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Tra le Pmi aumenta la voglia di rating come alternativa al difficile (e più caro) credito bancario.

Tra le Pmi è sempre più voglia di rating. I giudizi delle agenzie sull’affidabilità del credito sono stati per anni appannaggio in Italia soprattutto delle grandi aziende. Un po’ per questione di costi e di taglio delle emissioni obbligazionarie, un po’ per l’abitudine del tessuto imprenditoriale italiano ad affidarsi al canale bancario per il credito.

Ma oggi la crisi ha cambiato le carte in tavola: con il credito bancario ormai prosciugato, le Pmi studiano fonti di finanziamento alternative. C’è chi sceglie la strada dei finanziamenti privati. E chi invece guarda ai mercati dei capitali con emissioni obbligazionarie pubbliche. Dove per avere successo e ricevere l’attenzione dei fondi è spesso necessario ottenere il rating, ossia il giudizio sulla affidabilità dell’azienda nel ripagare il debito (non è obbligatorio: alcuni gruppi noti hanno percorso con successo la strada delle emissioni unrated, come ha fatto anche di recente Campari).

Una tendenza che pare in crescita in questi ultimi anni non solo tra le grandi imprese ma anche tra le Pmi. “Tra le corporate europee c’è un trend molto significativo in termini di accesso ai mercati dei capitali per ridurre l’esposizione bancaria e diversificare le fonti di finanziamento – conferma Guy Deslondes, Responsabile Heavy Industries EMEA di Standard & Poor’s – È un trend che vediamo da un po’ di anni e che ora sta accelerando. E oggi è più tangibile: anche le pmi che in passato non hanno mostrato molto interesse per il rating, stanno gradualmente avvertendo la necessità di accedere al mercato dei capitali. È cambiata la situazione psicologicamente. Ci riferiamo comunque a pmi da 300/500 milioni di fatturato, il cosiddetto mid market, dal momento che la soglia minima per le emissioni è generalmente di 150 milioni di euro”.

Firstonline – Come mai questa accelerazione?

Alla base delle nuove esigenze delle Pmi c’è la scarsità dei capitali delle banche che è ormai un fenomeno irreversibile e strutturale. E questo per le modifiche regolamentari come Basilea III, oltre che per il rallentamento della crescita e le difficoltà di accesso alla liquidità da parte delle banche dei Paesi periferici, attualmente in miglioramento. Inoltre, oggi le preferenze degli investitori vanno più al rischio corporate che al rischio sovrano a cui vengono assimilate le banche.

Firstonline – Sono le stesse banche a spingere le aziende alla riduzione dell’esposizione favorendo le emissioni sul mercato dei capitali?

Sì. D’altra parte è giusto aspettarsi una quota minore di rifinanziamento bancario, verso standard più americani. Tra il 2012 e il 2016 il bisogno di rifinanziamento delle corporate Europa è di 8,6 trillioni di dollari, l’85% è solo rifinanziamento del debito bancario. Una quota che dovrà ridursi. Negli Usa i finanziamenti passano per il 45% dalle emissioni obbligazionarie pubbliche e solo il 15% dalle banche. Non solo. A queste esigenze bisogna sommare circa 1,9 trillioni di dollari di finanziamento aggiuntivo dovuti a esigenze di crescita e investimenti.

Firstonline – Abbiamo visto negli ultimi due mesi molte operazioni di successo di alcuni big come Enel che hanno approfittato della dell’allentamento delle tensioni sullo spread ma meno operazioni del mid market, come mai?

La situazione al momento non è così semplice sul mercato dei capitali. Il costo del finanziamento è basso, forse anche troppo basso in confronto al merito di credito sottostante di alcuni emittenti, ma anche estremamente volatile e imprevedibile. È difficile ad oggi fare piani di rifinanziamento a lungo termine. C’è poi il rischio di sovraffollamento per la voglia degli emittenti a emettere bond in tempi brevi e perché le finestre di accesso al mercato sono poche. Emettere obbligazioni pubbliche in tempi brevi non è cosi facile, soprattutto per chi non è mai andato sul mercato obbligazionario. Il risultato è che c’è un certo numero di società del mid-market che si rivolgono a noi per ottenere un rating allo scopo di provare ad emettere un bond ma poi non lo emettono mai. Altre società invece abbandonano il processo di ottenimento di un rating perché nel frattempo le condizioni di mercato si sono deteriorate.

Firstonline – Come mai?

Oggi se le aziende vanno sul mercato il costo del finanziamento si rivela generalmente inferiore rispetto al credito bancario. Tuttavia il costo non è l’unica variabile da prendere in considerazione: andare sul mercato dei capitali significa, per questo tipo di realtà, cambiare il modo di operare rispetto a quello a cui erano abituate con la banca, con la quale il management ha da sempre avuto relazioni dirette. In questo caso le banche hanno un ruolo fondamentale nel far capire alle aziende che è necessario diversificare le fonti di finanziamento e che devono migliorare la loro comunicazione. Spesso le società che sono interessate al rating non sono società quotate e quindi devono iniziare a comunicare in modo diverso dal passato e in maniera più trasparente e sofisticata. Lo stesso mandato alle agenzie di rating implica il fornire maggiori e migliori informazioni.

Firstonline – Quanto dura il processo di ottenimento del rating?

I tempi standard sono di 6-7 settimane ma dipende molto dal livello di preparazione delle aziende, come ad esempio dall’ammontare delle informazioni fornite sul piano di rifinanziamento. Per alcune società i tempi si allungano un po’ nel caso debbano preparare nuova documentazione.

Firstonline – Ci sono differenze tra Italia ed Europa in questo fenomeno?
Il trend di richiesta del rating è uguale sia in Italia che in Europa, ma in Italia la materializzazione dell’uso in emissioni obbligazionarie di questi rating è inferiore. Per l’Italia in particolare, ci aspettiamo un’accelerazione delle emissioni nel caso in cui dovessero migliorare le condizioni di accesso al mercato dei capitali.

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