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Cernobbio tra Borse e Governo: l’élite italiana teme un altro 8 settembre e pensa al dopo-Berlusconi

FIRSTonline

Se l’appuntamento di Cernobbio di fine estate promosso, come ogni anno, dallo studio Ambrosetti, è il barometro dello stato di salute dell’economia italiana e mondiale e degli umori dell’élite, il risultato di quest’anno si potrebbe riassumere in due parole: smarrimento e paura.

Smarrimento di fronte a una crisi globale che nemmeno gli economisti sanno se finirà in 7 o in 70 anni e paura per la consapevolezza di ballare sul Titanic senza un timoniere che sappia vigorosamente raddrizzare la rotta. Ma paura anche per la sensazione che il tempo sia scaduto e che la resa dei conti sia vicina. Questi sentimenti di angoscia sono ben presenti nella classe dirigente italiana e il workshop di Cernobbio li ha plasticamente portati alla luce. Le preoccupazioni non dipendono solo dal generale rallentamento dell’economia ma dalla presa di coscienza che l’esplosione del debito pubblico in tutto l’Occidente ha cambiato i paradigmi tradizionali dell’economia e che nessuno ha ancora trovato la soluzione a un teorema apparentemente impossibile: come ridurre il debito in assenza di una forte crescita o, se si preferisce, come riprendere la crescita in presenza di un debito molto elevato. L’incapacità di rispondere a questo dilemma ha anzi aggravato la situazione mettendo a nudo, in tutta la sua gravità, la crisi di leadership che tormenta l’America e l’Europa, per non dire dell’Italia.

Dal 9 di agosto il mondo è entrato nel suo quinto anno di crisi ma, se nel 2007 l’immagine simbolo che è entrata nell’immaginario collettivo è quella delle lunghe file di risparmiatori agli sportelli della Northern Rock e se nel 2008 è stata quella dei manager che uscivano con i loro scatoloni dalla sede di una Lehman Brothers impensabilmente fallita, l’immagine simbolo dell’estate del 2011 è più prosaica ma, al tempo stesso, più drammatica: è quella dell’impotenza della politica rappresentata dallo sguardo smarrito di Obama di fronte al Congresso o dall’inconcludenza del vertice Merkel-Sarkozy di poche settimane fa. In chiave domestica si potrebbe aggiungere che l’immagine simbolo della sbalestrata estate 2011 è l’incontro tra i ministri Calderoli e Sacconi che, bypassando incredibilmente il ministro Tremonti sotto le ali compiacenti del premier, decidono di scambiare la supertassa della manovra con il blocco del riscatto della laurea e del servizio militare ai fini dell’età pensionabile, salvo poi ammettere, qualche giorno dopo, di aver sbagliato i calcoli e cancellare tutto, senza mai nemmeno lontanamente pensare ai problemi dello sviluppo.

In un contesto internazionale già così preoccupante, non sorprende che un Paese come l’Italia, che “galleggia declinando”, come efficamente dice l’economista Angelo Tantazzi nell’intervista rilasciata a Firstonline, e che è diventato “il Giappone dell’Europa” per il suo spaventoso indebitamento e per la sua crescita anemica, sia tra i maggiori candidati a farne le spese e sia da tempo il bersaglio dei mercati.

Sulla splendida terrazza del Grand Hotel di Villa d’Este mai come in questi giorni la prima domanda che circolava era: che succederà lunedì a Piazza Affari quando riaprirà la Borsa dopo il tracollo di venerdì e dove arriverà lo spread tra Btp e Bund? Ma la seconda domanda, ancora più allarmata e allarmante della prima, era: come sarà quest’anno per noi italiani l’anniversario di una data funesta come quella dell’8 settembre? Già, che cosa succederà giovedì 8 settembre, quando nel board della Bce il presidente della Bundesbank chiederà conto alla Bce e al suo presidente Jean-Claude Trichet della ragione per la quale la banca centrale investa tanti soldi nell’acquisto di Btp senza che l’Italia mostri di voler fare quello che la semplice ragionevolezza avrebbe consigliato da tempo e cioè abbattere il debito pubblico e sostenere la crescita a suon di riforme e di liberalizzazioni? Proprio a Cernobbio ha provato a rispondere il ministro Tremonti, augurandosi che non arrivi una Versailles alla rovescia e che, a differenza del 1919, stavolta non sia la Germania ad usare il pugno di ferro verso i Paesi, come l’Italia, sconfitti dai mercati e dalla cifre dell’economia. Ma è inutile nascondere la testa sotto la sabbia ed è del tutto comprensibile l’inquietudine che serpeggiava tra manager e banchieri a Cernobbio e di cui il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia si è fatta in qualche modo portavoce: ammesso e non concesso che i saldi di bilancio siano rispettati, la manovra di Ferragosto è un insipido brodino rispetto allo spessore e alla velocità della crisi perché, al di là delle iniquità, ignora del tutto la dimensione della crescita e arriva alla fine di uno spettacolo di indecorosi ondeggiamenti di una serie di uomini di Governo palesemente inadatti che ne hanno irrimediabilmente minato la credibilità.

Non è affatto vero che gli italiani – come dimostrò la tassa straordinaria per l’euro – non siano disposti a fare sacrifici, anche maggiori di quelli fin qui sostenuti, ma vorrebbero che il Governo parlasse finalmente il linguaggio della verità sullo stato del Paese e chiarisse lo scopo e l’obiettivo dei sacrifici richiesti.

Giustamente il Capo dello Stato, intervenendo in teleconferenza proprio a Cernobbio, ha risposto che finchè c’è una maggioranza non si può pensare di cambiare Governo. Ma la vera domanda sul tappeto non è questa, bensì: che cosa succederà domani o l’8 settembre se i mercati e la Bce dovessero voltare le spalle all’Italia? L’entourage del premier ha già una risposta e forse una speranza: le dimissioni del ministro dell’Economia Tremonti. Non è per caso che da qualche giorno fonti interessate fanno circolare il nome di Lamberto Dini come quello del suo possibile sostituto. Ma fare di Tremonti l’unico capro espiatorio della fallimentare gestione di politica economica del Governo può far comodo a Silvio Berlusconi, ma è del tutto improbabile che serva a rassicurare i mercati. E allora? Nelle sale e nei giardini di Cernobbio circolavano, investiti del rispetto e dell’attenzione di tutti, due personaggi di statura internazionale come Mario Monti e Alessandro Profumo. Se la casa brucia, chissà che cosa riserverà a loro e a tutti noi il futuro.

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