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Siria, la sinistra francese alla guerra: perché Hollande vuole l’intervento anti Assad

E’ una situazione quasi surreale. Dieci anni fa, quando partì l’attacco internazionale all’Iraq, la leadership degli oppositori a quell’intervento venne presa dalla Francia, Paese allora sotto il “regno” della destra, presidente Jacques Chirac. Il discorso pronunciato dal ministro degli Esteri, Dominque de Villepin, all’Onu, nel febbraio 2003, diventò un riferimento per i pacifisti di mezzo mondo. Adesso, invece, la Francia si scopre “guerrafondaia”, anche se l’eventuale azione contro Damasco è giustificata dalla volontà di salvaguardare i diritti umani. E oggi la Francia è gestita dalla sinistra.

Sì, bisogna uscire davvero da una dicotomia scontata, destra contro sinistra, rispettivamente pro e contro l’uso della forza. La situazione è ribaltata… anche a livello dell’opinione pubblica. Pochi giorni fa un sondaggio condotto da Csa, istituto giudicato affidabile Oltralpe, ha indicato che appena il 45% dei francesi approva il possibile intervento in Siria. Ma, se ci si limita al bacino degli elettori della sinistra, si sale al 55%. E addirittura al 62% per i socialisti.

Le ragioni di una situazione del genere sono molteplici. Congiunturali, innanzitutto. Perché Laurent Fabius, l’attuale ministro degli Esteri, è un atlantista della prima ora. Già negli anni Ottanta, quando si piazzava ai vertici del Partito socialista, era un filoamericano, spesso in polemica con i compagni di partito. E’ anche stato sempre più vicino alle posizioni di Israele che dei suoi nemici arabi. Fabius è all’origine della determinazione del Governo francese nel coinvolgersi in un’eventuale operazione contro Assad, per mettere fine all’uso di armi chimiche, cui avrebbe fatto ricorso il dittatore siriano. François Hollande, a tratti spiazzato sulla scena internazionale, soprattutto su fronti non europei e su problematiche non economiche, è sotto la diretta influenza di Fabius. A Parigi diversi osservatori ricordano anche il rapporto di amicizia che si è sviluppato fra Hollande e Obama, che sarebbe all’origine di questa nuova sintonia franco-americana.

Ma le ragioni dell’atteggiamento convinto di Parigi ad andare fino in fondo verso un intervento militare in Siria va al di là della congiuntura. Insomma, non è una novità per la gauche. Dagli anni Novanta i principali maitres à penser della sinistra parigina si sono schierati, in contesti simili, a favore di operazioni militari, se erano la sola via d’uscita per ripristinare i diritti umani e se in ballo vi erano crimini contro l’umanità. Basti pensare al filosofo per eccellenza, Bernard-Henri Lévy, che negli ultimi giorni, in un editoriale di Le Monde, ha ribadito la necessità ad agire contro Damasco. Anche nei mesi scorsi, quando la Francia intervenne (a quel momento da sola) in Mali contro i jihadisti, né i politici della sinistra, né l’opinione pubblica vicina a quella parte politica hanno fiatato. E nel 2011, quando Nicolas Sarkozy fu uno dei promotori dell’intervento in Libia, la sinistra si accodò.

Domani, mercoledì, è previsto un dibattito parlamentare sulla questione, per il momento senza un voto finale, perché la Costituzione prevede che il Presidente possa decidere da solo un’operazione come quella che si profila in Siria. C’è ora chi chiede quel voto, perché, come ha sottolineato il premier François Fillon, “la Francia non può partire alla guerra senza un sostegno chiaro del Parlamento”. Ma è più una questione di forma che di sostanza. Anche l’Ump, il partito di centro-destra, è globalmente d’accordo su un intervento contro Damasco. Si oppongono solo il Front National di Marine Le Pen e il Front de gauche, formazione dell’estrema sinistra. Ma l’alleato di quest’ultimo, il Partito comunista, pur spingendo perché ci sia un voto all’Assemblea nazionale, propende per il sì. Anche loro, i comunisti, a sinistra. A la guerre.

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