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Patto col diavolo sui bond: rischi in cambio di briciole

ImagoEconomica

Nella tradizione tardomedievale e rinascimentale Faust è un sapiente vecchio e irrequieto che vende la sua anima al diavolo in cambio di 24 anni di gnosi, di potere, di nuova giovinezza e di piaceri terreni. Goethe rende più sofisticate le figure di Faust e di Mefistofele ed elimina il limite dei 24 anni. Il dottore avrà tutto quello che vuole fino al momento in cui, raggiunta la felicità, desidererà che l’attimo si fermi per sempre.

Thomas Mann, nel Doktor Faustus, reintroduce i 24 anni per Adrian Leverkuhn, il musicista e mistico che contrae volontariamente la sifilide per poterne ricavare la follia necessaria a comporre opere di genio. Mann scrive nel 1947 e fa morire Leverkuhn nel 1940. I 24 anni di follia, grandezza e cupa rovina non sono altro che l’avventura della Germania tra l’inquietudine di Weimar, il patto col diavolo nazionalsocialista e la perdizione finale.

Il mito di Faust, come si vede, è a tinte forti. Si vende l’eterno da una parte, si compra dall’altra tutto quello che il tempo può offrire. Passività infinite, certo, ma almeno l’attivo è grande e molto emozionante.

Il patto col diavolo tra mercato obbligazionario e banche centrali ha invece le tinte deboli della nostra epoca postromantica, postmoderna e post tutto. Il grande rialzo obbligazionario ha 34 anni, è stato travolgente e ha avuto tutto sommato pochi incidenti di percorso, tutti di breve durata. Non solo il rialzo è vecchissimo, ma ha anche raggiunto e superato i limiti fisici dei tassi a zero. La giovinezza e la maturità di questo rialzo sono state splendenti. Si è trattato di un perfetto ciclo si disinflazione, lungo il triplo di quello degli anni Venti e il quadruplo di quello della fine degli anni Quaranta. In questa fase sana i tassi reali si sono mantenuti sempre positivi anche sulle scadenze brevi, garantendo così, oltre a formidabili capital gain, anche un carry positivo rispetto all’inflazione.

La vecchiaia del rialzo è stata in compenso cupa. Dopo il 2008 i tassi reali sono stati negativi per tutti i titoli governativi del pianeta, anche se sono stati più che compensati dai capital gain che hanno accompagnato la discesa dell’inflazione. Ce ne siamo dimenticati, ma nell’estate del 2008 l’indice americano dei prezzi al consumo era arrivato al 5.6 per cento. Oggi siamo all’1.1.

Dopo la crisi, per tre-quattro anni il mercato ha mantenuto un atteggiamento diffidente sul rialzo obbligazionario. Se l’economia riparte, era il ragionamento, l’inflazione la seguirà. Molti si sono quindi mantenuti su scadenze piuttosto brevi e solo pochi coraggiosi hanno sposato la tesi della trappola della liquidità e si sono posizionati su tasso fisso a lungo, guadagnando a man bassa.

Da due anni, però, la diffidenza ha gradualmente lasciato il posto alla tranquillità, fino ad arrivare, in certi casi, a una disperata euforia. Oggi il mercato crede (basta guardare i tassi forward) che l’inflazione resterà vicina a zero per un lunghissimo periodo e che le banche centrali non riusciranno a farla risalire. La prossima crisi, si pensa, ci porterà in deflazione conclamata e un bond cinquantennale al 2.50 per cento, come quello emesso dalla Spagna in questi giorni, apparirà un affare d’oro. In ogni caso, continua il ragionamento del mercato, le banche centrali impediranno ai bond di scendere di prezzo continuando ad acquistarli con il Quantitative easing e, un giorno, con la monetizzazione diretta e definitiva di una parte del debito pubblico.

Ecco quindi il patto col diavolo. Il mercato compra scadenze sempre più lunghe e carta sempre più rischiosa a tassi sempre più bassi perché le banche centrali hanno garantito al rialzo un prolungamento di vita con forme sempre più aggressive di Qe. E non importa che alla Fed prudano le mani per alzare i tassi, perché il Qe continuerà a spingere europei e giapponesi a comperare Treasuries finché il loro rendimento sarà sopra zero.

Intendiamoci, il diavolo in questione, le banche centrali, vuole in realtà essere un demiurgo buono che toglie potere d’acquisto ai creditori per trasferirlo ai debitori in modo da non farli fallire. Il patto mefistofelico con il mercato ha dunque finalità nobili di ordine generale (anche se qualcuno ancora più cattivo del diavolo insinua che di buone intenzioni sono lastricate le vie dell’inferno).

Quanto ai compratori, capiamo perfettamente i gestori obbligazionari professionali, travolti dai soldi in fuga dall’azionario dopo la caduta di gennaio e febbraio. Capiamo ancora di più le assicurazioni e i fondi pensione che acquistano e immobilizzano bond sempre più lunghi per potere garantire qualcosa ai compratori di polizze vita e ai pensionati. Capiamo meno i compratori finali.

Con i tassi a zero, infatti, il massimo che le banche centrali possono garantire a Faust è che i rendimenti restino a zero e non risalgano (in pratica un prolungamento di vita senza gioia, attaccato al respiratore e con rette ospedaliere non trascurabili rappresentate dall’inflazione che erode il potere d’acquisto del bond).

Che i tassi scendano ancora e vadano molto sotto zero, garantendo così altri capital gain, è molto improbabile. Le banche centrali, inclusa la Fed, hanno per qualche tempo accarezzato l’ipotesi di tassi profondamente negativi, ma stanno ora tornando sui loro passi e studiando invece ipotesi di monetizzazione. Siamo tutti postmoderni e il postmoderno ha cancellato la nozione di legge di natura. I tassi nominali negativi, tuttavia, ci appaiono ripugnanti e contronatura e creerebbero una rivolta con implicazioni sociali tutte da scoprire. In America c’è stata del resto una imponente levata di scudi a livello politico e di opinione pubblica contro la sola idea che il creditore debba pagare il debitore e non se ne parla già più.

Comprando dunque bond adesso ci si avventura in un labirinto pieno di insidie. Se tutto resta come è oggi, crescita debole e inflazione bassa, si subisce un tasso reale negativo. Le banche centrali possono regalare a Faust altri 24 mesi di vita a godimento zero, ma poi qualcosa dovrà cambiare. Anche Gundlach, che in questi anni è sempre stato carico di trentennali e ancora adesso è pronto a comprarli su ribasso, sostiene che nel prossimo decennio il long bond arriverà al 6 per cento.

Il cambiamento potrà prendere la direzione auspicata dalle banche centrali (reflazione e rialzo graduale dei tassi nominali con tassi reali ancora negativi che accompagnano la fase finale del ciclo, possibilmente lunga). In questo caso, tutto sommato felice, i bond, sostenuti da Qe, non scenderanno di prezzo, ma perderanno sempre di più in potere d’acquisto con l’inflazione crescente. A chi non crede che l’inflazione possa risalire perché vede le materie prime, tranne il petrolio, che sono tornate a scendere chiediamo quanto rame ha consumato quest’anno e quante visite mediche ha dovuto pagare (l’inflazione è nei servizi). A chi dice che in Europa non avremo mai inflazione perché la Germania non lo permetterà ricordiamo che la Germania sta attuando una politica di rivalutazione interna fatta di aumenti salariali del 5 per cento in due anni e di aumenti delle pensioni con abbassamento dell’età pensionabile. A chi sostiene che la tecnologia è deflazionistica perché Spotify fa sì che non compriamo più Cd ricordiamo che una famiglia media americana spende 200 dollari al mese, in continuo aumento, in collegamenti internet e tv via cavo.

L’altra direzione che potrà prendere il cambiamento è che gli sforzi delle banche centrali falliscano e si ricada tutti quanti in una situazione tipo 2008. In questo caso ci saranno certamente forti Qe e monetizzazioni ma un salvataggio generalizzato sarà impossibile. Alcuni dei crediti rischiosi su cui il mercato si avventura oggi saranno quindi ristrutturati o ripudiati. Quando un bond rende zero diventa quindi difficile preferirlo alla borsa (nel primo scenario) o al cash (nel secondo). Di fronte al bivio tra rottura del paradigma attuale verso l’inflazione o verso la deflazione ha più senso presentarsi con un portafoglio di borsa e cash (investito a tasso negativo, pazienza, in titoli brevi di debitori sicuri) piuttosto che riempirsi di obbligazioni lunghe e incerte in cambio di qualche briciola.

Detto questo, nel breve l’obbligazionario del mondo è ancora da acquistare su debolezza purché lo si venda su forza. La finestra concessa a Faust è di 24 mesi, forse 48. Meglio tenerne conto.

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