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Ucraina-Russia: guerra o no? Quattro scenari in campo

Imagoeconomica

Gli ucraini non credono che i russi possano attraversare le frontiere e dirigersi verso le grandi città del Paese. Per questo alcuni giorni fa hanno cercato di gettare acqua sul fuoco dopo che le ambasciate di Usa, Gran Bretagna e Australia avevano fatto rientrare nei rispettivi Paesi una parte dei loro diplomatici. “Una minaccia di invasione dell’Ucraina da parte della Russia al momento non esiste”, aveva detto il ministro della Difesa ucraino, Alexei Reznikov, in un’intervista alla televisione Ictv di Kiev, ripresa dall’agenzia Interfax.

È vero, c’è una quantità enorme di soldati russi al di là della frontiera orientale del Paese, e dal nord si sono mossi pure quelli bielorussi, sui quali Putin può contare a occhi chiusi. Chi dice 100mila, chi il doppio: nessuno li ha contati. Ma è altrettanto vero che una cosa è minacciare di invadere, un’altra è mettere in pratica l’invasione. Tanto più se si tratta di conquistare città grandi, come Kharkiv, la prima che i russi si troverebbero di fronte: un milione e mezzo di abitanti. Certo, potrebbe aiutare l’invasore il fatto che si trovi in un’area a maggioranza russofona, dove, secondo un sondaggio dell’Accademia ucraina delle Scienze, fino al 2011 solo il 28% della popolazione parlava ucraino come prima lingua, mentre tutti gli altri il russo. Ma questo presunto sostegno dovrebbe fare i conti con la difficoltà di portare i carri armati in centri cittadini densamente popolati. I russi lo hanno sperimentato a Groznij, la capitale cecena, nel 1994, che, pur essendo molto più piccola di Kharkiv (la metà degli abitanti), tenne testa per oltre un mese ai tank di Mosca e cedette solo quando fu completamente distrutta.

Scenario 1: guerra totale

Non che la guerra totale non sia uno scenario plausibile: i soldati alle frontiere sono un dato di fatto. Ma se Mosca vuole dimostrare che quella parte di mondo le appartiene, potrebbe seguire piani più raffinati. Il Moscow Times, giornale di lingua inglese di Mosca, propone ai lettori quattro scenari, compreso quello della guerra totale, al quale non crede (quasi) nessun analista per i motivi sopra illustrati: difficoltà a entrare nelle città densamente abitate (non solo Kharkiv, ma anche la capitale Kiev), affinità culturali che possono anche dare sorprese, e lo spettro Afghanistan: si entra, si conquista, e poi? come si mantiene?

Scenario 2: guerra nel Donbass

Gli altri scenari proposti dal giornale partono dal più gettonato: la guerra solo nel Donbass, l’area sud orientale dell’Ucraina, a maggioranza russofona, oggetto dell’invasione del 2014 e che da allora si è autodefinita zona autonoma. Sarebbe possibile. Il tema è caldo a Mosca. Alla Duma (il Parlamento russo) è stato già approvato un appello dei comunisti a fermare il genocidio in atto contro i “fratelli” vessati dagli ucraini. L’annessione, tuttavia, non è quello che ha auspicato Putin finora. Il presidente russo ha sempre ritenuto ufficialmente quel conflitto una questione interna all’Ucraina, una specie di guerra civile fra gli abitanti di lingua russa (le vittime) e quelli che parlano ucraino (i persecutori). Gli sarebbe piaciuto che venisse applicato l’accordo di Minsk che seguì a quella rivolta e che concede ai territori ribelli ampia autonomia, ma sempre dentro l’Ucraina. L’invasione e l’annessione del Donbass romperebbe questo quadro, ma darebbe un’altra lezione all’Ucraina e le porterebbe via un altro pezzo di territorio.

Scenario 3: azione dimostrativa

Un terzo scenario proposto dal Moscow Times somiglia a quello che è accaduto nella Georgia, nel Caucaso, nel 2008. Il lodo Georgia prevede un’operazione limitata oltre le frontiere: penetri in Ucraina, sconfiggi il primo esercito che incontri e torni a casa. Azione dimostrativa, che in Georgia funziona ancora visto che l’Abkhasia (l’antica Colchide, la terra di Medea) e l’Ossetia del Sud sono ancora territori ribelli, protetti da Mosca. Ma è un’arma a doppio taglio. Perché non solo la Georgia, pur avendo perso un quinto del suo territorio, non ha capito la lezione ed è sempre rimasta filoccidentale, ma aspira ancora a entrare nella Nato.

Scenario 4: guerra non convenzionale

E infine la descrizione dell’ultimo scenario, quello che già sta accadendo: una guerra non convenzionale, ibrida, fatta di minacce psicologiche (i soldati ammassati al confine) e pressioni cibernetiche per destabilizzare il Paese. Hacker bielorussi hanno già attaccato il governo ucraino bloccando servizi amministrativi importanti mentre l’invasione di notizie false è in atto permanentemente sui social. Si può continuare così in attesa di risposte da Washington più generose.

Le promesse infrante dagli Usa sui confini della Nato

Dove ci porta questa descrizione? Intanto a mettere a fuoco quel pezzo di mondo che fino a 30 anni fa faceva parte di un sistema, l’Unione Sovietica, e che da allora, da quando quel sistema è imploso, vaga alla ricerca di un posto al sole, Russia compresa. Partiamo proprio da allora, quando (secondo una bella ricostruzione dell’Economist), per ottenere il suo assenso alla riunificazione della Germania, fu promesso a Gorbaciov che mai la Nato sarebbe andata oltre quel Paese. Glielo giurò Bush padre nel vertice di Malta nel 1989 (“non mi sono messo a saltare sul Muro di Berlino”), lo confermò a Mosca il segretario di Stato Baker (“non ci sarà allargamento dell’alleanza verso Est nemmeno di un centimetro”); e anche quando l’Urss crollò definitivamente nel 1991, lo ribadì il premier inglese Major, a nome degli alleati occidentali (“non stiamo parlando di rafforzare la Nato”).

In trenta anni però l’Alleanza atlantica si è allargata a Est non di un centimetro, ma di mille chilometri. Degli otto Stati che facevano parte del Patto di Varsavia sette oggi sono membri della Nato. Con la conseguenza che la distanza tra un Paese Nato, l’Estonia per esempio, e San Pietroburgo è poco più di 200 chilometri. Pur senza essere paranoici come forse è Putin, si comprende che la cosa, vista dalla capitale russa, può impressionare.

A questo si aggiunge l’ultimo tassello che ha fatto saltare il banco. Lo scorso dicembre è stata confermata a Ucraina e Georgia la promessa fatta loro nel 2008 che presto sarebbero anche esse entrate nella Nato. Putin è esploso. “Cosa ci fanno gli Usa in Ucraina, alle porte del nostro Paese? – ha dichiarato – Dovrebbero capire che non abbiamo più spazio per arretrare”. E la botta finale: “Pensano che resteremo a guardare senza fare nulla?”.

La reazione della Russia di Putin

Da qui la massa di soldati schierati alla frontiera ucraina e le richieste audaci alle quali il segretario di Stato americano Blinken ha promesso di rispondere per iscritto: 1. arretramento consistente della Nato; 2. creazione di una sfera di influenza russa in Europa orientale, nel Caucaso e nell’Asia centrale. La prima significa che la Nato deve escludere altri allargamenti, leggi Ucraina e Georgia; la seconda vuol dire che la Nato deve ritirare le forze che erano state inviate in Polonia e nei Paesi Baltici dopo che, nel 2014, la Russia era intervenuta nel Donbass e aveva annesso la Crimea.

Proposte considerate estremamente audaci anche dagli osservatori russi (“e un unicorno no?”, ha scherzato un commentatore). Dmitry Trenin, direttore dell’Istituto Carnegie di Mosca, ha sostenuto che le due proposte non sono credibili perché sono state avanzate pubblicamente e non nella maniera discreta della diplomazia. Propaganda quindi. Per farsele bocciare e avere un pretesto per l’invasione? Chissà. Oppure è una posta alta per ottenere altro. Come ritiene un altro studioso, stavolta americano, Matthew Rojanski, dell’Istituto Kennan di Washington, secondo il quale Putin potrebbe essere interessato a rivedere due Trattati, quello sul controllo dei missili nucleari a medio e corto raggio e quello sulle armi convenzionali in Europa. Un incontro e un compromesso sull’argomento farebbe piacere agli americani che potrebbero concentrare il loro arsenale sul Pacifico, vedi in funzione anti Cina.

L’arma in mano al Cremlino: le forniture di gas

Ma sarebbe possibile promettere a Putin che, in cambio, “mai” nessun altro Paese ai suoi confini entrerà nella Nato? Bella domanda. Nel frattempo, è lui ad avere il coltello dalla parte del manico, perché controlla le forniture di gas. Prendiamo l’Italia per esempio. Metà della nostra elettricità si ottiene bruciando gas. Lo si usa nell’industria e nelle abitazioni per riscaldare e cucinare: in 17 milioni e mezzo di case su 25 milioni in totale. Dopo Natale la fornitura russa al nostro Paese è calata di circa un terzo. Ufficialmente per ragioni “commerciali”, ma si capisce che i venti di guerra che spirano dall’Ucraina non sono estranei. E lo stoccaggio del gas a casa nostra è bassissimo. Sembra di essere tornati al 2006/2009, quando l’altro conflitto fra Mosca e Kiev portò al taglio delle forniture. Di diverso oggi abbiamo solo un piccolo aiuto dal Tap, il gasdotto tanto contestato che ci porta il gas dall’Azerbaijan. Dovevamo diversificare di più, non dipendere da Mosca e basta. Parole, parole, parole.

Era inevitabile arrivare a questo livello di scontro?

La storia non si fonda sui destini precostituiti, ma sui fatti concreti. E due sono i fatti concreti accaduti negli ultimi 10 anni. Il primo riguarda la Russia. Non c’è dubbio che abbia cambiato strada, che politicamente si sia involuta. All’interno sono partiti attacchi alla società civile e agli oppositori (il caso Navalnji, l’omicidio Nemtzov, i giornalisti uccisi o imprigionati). mentre Putin ha deciso che non avrebbe più lasciato il potere perché nessuno lo merita più di lui facendosi eleggere praticamente a vita. All’estero è stato usato l’esercito non solo per riportare l’ordine nella propria Federazione (vedi Cecenia), ma anche in altri Paesi (Ucraina e Georgia in primis; Bielorussia e Kazakistan in tempi più recenti).

Quanto all’allargamento della Nato, come fanno notare gli occidentali Trattati alla mano, non è stato indolore per americani e alleati. L’entrata di Cechia, Polonia e Ungheria nell’Alleanza, per esempio, ha significato che un gran numero di soldati americani ha lasciato il suolo europeo e che le forze militari di ogni Paese sono state tagliate. E infatti gli accordi erano stati firmati anche dalla Russia. Tanto che l’allora premier Medvedev aveva detto che “si era riusciti a lasciare alle spalle un periodo difficile nelle nostre relazioni”.

L’altro fatto concreto e incontrovertibile è che nel rapporto con la Russia l’Occidente non è mai innocente. Nessuno ha mai creduto fino in fondo, in Europa come a Washington, che la divisione del mondo fosse finita sul serio una volta caduto il Muro e l’impero sovietico. Dopo quella rottura della Storia ci si è fermati a metà strada, lasciando immaginare a popoli sottomessi e impauriti che bastasse entrare nella Nato per raggiungere la democrazia ed essere protetti da ogni tirannia. Ovviamente non era così: un’Alleanza militare non può infondere fiducia nei diritti ed educare alla libertà e alla tolleranza. Lo verifichiamo ogni giorno con alcuni Paesi dell’Est. frettolosamente fatti entrare nella Ue e che rappresentano una spina nel fianco sulla strada comune. La Nato andava riformata subito, appena crollata l’Urss, perché era nata con l’intento di difendersi da quel sistema e quel sistema non esisteva più. Se fosse stato fatto, la Storia sarebbe andata da un’altra parte. Perché trent’anni fa, quando tutto accadde, Mosca era pronta a tornare a casa, in Europa. Peccato non averci creduto. Ora la Russia di Putin vuole far risuscitare Yalta, le sfere di influenza. Forse non ha scelta, visto come sono andate le cose. E l’Occidente ce l’ha?

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  • PUTIN SEI L'ULTIMA FECCIA (BOTTOM) DOPO DI TE CI SONO SOLO VIRUS E BATTERI VALE A DIRE CHE NON HAI NEANCHE LA STRUTTURA BIOFISICA DEGLI ORGANISMI EUCARIOTI.

  • Quando l'Unione Sovietica installò i famosi missili a Cuba gli Stati Uniti
    reagirono con un blocco navale che portò il mondo ad un passo dall'apocalisse
    nucleare.
    Poi tutto rientrò, anche se ci ostiniamo a dimenticare che gli Stati Uniti
    avevano già installato i loro missili in Turchia.
    A quanto ricordo, gli americani hanno più volte garantito (anzi: giurato) alla
    Russia che mai e poi mai l'Ucraina ed altri Paesi dell'ex blocco sovietico
    confinanti con la Russia sarebbero entrati nella NATO. Promesse da marinaio?
    Domandiamoci cosa farebbero gli Stati Uniti se, ad esempio, il Messico
    installasse rampe missilistiche a due passi dal confine; sicuramente
    invaderebbero il Paese per scongiurare la minaccia.
    E quindi? Putin dovrebbe digerire i missili fuori casa?