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Covid-19 e variante inglese: verso un nuovo lockdown?

Foto di Matt Seymour su Unsplash


La situazione diventa sempre più preoccupante. Nonostante i contagi sembrino attualmente sotto controllo e la situazione negli ospedali e nelle terapie intensive sia migliorata rispetto ai picchi della seconda ondata, la curva non scende come dovrebbe e la sensazione è quella di vivere la quiete prima della tempesta. 

LA VARIANTE INGLESE

Da giorni ormai gli scienziati parlano del pericolo relativo alla diffusione della variante inglese in Italia. Ad oggi, secondo i dati, sarebbe già presente nell’88 per cento delle regioni e tra qualche settimana potrebbe diventare predominante rispetto a quella originale, causando una nuova – l’ennesima – impennata di contagi. “Nell’arco di 5 o 6 settimane (la variante inglese, ndr.) potrebbe sostituire completamente o quasi l’altro ceppo attualmente circolante” ha detto il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro. 

Il primo a lanciare l’allarme qualche giorno fa, è stato Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza, che ha richiesto a gran voce al nuovo governo guidato da Mario Draghi di varare un lockdown duro allo scopo di “limitare la circolazione del virus al di sotto dei 50 casi ogni 100 mila abitanti”, sulla scia di quanto fatto in Francia e Germania. 

Della stessa opinione anche il direttore del reparto di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli secondo cui “Da più di un mese la variante inglese sta soppiantando la nostra versione del virus. Dobbiamo incentivare lo studio delle mutazioni del virus e trarne le conseguenze a livello nazionale”, ha affermato l’infettivologo, sottolineando che “dei 20 letti che seguo direttamente almeno uno su tre è stato contagiato da una variante”.

Le parole di Galli confermano i risultati di un’indagine a campione commissionata dal ministero della Sanità, secondo cui ad oggi, quasi il 17,8% dei casi positivi in Italia sarebbe da ricondurre alla variante inglese B.1.1.7. In Francia sono già arrivati al 20-25%, in Germania al 20%.

Il problema è che si tratta di una variante molto più contagiosa, tra il 30 e il 50% in più di quella originale, e dunque se dovesse diventare prevalente, il numero di contagi giornalieri, di ricoveri e di decessi potrebbe tornare a salire vertiginosamente. 

Più attendista, Roberto Burioni, virologo e docente all’università Vita-Salute San Raffaele, che su Twitter scrive: “Il problema non si risolve con le chiusure che servono solo a guadagnare tempo. Si risolve con il vaccino. Adesso sbrighiamoci”. 

LA VARIANTE BRASILIANA E LA VARIANTE SUDAFRICANA

Nel nostro Paese però stanno cominciando a circolare anche le altre due varianti identificate dagli scienziati, quella sudafricana e quella brasiliana. 

La variante sudafricana, spiega l’Istituto Superiore di Sanità “è stata isolata per la prima volta nell’ottobre 2020 in Sud Africa, mentre in Europa il primo caso rilevato risale al 28 dicembre 2020. Ha una trasmissibilità più elevata e sembra che possa diminuire l’efficacia del vaccino. Si studia se possa causare un maggior numero di reinfezioni in soggetti già guariti dal Covid-19”. Stesse caratteristiche anche per la variante brasiliana che ha causato focolai a Perugia e Chiusi. 

L’ITALIA A ZONE

Il Governo Draghi per il momento sembra escludere l’ipotesi di un nuovo lockdown nazionale, continuando con la suddivisione in zone di diverso colore e con lockdown locali per spegnere i focolai, come sta accadendo in questi giorni soprattutto in Umbria, Abruzzo e, da ieri, anche nel Lazio.

Nel frattempo si pensa già a una proroga del coprifuoco tra le 22 e le 5 oltre il 5 marzo (data di scadenza del decreto attualmente in vigore) e del divieto di spostamento tra Regioni, anche gialle, che terminerà il 25 febbraio. 

Parallelamente si cercherà di accelerare sui vaccini, cercando di immunizzare il maggior numero di cittadini nel minor tempo possibile: ad oggi sono 3 milioni le somministrazioni totali effettuate. È invece di 1.281.768 il totale delle persone a cui sono state somministrate sia la prima e che la seconda dose di vaccino.

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