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Portafoglio ad effetto Trump: più dollari e più titoli ciclici

ImagoEconomica

Da piccoli, dice Lacan, ci identifichiamo con nostro padre. Lo vediamo onnipotente e, introiettandolo dentro di noi, riusciamo a costruirci un io forte. Crescendo scopriamo però che il padre non è onnipotente perché ha avuto a sua volta un padre che lo ha castrato simbolicamente. Questa scoperta è dolorosa ma preziosa, perché ci aiuta a non sentirci a nostra volta onnipotenti e apre la strada a un rapporto non patologico con l’ambiente sociale.

Secondo la psicanalista israeliana Esther Rapoport, Trump viene vissuto da sostenitori e avversari (e lei è fieramente tra questi ultimi) come la figura archetipica del padre primordiale allevato dai lupi e non castrato e quindi davvero onnipotente. Per vincere, del resto, Trump non ha avuto bisogno, diversamente da altri uomini potenti ma normali, né dei soldi né dell’appoggio politico di altri soggetti. Non ha nemmeno dovuto piegarsi alle convenzioni morali del suo tempo. Questa forza assoluta, simile a quella del faraone, ha conquistato i suoi sostenitori, tranquillamente indifferenti rispetto alle contraddizioni del padre primordiale (che aiutano anzi a identificarsi con lui), ma esercita una fascinazione diabolica anche sugli avversari. Trump, conclude la Rapoport, è come l’eroina. Ne basta una piccola dose per restare soggiogati.

È stato scritto, durante la campagna elettorale, che gli avversari hanno sempre preso Trump alla lettera, ma non sul serio. I sostenitori, al contrario, hanno preso Trump molto sul serio, ma non alla lettera. Questo mandato in bianco ha dato e continua a dare a Trump una grande libertà d’azione. I mercati, nel loro conformismo, hanno adottato fino al giorno del voto il punto di vista degli avversari di Trump e non lo hanno mai preso sul serio. Dopo il voto ci hanno messo letteralmente tre ore, come gli avversari, per iniziare a prendere Trump terribilmente sul serio. Da qui l’impennata del dollaro e dei tassi, la caduta dell’oro e i nuovi massimi delle borse.

Nel complesso questa reazione ha senso. Trump darà una scossa di adrenalina a un ciclo economico che nei fatti era ancora vivo ma che psicologicamente era moribondo. La narrazione passerà dalla suicidaria stagnazione secolare di Summers all’ottimismo neoreaganiano delle energie che si liberano dalle catene e degli spiriti animali che tornano a dispiegarsi. I tassi, nel loro piccolo, godranno anch’essi del nuovo clima di libertà e andranno a posizionarsi per qualche tempo dove vorrà il mercato e non solo dove vorrà il Fomc. Il dollaro sarà di nuovo grande anche lui.

Giustamente i mercati hanno anche derubricato i timori legati al neoprotezionismo trumpiano. Alla fine i due uomini forti dell’economia globale, Trump e Xi Jinping, troveranno un compromesso sul cambio e sull’avanzo bilaterale cinese nei confronti degli Stati Uniti. Per adesso i cinesi, approfittando delle ultime settimane di Obama, si portano avanti svalutando il renminbi più che possono ma verrà presto il giorno in cui tutto sarà rimesso sul tavolo e la partita di poker avrà inizio. Trump e Xi sono pragmatici e a entrambi farà più comodo un accordo di una guerra.

Quanto al resto, il Nafta verrà rapidamente rinegoziato (Messico e Canada sono già pronti) e alla fine verrà allargato al Regno Unito. Il resto del mondo non sarà toccato e l’Europa potrà continuare a fare la globalista con sé stessa.

E dunque che fare? Rincorrere i mercati e comprare dollari e azioni (non utilities, però, e niente largo consumo) vendendo bond di ogni genere e colore? Sì se l’orizzonte è di 12 mesi, non necessariamente se è di breve, per due motivi.

Il primo è che la volatilità darà probabilmente occasioni di acquisto e di vendita migliori a chi saprà avere un po’ di pazienza. Ora abbiamo visto gli aggiustamenti di portafoglio automatici dei fondi risk parity, dei trend follower e di tutto ciò che è affidato ai computer. Da qui in
avanti vedremo all’opera gli umani, più timorosi, incerti e zoppicanti. Il referendum italiano, per quanto depotenziato, darà forse occasioni d’acquisto migliori. Gli utili delle società americane che verranno comunicati a metà gennaio risentiranno poi negativamente del dollaro forte senza ancora avere beneficio dai tagli sulla corporate tax promessi in campagna elettorale. È vero che le società europee avranno al contrario il vantaggio di un euro più debole, ma sappiamo che il direttore d’orchestra delle borse mondiali è Wall Street.

La seconda ragione per essere, almeno sui livelli attuali, prudenti e accorti è più strategica. I mercati e gli avversari di Trump, nel loro zelo di neofiti, hanno iniziato a prendere Trump molto sul serio ma non hanno smesso di prenderlo alla lettera. E la lettera di Trump, come sanno i suoi sostenitori, è volatile. Ai compratori di dollari (che pure hanno le loro ragioni basate sul differenziale crescente dei tassi) facciamo una domanda. Come reagireste se Trump, alle sue solite tre di notte ora locale di un giorno qualsiasi dei prossimi mesi, mandasse un tweet “Dollaro forte ok, ma competitività America ancora più importante, make America great again”? Avremmo via Twitter, in un secondo, la riedizione dell’accordo del Plaza del settembre 1985, quello che cinque ministri delle finanze raggiunsero faticosamente per fermare il grande rialzo reaganiano del dollaro. Ora è vero che Stanley Fischer ci ha appena detto che l’America è finalmente riuscita a riassorbire la rivalutazione del dollaro nei confronti di euro, yen ed emergenti e che quindi, implicitamente, può sopportare un ulteriore apprezzamento, ma non è detto che Trump ne sia entusiasta.

Lo stesso per i bond. “Tassi più alti ok, ma ora diamo ossigeno alle nostre bellissime imprese, make America great again”. Con buona pace del Fomc, che a partire dai prossimi mesi verrà velocemente trumpificato, e dei mercati, troppo abituati a pesare con il bilancino i sospiri e i sussurri dei banchieri centrali.

La figura del padre primordiale si presta, alla fine del suo ciclo, a essere vittima del sacrificio rituale con cui gli umani, come ha scritto René Girard, periodicamente voltano pagina nella loro storia. Dopo essere stata sacrificata, la vittima viene onorata e santificata. Può darsi che questo sia il destino di Trump, così come può darsi che i toni e le reazioni che stiamo vedendo in questa fase si stemperino di fronte a una presidenza che potrebbe rivelarsi, chissà, più normale del previsto. Adesso stiamo però assistendo all’ascesa del trumpismo, vedremo quanto resistibile.

Portafogli trumpiani, quindi, con più dollari e ciclici e meno duration e azioni difensive. Portafogli che siano però, in termini di risk management, a prova di tweet.

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