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Licenziamento statali, ecco come stanno le cose

Che il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (con annessa la disciplina del licenziamento individuale) non si applichi ai pubblici dipendenti aggiunge un ulteriore dubbio, tra i tanti, sulla qualità e l’efficacia del provvedimento. Altro che rivoluzione copernicana! Per l’esercito della pubblica amministrazione è il sole che continua a girare intorno alla terra.

LE BIZZARRIE DEL MINISTRO MADIA
Prima ancora degli aspetti normativi sono le reazioni e le argomentazioni di cui si sono avvalsi i ministri e gli esponenti dell’establishment renziano per escluderne l’applicazione. Quelle della titolare della Funzione pubblica, la ‘’botticelliana’’ Marianna Madia sono risibili, come se la regola per cui nella pubblica amministrazione si accede per concorso determinasse l’assoluta inamovibilità, anche sul piano giuridico (perché in via di fatto è così), dei dipendenti pubblici. Nulla di più assurdo, essendo il licenziamento per giusta causa e per giustificate motivo soggettivo puntigliosamente regolato dalle leggi vigenti, a partire dal dlgs n.165 del 2001.

LA FUGA DEL MINISTRO POLETTI
Patetica appare la “fuga all’indietro” del ministro Giuliano Poletti, mentre più spicce e spudorate sono le spiegazioni di Filippo Taddei  (“il traduttor dei traduttor di Omero”)  quando afferma, in un’intervista al Corriere della Sera, che si tratta di una scelta politica perché (sic!) all’elaborazione del testo non ha partecipato il ministro Madia.  In verità, la materia non è automaticamente estendibile al pubblico impiego, dove, per esempio, non è prevista la fattispecie del licenziamento economico, tanto meno di carattere individuale.

CHE COSA SUCCEDE NEL SETTORE PUBBLICO
Esiste una particolare normativa sulla mobilità che potrebbe, con caratteristiche differenti e specifiche, essere equiparata alla funzione svolta, nel settore privato, dalla procedura prevista  per i licenziamenti collettivi. Al di là di questo caso, che l’art. 18 fosse applicabile anche ai pubblici dipendenti non è mai stato messo in dubbio da nessuno. Del resto, nelle passate riforme, dalla legge Biagi alla legge Fornero, il riferimento al personale delle pubbliche amministrazioni era costante, magari proprio per sancirne o meno (e con quali modalità) l’applicazione.  Nella legge 30 del 2003, ad esempio, l’art. 6 recitava: “Le disposizioni degli articoli da 1 a 5 non si applicano al personale delle pubbliche amministrazioni ove non siano espressamente richiamate”.

ESCLUSIONI ESPRESSE
L’esclusione dei rapporti di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche veniva poi espressamente dichiarata con specifico riferimento  al lavoro a tempo parziale e alla certificazione dei contratti (articoli 3 e 5). E coerentemente l’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 276 del 2003 ribadiva: “Il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale”. Nella legge n. 92 del 2012, l’art. 1, comma 7, pur con formula più pasticciata e fonte di ampie diatribe, comunque specificava: “Le disposizioni della presente legge, per quanto da esse non espressamente previsto, costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, in coerenza con quanto disposto dall’articolo 2, comma 2, del medesimo decreto legislativo. Restano ferme le previsioni di cui all’articolo 3 del medesimo decreto legislativo”. E il successivo comma 8 affidava al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, il compito di individuare e definire, “anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche”. Quest’ultima poteva essere la via da seguire (concretamente non per finta come è accaduto dopo la legge Fornero) anche nell’applicazione della legge delega n.183 del 2014 (il destino ha voluto che il Jobs act Poletti 2.0 avesse la stessa numerazione del ‘collegato lavoro’ del 2010, il cavallo di battaglia del governo Berlusconi).

L’ANALISI DEL PROF. PELLACANI NEL BOLLETTINO ADAPT
Come ha fatto notare, invece, il prof. Giuseppe Pellacani, ordinario di diritto del lavoro nell’Università di Modena e Reggio Emilia, sul Bollettino di Adapt: “Nel Jobs act nulla. Silenzio assoluto. Il che sta inevitabilmente  a significare che, salvo eventuali possibili ripensamenti di volta in volta inseriti negli emanandi decreti delegati, le regole appena approvate e quelle attuative future si applicheranno anche ai lavoratori delle pubbliche amministrazioni (eccetto ovviamente le categorie residuali in regime di diritto pubblico). E’ questa l’unica lettura possibile, alla luce dell’art. 2, comma 2,del decreto legislativo n. 165 del 2001, secondo cui “I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo”, e dall’art. 51, comma 2, del medesimo decreto che dichiara applicabile alle pubbliche amministrazioni lo Statuto dei lavoratori a prescindere dal numero dei dipendenti”. “Le future assunzioni nelle pubbliche amministrazioni avverranno dunque con il contratto di lavoro subordinato a tutele crescenti? – si chiede ancora Pellacani – Sarebbe una svolta epocale. Riducendo drasticamente i costi (e i rischi) del licenziamento, la riforma decreterebbe la fine del regime di ultra-stabilità che ha accompagnato finora i lavoratori pubblici”.

A quanto pare non sarà così. E, quel che è peggio, a determinare la discutibile esclusione sarà proprio una scelta di carattere politico, compiuta da un Governo che, mesi or sono, minacciava di condurre una “lotta violenta” alla pubblica amministrazione. Da ultimo, è curioso osservare il duetto tra Pietro Ichino e Filippo Taddei che potrebbe fare il verso ad una celebre canzone: “C’ero anch’io”; “No tu no”.

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