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Rifiuti, modello Milano per Roma

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La lunga crisi dei rifiuti a Roma ha molte ragioni che vanno dal civismo (scarso) dei cittadini, agli aspetti organizzativi e gestionali, via via fino a questioni legate alla criminalità e alla corruzione. Il settore non è nuovo a tutto ciò; vi è oggi la possibilità di superare l’impasse agendo su entrambe le grandi aree problematiche:

– La raccolta: tal quale e/o differenziata (RD), scelta del modello o dei modelli di raccolta in relazioni al territorio e alle tipologie di rifiuti, scelta degli impianti e dei mezzi di trasporto, e via dicendo.

– La gestione e lo smaltimento: consiste nel definire se operare anche in tale segmento di business e con quali soluzioni; ovvero se lasciare il compito a terzi o sviluppare joint venture (o Public Private Partnership).

Qui ci soffermiamo con qualche riflessione forzatamente sommaria sul secondo. Io muovo dall’idea che la messa in sicurezza nella gestione dei rifiuti in una città come Roma (ma lo stesso succede in tutte le grandi capitali europee) non possa prescindere, almeno in questa fase storica e per un decennio, da un sistema di termovalorizzazione che “tolga dal campo” almeno il 20/25% (meglio sarebbe il 33%) dei rifiuti prodotti dalla Città. Ciò lascerebbe comunque ampio spazio residuo per lo sviluppo della RD e del riciclo che deve però essere di qualità (oggi non sembra proprio sia così); se non lo è, si producono i cd sovvalli che vanno messi in discarica o bruciati.

Nella seconda metà degli anni ’90, quando si risolse il problema dei rifiuti a Milano (io ero allora presidente dell’AMSA), il piano predisposto e realizzato con l’assessore Walter Ganapini (tra i fondatori di Legambiente) si basava sulla termovalorizzazione di circa il 35% dei rifiuti e su una RD del 40% circa; Milano ha proseguito nella RD e oggi solo una modesta parte dei rifiuti va in discarica. I costi sono ragionevolmente contenuti (nonostante un discutibile aumento della tariffa in sede di creazione di A2A per aumentare il valore di conferimento dell’AMSA e riequilibrare gli assetti azionari) e Milano non esporta rifiuti all’estero e non ha subito negli ultimi 20 anni alcuna emergenza rifiuti.

Certo, si dovette scardinare un sistema che traeva guadagni dal modello esistente basato sulle discariche e che aveva corrotto tutto l’arco costituzionale; mi riferisco in particolar modo al mondo delle discariche che allora dominava il quadro con utili vergognosi. Insomma, l’esperienza di Milano mostra senza ombra di dubbio che il termovalorizzatore Silla 2 (che peraltro ne sostituiva due ormai obsoleti e molto inquinanti) dava un sostanziale contributo sia agli obiettivi di RD che a quelli di “discarica zero”.

È ancora valido questo modello? Io ritengo di si, soprattutto in una città complessa come Roma. E penso che non sia alternativo allo Zero Waste. Quali le alternative di gestione di quella quota-parte di rifiuti che proprio non si riesce a recuperare (anche pensando all’economicità)? Sono essenzialmente queste:

1) Discarica. Roma per anni si è basata sulla discarica di Malagrotta dei Cerrone il quale, per bloccare ogni velleità alternativa, applicava anche tariffe molto contenute. Ma oggi è facile trovare una nuova discarica di quelle dimensioni o anche più piccola? Credo di no e comunque gli effetti ambientali sarebbero da negativi a anche catastrofici, se gestita male (si pensi all’inquinamento della falda, ad esempio).

2) Export dei rifiuti. È una soluzione vergognosa sul piano dell’immagine, probabilmente ai limiti dell’illecito se protratta per anni, negativa ambientalmente se si pensa alle emissioni nei trasporti. Per non parlare del mondo dell’autotrasporto, molto chiacchierata anche a torto, che certamente si opporrebbe ad ogni modifica.

3) Termovalorizzatore (o sistema di termovalorizzazione). In prossimità di Roma ci sono due termovalorizzatori (San Vittore e Colleferro) che fanno capo ad Acea e che hanno una discreta capacità di lavoro. Certo, sarebbe meglio una nuova unità con una capacità di 700.000 tonnellate di rifiuti ma temporaneamente potrebbero svolgere una funzione valida.

4) Una unità plurifunzionale di gestione industriale dei rifiuti ove si abbiamo impianti di riciclo per vari materiali e un sistema di termovalorizzazione che bruci – generando energia – quelle componenti che sono irrecuperabili.

Certamente i modelli sub 1) e 2) vanno assolutamente superati. Quello che appare allo scrivente superfluo e costoso per la collettività sono gli impianti TMB (Trattamento meccanico Biologico) che gestiscono circa mezzo milione di tonnellate di rifiuti raccolti da AMA ma che poi, in percentuale non modesta, devono essere portati in discarica o termovalorizzati con ulteriori costi; rifiuti che, dopo il trattamento subito di separazione o di biostabilizzazione, non possono essere più recuperati.

Su questo processo non disponiamo di dati; tuttavia, la storia dei rifiuti ha visto vari casi di processi industriali inutili, che non generano benefici per l’ambiente e la collettività ma solo a chi ha l’impiantistica! Un esempio è il cd CDR o combustibile da rifiuti su cui non mi soffermo per carità di patria dopo gli accertamenti della magistratura in Campania. Sono costi, cioè, per la collettività perfettamente inutili!!! Ho il dubbio che caso dei TMB rientri in questa categoria, pronto però a ravvedermi se mi si illustra una convincente analisi costi-benefici.

Ma anche l’obiettivo “rifiuti zero” (o “Zero Waste”) per quanto altamente apprezzabile e comunque da perseguire, appare utopico e nella sostanza spesso è più utile a mantenere lo status quo che a spingere verso soluzioni concrete. Anche il sito Zerowaste che raccoglie le città che si sono poste questo obiettivo parla di “impegno costante per ridurre i flussi di rifiuti prodotti e il tasso di riciclo”. Solo chi non conosce le cose, gli idealisti e i furbetti affermano che sia un obbiettivo facile e immediato. Ci vogliono anni, cambiamenti culturali, capacità organizzativa, e anche consistenti investimenti. Chi parla di Zero Waste deve anche spiegare in modo convincente “come e in quanto tempo” intende raggiungere questo obiettivo, passare cioè dall’astratto al concreto. Deve anche spiegare come gestire e scardinare quegli interessi che fanno assimilare Roma più a una città medio-orientale che Europea.

Vi è poi il tema di chi potrebbe gestire la partita dell’impiantistica. Certamente oggi Engie (ex GdF-Suez) partner di minoranza qualificata di Acea sta facendo fortissime pressioni affinchè sia la stessa Acea a gestire la partita. AMA non ha grandi competenze è ciò potrebbe avere un senso visto che Engie dispone di molte decine di impianti soprattutto in Francia. Tuttavia, non va dimenticato che vi sono almeno due realtà italiane che hanno esperienza più che adeguata, e cioè A2A e Hera, soprattutto con riguardo al nostro Paese. Si pensi al caso di Acerra gestito da A2A che, piaccia o no, ha dato un valido contributo al superamento dell’emergenza rifiuti di Napoli.

In ogni caso, vedremo adesso il piano che sarà presentato al Ministro Galletti. Che Roma superi l’attuale stato è interesse di tutti, non solo dei romani, e noi seguiremo attentamente le evoluzioni.

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