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Visco (Banca d’Italia): “Così nascono le nostre stime sul Pil”

Imagoeconomica

“Esiste un solo bene, la conoscenza, e un solo male, l’ignoranza”. Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, ricorre a Socrate per introdurre il suo libro “Anni difficili, dalla crisi finanziaria alle nuove sfide dell’economia”, edito dal Mulino e presentato ieri per la prima volta all’Opificio Golinelli di Bologna, insieme all’ex premier Romano Prodi e al presidente di Unindustria Reggio Emilia, Fabio Storchi.

Per capire chi siamo oggi, Visco si guarda indietro e analizza un decennio di preoccupazioni e di grandi eventi, dalla crisi finanziaria globale a quella dei debiti sovrani dell’area euro, concedendosi, nella presentazione, anche un po’ di amara ironia, nel giorno in cui il Fondo Monetario a Davos dice che l’Italia è uno dei maggiori rischi globali. Nel libro, scherza il governatore, c’è un errore di stampa laddove si legge che “stiamo uscendo” dagli anni difficili. O ne siamo già usciti o ci siamo ancora dentro e sapere qual è la situazione reale è meglio che mettere la testa sotto la sabbia. Conoscere è bene, ignorare è male.

Le critiche ai numeri e alle previsioni di crescita non daranno infatti al paese la spinta necessaria a mettersi in moto e non forniranno all’Europa quell’iniezione di fiducia di cui ha bisogno. La luce della conoscenza non è mai arrogante: “Tutte le previsioni – ammette Visco – possono essere sbagliate. Si dice lo 0,6% o l’1% o l’1,5%, ma in realtà non si può prevedere niente, nessuno ha la sfera di cristallo”. Quello che si può fare però è mettere in fila dei fatti, delle probabilità, positive e negative, stilare un grafico e vedere da che parte pende.

È quello che in sostanza ha fatto l’istituto centrale nell’ultimo bollettino con la stima del Pil 2019, rivista allo 0,6%, tenendo conto dell’impatto positivo che la nuova manovra di bilancio potrà avere nell’immediato sui consumi. Il risultato è che “i rischi verso il basso sono superiori a quelli verso l’alto”. Lo 0,6% di Pil nel 2019, contro l’1% messo in conto dal governo “è in realtà la ‘moda’, come si dice in matematica, di una distribuzione di probabilità asimmetrica verso il basso, la mediana più bassa”.

L’Italia è dunque “un paese in difficoltà, in un continente in difficoltà”. La Brexit è l’altro grande elemento destabilizzante, secondo l’Fmi, che parte dall’Europa e si ripercuote a livello globale.

Paradossalmente però, secondo Romano Prodi, la Brexit potrebbe aiutare l’Europa a ricompattarsi, se non per amore, almeno per necessità. Anche in vista delle elezioni europee, lo stentato cammino dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione potrebbe rafforzare il senso dell’irreversibilità dei passi compiuti dai paesi membri. “In questa partita – osserva Prodi, già presidente della Commissione Ue – abbiamo visto un Regno disunito e un’Europa compatta. Ed è un bene, perché abbiamo più che mai bisogno di stare insieme in un mondo dove Usa e Russia ci stringono nella loro morsa. Se saremo razionali lo faremo”.

Su un altro punto Prodi e Visco sono apparsi particolarmente in sintonia e cioè sulla solidità del sistema bancario italiano.

“Nessuno ha mai detto che quello italiano è il miglior sistema bancario d’Europa – sostiene Visco – è stato detto che è un sistema solido nel suo complesso”. Le banche italiane “hanno avuto il minore contributo pubblico di tutta l’Unione Europea”. E se un rimpianto c’è è quello di aver negoziato male le regole del gioco che sono cambiate dal 2013. Resta il problema del credito alle imprese, in un paese dove il denaro costa di più a causa dello spread e dove le piccole medie imprese ricorrono molto più che negli altri paesi alle banche.

Infine un altro nodo da sciogliere in Italia è quello della formazione, forse il nodo più importante.

“Il problema di fiducia nel nostro paese – dice Visco – deriva secondo me dalla nostra scarsa capacità di crescere. Se il rapporto debito-Pil è arrivato a superare il 130% è perché cresciamo poco. Contro questa deriva dobbiamo investire quanto più possiamo in istruzione, formazione e ricerca”. Il nostro mercato del lavoro “è oggi fin troppo flessibile. Persone come Treu e Biagi hanno sbagliato. In questi anni il lavoro temporaneo e precario è aumentato e le imprese hanno investito meno in formazione permanente. È ora di ripensare questo cammino e d’investire di più in conoscenza e competenze, per superare i ritardi che non sono solo quelli dell’Italia del Sud”. La conoscenza è il bene, l’ignoranza è il male.

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Categories: Economia e Imprese