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La recessione spinge le banche centrali ad agire: dopo Bce, BoE e Cina tocca alla Fed muoversi

La recessione è una triste realtà. Però, magra consolazione, vale il detto “mal comune mezzo gaudio”. A differenza di quel che valeva anche solo un mese fa, sottolinea Mario Draghi, il problema ha investito nello stesso modo tutti, sia l’Europa del Sud che la Germania, che scopre di non essere immune dal contagio. Anche se cresce il differenziale tra Btp e Bund, Berlino non ha motivi per sorridere: il crollo della domanda dei clienti del made in Germany, comprese Audi e Mercedes, sta facendo precipitare la redditività della pur efficientissima locomotiva tedesca che non può più contare sullo sbocco in Cina.

E’ questa la cornice in cui si inserisce la manovra a tre, che ha coinvolto oggi tre grandi banche centrali dell’economia globale anche se, spiega il presidente della Bce, “non c’è stata alcuna concertazione, bensì solo un normale scambio di opinioni”. Ma è anche il segnale dell’abisso in cui l’economia globale rischia di precipitare se non ci sarà una svolta, nei metodi e nei contenuti, delle terapie in grado di innescare di nuovo un ciclo virtuoso. Non solo da parte delle banche centrali, cui toccano le misure di pronto intervento, ma anche da parte dei governi e delle istituzioni, a partire dalla vecchia Europa, la Danzica da cui rischia di prendere il via la seconda recessione globale, dopo quella del 2009 innescata dal collasso di Lehman Brothers.

La Bce, innanzitutto, ha tagliato il tasso di sconto di sconto di un quarto di punto. Misura attesa anzi per certi versi insufficiente agli occhi delle “colombe” che auspicavano almeno mezzo punto. Ma il direttorio della Bce ha accompagnato la decisione con un’iniziativa ancor più forte: l’azzeramento degli interessi per i depositi presso la Bce, finora pari allo 0,25%. In questo modo, banche ed aziende (specie tedesche) che dispongono di abbondante liquidità ma preferiscono il parcheggio nelle casse di Francoforte, saranno (si spera) stimolate a rimettere i circolo i capitali riavviando un ciclo virtuoso di investimenti.Basterà? Forse. Ma la situazione, ovvero liquidità abbondante, investimenti che ristagnano a fronte di una domanda dei consumatori che scende in sintonia con il crollo della fiducia, ricorda da vicino l’”Aocalisse” della trappola della liquidità descritta da John Maynard Keynes. E le terapie messe in atto dai potenti della Ue, in primis la Germania, ricordano ancor più da vicino le vicende che nel 1932 portarono al racollo della Credit Anstalt di Vienna, data d’avvio della fase più dura della recessione europea. Anche la caduta degli dei, da Bob Diamond di Barclays ha Rodrigo Rato di Bankia, senza dimenticare il precedente di JP Morgan, ricorda da vicino l emergenze dei tempi andati.

Mario Draghi, nonostante la guerriglia della Bundesbank, è consapevole della situazione al pari dei suoi colleghi. In contemporanea alla Bce la Bank of England ha attuato una nuova mossa di espansione monetaria. L’istituto centrale britannico, infatti, ha lasciato invariato il tasso di riferimento allo 0,5%, ma ha incrementato il programma di acquisto di asset (principalmente bond) di 50 miliardi di sterline, da 325 a 375 miliardi.

Infine, la People Bank of China, da cui dipende la politica monetaria di Pechino , ha abbassato per la seconda volta nel giro di un mese i tassi di riferimento. Lo ha annunciato la stessa Banca centrale, che ha ridotto di 0,31 punti percentuali il saggio sui prestiti e di 0,25 punti quello sui depositi.

Al concerto manca, per ora, la Federal Reserve, ma gli analisti danno per scontato che le mosse degli altri governatori offriranno a Ben Bernanke l’occasione per superare le resistenze dei falchi e di muoversi contro il rischio di una nuova ricaduta.

Insomma, anche se Draghi non ha voluto sottolineare l’azione congiunta delle banche centrali, emerge senza alcun dubbio che il rischio recessione, anticamera di una deflazione globale, spaventa tutti. Mercati compresi.

Non a caso la mossa, pur scontata, del calo dei tassi ha avuto come immediata reazione il brusco calo dei listini. Dopo le decisioni di Draghi, Mervin King e del collega cinese, i mercati finanziari hanno preso atto che la situazione è così seria da far passare in secondo piano ogni altra considerazione. Come già avvenuto nel 2008, ai tempi del tracollo di Lehman Brothers, l’economia globale rischia di inabissarsi in una spirale negativa che è necessario scongiurare al più presto. Purtroppo, da questo punto di vista, la situazione sembra ancor peggiore che nel 2008. Allora, infatti, gli Usa reagirono alla crisi con una svolta di politica economica con una robusta iniezione di capitali in ossequio al principio per cui, quando cade la domanda dei privati e gli investimenti delle aziende, lo Stato deve iniettare nel mercato i capitali necessari per evitare il collasso.

Non è l’atteggiamento, almeno ufficiale, dell’Unione Europea, ormai giudicata l’”untore” che sta mettendo a rischio non solo la salute della comunità a 27, compresa la stessa Germania, ma anche la crescita degli Emergenti.

Certo, si può vedere il bicchiere mezzo pieno. Come ha dichiarato Mario Monti in Parlamento pochi minuti dopo la conferenza stampa di Draghi, le conclusioni del vertice europeo sono un esempio di “dinamismo politico”. L’esito del consiglio di Bruxelles, aggiunge Draghi da Francoforte, “pone l’Unione su basi più solide’ e da’ all’Europa ‘una road map per arrivare a una vera unione economica e monetaria’. Tutto vero. Ma lo stesso Draghi ha preso atto che, prima di intervenire sui focolai di crisi, Italia e Spagna, la Bce dovrà attendere le nuove regole sull’utilizzo del fondi salva Stati e dell’Ems, necessario per evitare il tracollo della Spagna, alle prese con uno spread che si avvicina a laghi passi a 600 bp. Difficile spegnere il fuoco con i secchielli e gli idranti, se gli aerei antincendio restano negli hangar.

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