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Sapelli: “La riforma del lavoro è positiva ma sull’art.18 e sui licenziamenti ho molti dubbi”

L’ intervento del vecchio e stimato amico Gianfranco Borghini sul tema della riforma del lavoro che presto andrà in discussione in Parlamento (checchè ne dicano i sostenitori del “governo d’ eccezione” ) mi spinge a dir brevemente la mia a partire da alcuni dei temi sollevati da Gianfranco.

Innanzitutto io non credo che per stimolare l’occupazione sia essenziale la “condizione” del mercato del lavoro. E’ una ipostatizzazione neoclassica indimostrata a cui io non aderisco. Ciò che rea lavoro è l’ investimento e l’investimento- come ci insegnava Kalezcki- crea profitto e lavoro perché dal lavoro vivo viene il profitto e le determinanti che lo generano sono molte e il mercato del lavoro è una delle concause, mai la causa principale. Il fatto, poi, che si continui a raccontare la favola che più il mercato del lavoro è liberalizzato (ossia assumi e licenzi quando e come vuoi) più si crea occupazione, è anche questo un assunto che non solo è indimostrabile, ma la storia economica e la storia del presente dimostra che è vero il contrario: la Spagna ha il mercato del lavoro più liberalizzato del mondo, dopo l’ Africa Nera, e ha tassi di disoccupazione spaventosi, soprattutto per i giovani.

Un’altro assunto a cui non credo è la contrapposizione tra garantiti e non. I lavoratori occupati in Italia e nell’Ocse sono così garantiti che oggi, sempre nell’Ocse, abbiamo 200 milioni di disoccupati e circa il 20% di disoccupazione è strutturale, ossia decine e decine di migliaia di donne e uominini tra i 40 i 65 anni non torneranno mimi più al lavoro. Quindi basta con le fantasie da professori universitarie che sanno la matematica ma puoi non sanno più nulla….

Veniamo al pratico: la legge su cui si sta lavorando certo è positiva, perchè spazza di fatto via quegli inutili e dannosi contratti a tempo indeterminato che oltre che lavoretti ignobili hanno creato decrescita demografica e aumento delle malattie mentali tra i giovani e in meno giovani per l’instabilità sociale in cui hanno gettato il lavoratore di ogni età e di ogni sesso. Viva l’apprendistato, dunque, viva il periodo di prova, viva il lavoro a tempo indeterminato che non è affatto lavoro a vita (anche se i piccoli imprenditori e gli operai che lavorano nelle loro imprse insieme passano una vita nel dolore e nella gioia…).

Il problema della flexsicurity su cui hanno scritto pagine mirabili gli allievi di Bruno Contini a Torino, e che il Ministro Fornero dovrebbe rileggere per bene, la flexsicurity è certo annunciata nel provvedimento, ma si tratta ancora di un sogno lontano e indistinto, che non mi pare sia finanziato come dovrebbe, ossia con un sano e deciso aumento in questo settore della spesa pubblica e non con tassazioni di scopo (sulle imprese e sui lavoratori) perché l’istituzione di un welfare universalistico è un bene comune da governare con cura, che migliora se sfugge all’assistenzialismo e alla depressione dei lavoratori: è un bene comune, dicevo, di cui gode tutta la società. Quindi qui andiamo nel verso giusto.

Molto dubbioso mi lascia, però, la parte sul licenziamento, ossia sull’articolo 18 e sulla distinzione tra vari tipi di licenziamento. Le mie conoscenze di diritto del lavoro sono deboli ma da giovane passai molto tempo con Gino Giugni mentre si lavorava allo statuto dei diritti dei lavoratori e poi collaborai a lungo con un amico che oggi più che mai mi manca moltissimo: Felice Mortillaro, colto e intelligentissimo eterodosso difensore dei datori di lavoro. Ebbene, quell’articolo in effetti nacque solo per limitare le rappresaglie sindacali contro la FIM CISL e la CGIL. A questo pensavano Brodolini e Giugni. Poi si è esteso il riferimento anche a tutte le forme di licenziamento; ora si vuol tornare all’origine ma con un’imperizia tecnica che anche un dilettante come me non riesce a non vedere.

Qualche esempio. In primo luogo tutte le normative escogitate devono fare i conti con i tempi della giustizia. L’imprenditore non può assumere un altro lavoratore sennò l’occupazione aumenta e non diminuisce: dopo qualche anno può trovarsi non più uno ma due lavoratori, perchè nel contempo ne ha assunto inevitabilmente un altro. E il lavoratore che attende la sentenza? Inoltre mi pongo questa domanda: dato che è sempre il giudice, anche in questo modello, a dire l’ultima parola, se nel caso di licenziamento per natura economica il motivo si rivela non sussistente, per il lavoratore non è previsto il reintegro e questo è un atto ingiusto. E’ un abuso. Insomma mi sembra che non ci sia… la tecnica. E ci siano un sacco di favole…

In fondo sono un vecchio cislino e sono ancora d’ accordo con Storti allorché disse in merito allo Statuto: “Il nostro statuto è il contratto”. Fu una brutta legge e una brutta legge rimane. E’ solo la contrattazione e l’ accordo tra le parti che veramente può difendere il lavoratore.

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