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Prometeia: l’Italia cresce di più, finestra per le riforme

Continua a consolidarsi il ciclo economico globale: +3,3% nel 2017, +3,4% nel 2018, nonostante una crescita Usa minore delle attese.
In Italia la crescita quest’anno sarà la più alta dal 2010: +1,2% grazie alla buona congiuntura mondiale e agli effetti cumulati delle politiche fiscali e monetarie espansive. Una finestra di opportunità per mettere in sicurezza i conti pubblici e proseguire le riforme.

Questi i principali temi del Rapporto di Previsione di luglio 2017.

Previsioni Italia

Rivista al rialzo la previsione sul Pil 2017 da +0,9% stimato a marzo a +1,2% di luglio 2017. La crescita cumulata per i prossimi 4 anni fino al 2020 sarà del 4,2%.
La riduzione del debito resta una via obbligata. La crescita del Pil e l’inflazione in ripresa permetteranno di ridurre il rapporto debito/Pil di 3,5 punti percentuali al 2020, ma sarà necessaria anche una minore espansione fiscale.
I miglioramenti sul mercato del lavoro si rafforzeranno nonostante il termine degli incentivi: al 2020 tasso di disoccupazione scenderà al 10,3%.

Previsioni internazionali

Dopo il rallentamento del 2016, l’impulso del commercio estero rimarrà sostenuto: +3,7% nel 2017, +3,2% nel 2018) approfondisci
Revisione al ribasso delle prospettive di crescita degli Stati Uniti: +2,1% nel 2017, +2,2% nel 2018, in assenza dell’atteso stimolo fiscale.
Politiche monetarie al bivio, ma le banche centrali rimangono comunque caute nei tempi e nell’intensità della riduzione degli stimoli.

Italia, è ripresa ed è meglio del previsto

La ventata di (cauto) ottimismo che soffia in Europa sta lambendo anche l’Italia, tenendo sottotraccia una incertezza politica che rischia sì di impennarsi il prossimo inverno, ma che per ora è tornata a livelli di minimo. Intanto, dati migliori tra la fine del 2016 e quest’anno “regalano aritmeticamente” al 2017 tre decimi in più di crescita del PIL. Le nostre analisi suggeriscono comunque cautela nel rivedere lo scenario in chiave troppo ottimistica. L’accelerazione di inizio anno è stata guidata dalle scorte, dagli investimenti in costruzioni e dai consumi, sia privati che pubblici, con un contributo negativo delle esportazioni nette e degli investimenti strumentali, andamenti questi in controtendenza rispetto al resto d’Europa, dove ripartono gli investimenti e rallentano i consumi.

Riduzione del debito resta obbligata

Una finestra di opportunità che potrebbe essere utilizzata per mettere i conti pubblici in sicurezza. Il contesto di crescita e le condizioni di finanziamento del debito sono molto favorevoli, ma vi sono margini di rischio. Benché l’attuale struttura per scadenze del debito permetta nel breve periodo di sostenere un innalzamento consistente del suo costo, la dimensione assoluta del debito italiano rappresenta un vulnus di per sé, specialmente se il paese dovesse attraversare una fase di difficile governabilità. Prevediamo quindi che dal prossimo anno la stance fiscale si inverta e da espansiva diventi moderatamente restrittiva. L’aggiustamento strutturale previsto è di circa 0,8 punti percentuali nel triennio 2018-2020 che, sommandosi al miglioramento del ciclo economico, potrà sostenere la riduzione del disavanzo fino all’1,1% del PIL nel 2020. Una riduzione inferiore a quella indicata nei documenti ufficiali, che prevedono il pareggio effettivo e strutturale dal 2019. Riteniamo infatti che la manovra necessaria a raggiungere questo obbiettivo sarebbe troppo restrittiva e penalizzante sulla crescita, e il miglioramento in termini di riduzione del rapporto debito/PIL troppo basso: un costo-opportunità decisamente sfavorevole. Lo stesso governo ha annunciato a fine maggio di voler ridurre da 0,8 a 0,3 punti percentuali di Pil la correzione strutturale programmata per il 2018. Quattro anni di crescita (4,2% cumulato sull’orizzonte di previsione 2017-2020) e di inflazione in ripresa, anche se lontana dall’obiettivo del 2%, permetteranno di ridurre il rapporto debito/Pil di 3,5 punti percentuali al 2020.

Mercato del lavoro continua la ripresa

In prospettiva un quadro a luci e ombre, che tuttavia non deve oscurare il fatto che i miglioramenti sul mercato del lavoro sono evidenti e prevediamo si rafforzeranno nell’orizzonte di previsione. L’occupazione continuerà a crescere in linea con il Pil, con una sola battuta d’arresto, non una caduta, nel ritmo di crescita nel 2018 quando verrà a scadere la decontribuzione sugli assunti a tempo indeterminato. Al termine dell’orizzonte di previsione si saranno recuperati, rispetto al 2016, 380mila unità di lavoro e 480mila occupati e il tasso di disoccupazione sarà sceso al 10,3% e quello di occupazione risalito al 60,5%.

Il commercio mondiale riprende slancio

Il commercio mondiale ha toccato ritmi di espansione superiori al 4% a inizio anno, come non si vedevano dal 2011, complice una crescita sostenuta delle importazioni e delle esportazioni cinesi di materie prime. Nell’area euro la ripresa del commercio nei primi mesi del 2017 è la chiave di volta per il consolidamento del ciclo degli investimenti alla base della revisione verso l’alto della crescita del Pil quest’anno e il prossimo (+1,9% e +1,7% rispetto a, rispettivamente, +1,7% e +1,4% previsti a marzo). Tuttavia, in Cina il controllo del credito prelude a un rallentamento dell’economia nella seconda parte dell’anno che si rifletterà anche in un minore assorbimento di prodotti dall’estero. Ciò contribuirà a determinare una crescita meno vivace del commercio mondiale tra la fine di quest’anno e il prossimo.

Stati Uniti, l’enigma della politica di bilancio

I dubbi maggiori sull’intonazione della politica di bilancio statunitense muovono dalla scelta di ridurre le spese a favore delle fasce più deboli della popolazione per l’aggiustamento delle finanze pubbliche che sembra essere diventato l’obiettivo primario. Una politica di bilancio meno espansiva è alla base della revisione al ribasso della crescita USA nel nostro scenario. Prevediamo infatti che il Pil raggiunga il +2,2% medio annuo nel 2018 (era +2,7% a marzo), per poi calare negli anni successivi.

In un contesto di crescita moderata e inflazione debole non vi sono elementi aggiuntivi per cambiare la previsione di passo lento della Fed nell’aumento dei tassi di policy. Nel nostro scenario ciò implica un numero inferiore di rialzi rispetto a quanto contenuto nelle proiezioni del FOMC di metà giugno: non ci aspettiamo un altro aumento quest’anno, prevediamo due aumenti di 25 punti base sia nel 2018 sia 2019, e una stabilità dei tassi di policy nel 2020. La Bce sta preparando i mercati a una riduzione dell’intonazione espansiva della politica monetaria. L’economia sta crescendo più delle attese, l’inflazione non sembra tuttavia riuscire a stabilizzarsi su valori coerenti con l’obiettivo di Francoforte. Il rafforzamento dell’euro e l’elevata offerta potenziale di lavoro mantengono sotto controllo le spinte inflazionistiche, anche sul fronte dei salari, suggerendo molta cautela nel ridurre i tempi e l’intensità dell’espansione monetaria. Confermiamo il primo aumento del tasso refi nel 2019 e la prosecuzione del QE sino alla fine di quest’anno e quindi un tapering che da giugno non aumenterà più l’attivo della Bce.

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