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Spending review della scuola, un taglio allo spreco

Docenti riciclati in compiti di segreteria o in insegnamenti diversi dalle classi di concorso di appartenenza, perdita di posti di lavoro per i precari e iniqui provvedimenti sulla scuola è l’allarme lanciato dai sindacati del settore non appena è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge 135 con cui viene convertito il decreto legge 95 del 6 luglio scorso sulla “spending review”.

Tutti timori comprensibili dal punto di vista umano, quelli dei precari che vedono assottigliarsi sempre di più gli spazi per entrare nel ventre di quel carrozzone che è stato la scuola per decenni, ma forse bisogna ricordare che se per un’organizzazione è necessario risparmiare, è inevitabile utilizzare lavoratori di cui si dispone piuttosto che assumerne di precari. Il precariato è un fatto patologico da rimuovere e non un diritto da difendere. Del resto, i provvedimenti tanto paventati sono stati compensati dal decreto del 10 agosto che prevede l’assunzione a tempo indeterminato di 21000 docenti e la stabilizzazione dei precari su posti vacanti ha riscosso l’apprezzamento della responsabile scuola del Pd, Francesca Puglisi.

Tutte preoccupazioni legittime quelle dei docenti che vedono la prospettiva di essere utilizzati diversamente da come lo sono stati finora, ma in realtà di che cosa si tratta? A lungo sono state invocate riforme che mettessero un po’ di innovazione ed efficienza nella scuola. Il riordino delle superiori dovrebbe andare in questo senso ma ha inevitabilmente prodotto l’esubero di docenti impegnati in insegnamenti ormai superati. Quindi, i provvedimenti tanto criticati non prevedono certo di mandare un insegnante di lettere a fare lezioni di matematica ma di riqualificare flessibilmente le competenze in insegnamenti affini tra di loro e compatibili con i titoli di studio conseguiti.

Insomma, tanto per fare un esempio, quello che potrebbe succedere è che un insegnante debba rispolverare gli studi fatti per insegnare materie di cui possiede o, almeno dovrebbe possedere, le competenze. Dovrebbero poi passare nei ruoli ATA – il personale di segreteria o ausiliario, per intenderci – gli insegnanti tecnico pratici, non laureati, che trattavano in classe gli stessi argomenti del titolare di una materia. Forse ci si dovrebbe interrogare su cosa indusse, negli anni passati, a massicce e sconsiderate immissioni in ruolo finalizzate più alla creazione di posti di lavoro garantiti che alla qualità dell’insegnamento.

Comunque, in una situazione drammatica per il Paese tutti sono chiamati a fare sacrifici: docenti inidonei o in esubero e insegnanti tecnico pratici verranno utilizzati diversamente da come lo sono ora, ma non perderanno il loro posto di lavoro. I lavoratori della Wind Jet e dell’Ilva o delle tante piccole aziende che chiudono i battenti hanno ben altri pensieri, per loro il rischio non è di spostarsi in provincia o in altre mansioni ma di non lavorare affatto.

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