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Riforma del lavoro, ecco perché oggi all’Italia non conviene abolire l’articolo 18

Nel dibattito aperto da FIRSTonline sull’articolo 18 riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera dell’economista Giorgio La Malfa in risposta all’ultimo intervento di Ernesto Auci:

“Caro Auci,

vorrei fare alcune considerazioni sul tuo articolo, che ho trovato molto interessante. 

La prima è che finalmente si comincia a capire, anche se con grande ritardo, che per affrontare la grave crisi depressiva nella quale si trovano i Paesi dell’area dell’euro e l’Italia in particolare, bisogna operare dal lato della domanda aggregata. Quando il problema è questo, le cosiddette riforme delle quali si parla ed anche tu stesso parli sono generalmente utili: la riforma della giustizia, quella della pubblica amministrazione, quella della scuola e così via. Ma non sono determinanti, anche perché richiedono tempo per essere efficaci, mentre noi abbiamo bisogno di uno stimolo forte ed immediato. 

Vi sono altre riforme, invece, che possono essere importanti, ma che in questo momento rischiano di essere controproducenti. Fra queste vi è la riforma del mercato del lavoro. L’urgenza delle riforme del mercato del lavoro nasce dalla diagnosi che siano le rigidità dell’offerta di lavoro a causare la disoccupazione. Ma proprio Draghi ha efficacemente argomentato che oggi il problema è la domanda, non l’offerta. Quindi è sbagliato, almeno in questo momento, spingere l’acceleratore in questa direzione.

Io comprendo perfettamente le ragioni tutte politiche che spingono il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, a proporre il tema dell’articolo 18: vuole completare la trasformazione dell’anima del suo partito. Ma, appunto, si tratta di ragioni politiche che hanno a che fare con il rinnovamento del suo partito, non con i problemi economici dell’Italia di oggi. Se attuate in questo momento, esse sono destinate ad aggravare le già difficili condizioni economiche del Paese. 

Ho sentito il ministro del lavoro dire che bisogna fare come in Inghilterra, dove la gente è licenziata liberamente il venerdì e il lunedì successivo ha già un altro lavoro. Ma l’Italia non ha la piena occupazione, ha una disoccupazione strutturale almeno nel Sud del 20%. Che vuol dire lasciare libere le imprese di licenziare? Lo Stato può garantire un reddito ai disoccupati? E’ ovvio che no. Quindi, se continuiamo lungo questa strada, aggraviamo tutti i nostri problemi, compresi quelli della finanza pubblica.

Capisco che avendo subìto per tanti anni le pressioni sconsiderate dell’Europa, della Germania ed anche della Bce, risulti molto difficile rispondere che essi ci spingevano nella direzione sbagliata e che la strada da seguire è un’altra. E capisco anche che, avendo avviato la battaglia interna al suo partito, Renzi non sappia come cambiare impostazione.

La conseguenza è che mentre bisognerebbe aprire un discorso polemico verso la Germania, come ormai capiscono tutti, lasciamo loro la possibilità di rispondere che siamo proprio noi che ammettiamo la priorità delle riforme del mercato del lavoro. E quindi se Renzi osasse aprire il tema della politica tedesca, gli verrebbe e gli verrà risposto che lui stesso ha fatto una diversa diagnosi sul problema italiano e che dunque prima di dare lezioni ad altri, faccia quello che egli ha dichiarato essere necessario per l’Italia. Non ci siamo affatto”. 

Interventi precedenti: 


Allegati: “L’articolo 18 e l’insostenibile leggerezza del reintegro senza fiducia”, di Paolo Rebaudengohttps://www.firstonline.info/a/2014/09/27/articolo-18-in-caso-di-licenziamento-in-germania-i/81e2ca20-dc04-4741-924e-3b8cacb7261d

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