi avrà ancora bisogno di un televisore o di un frigorifero?”. Bisogna invece cercare di produrre in Paesi poveri: “Dunque, paradossalmente, se mi chiede un Paese dove produrre nei prossimi anni le risponderei provocatoriamente proprio l’Europa. Questa crisi, se non si implementano immediatamente delle riforme strutturali, togliendo sprechi e privilegi, ci impoverirà al punto che alla fine converrà di nuovo produrre qui”.

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