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La Germania di Scholz ha compiuto due svolte storiche ma la vera sfida è salvare la Ue unendo Est e Ovest: parla Bolaffi

La guerra della Russia contro l’Ucraina, fra gli altri effetti collaterali importanti che ha provocato (uno per tutti l’allargamento della Nato a due altri Paesi, Finlandia e Svezia), ha cambiato il cuore dell’Europa, spingendo la Germania a due svolte storiche: a riarmarsi e a voltare le spalle alla Russia, la sua ossessione politica di decenni. Ora il grande Paese deve prepararsi al compito più gravoso: una volta finita la guerra, il suo ruolo nell’Unione europea sarà quello di tenere insieme i Paesi dell’Est e quelli dell’Ovest.  Perché se non ci riuscirà, l’Ue che abbiamo conosciuto finora rischia di sparire.

Sono le conclusioni alle quali giunge Angelo Bolaffi, filosofo e germanista, fra i più importanti studiosi della Germania e già direttore dell’istituto italiano di cultura di Berlino, nella intervista con FIRSTonline.

Professore, alcuni analisti ritengono che nel centro dell’Europa ci sia un vuoto politico e che si chiami Germania. È così?

«A essere onesti di questi tempi il vuoto politico lo si vede ovunque, non solo nel centro dell’Europa. In quale Paese lei vede chiarezza, determinazione, autorevolezza da parte dei leader? Detto questo, io penso, al contrario di quegli analisti cui ha fatto cenno, che la Germania stia meglio degli altri Paesi. Nonostante quello che appaia, il governo Scholz ha operato veri e propri miracoli. In sei mesi la Germania è riuscita a sganciarsi dalla sudditanza energetica russa; ha voltato le spalle al Cremlino, primo punto di riferimento per decenni della sua politica estera; e ha accettato di riarmarsi. Certo, è evidente che l’Europa abbia dei problemi, ma le cause non sono i tedeschi, almeno non solo».

È vero: dopo la pandemia, che ha miracolosamente riunito tutti gli europei in una sola politica, sembra essere tornati indietro, ai distinguo e all’ognuno per sé. Che cosa è accaduto?

«L’Europa, dobbiamo ricordarlo sempre, è fatta di Stati nazionali, che hanno le loro storie, le loro culture, le loro lingue, i loro modelli sociali e, spesso, interessi divergenti. Non dobbiamo dimenticare mai che fino a 70 anni fa essi si sono fatti la guerra e che adesso, di fronte a una guerra esterna, fanno fronte comune. Quindi qualche passo in avanti è stato fatto. E tuttavia può accadere, ed accade, che, ogni volta che ci sia un problema nuovo, scatti la molla dell’interesse nazionale, come una sorta di riflesso pavloviano. Lo abbiamo visto proprio negli ultimi giorni, con la storia del grano ucraino bloccato dai polacchi preoccupati degli interessi dei propri contadini. E questo nonostante la Polonia sia la più grande amica dell’Ucraina, che ospiti sul suo territorio oltre 6 milioni di rifugiati e che Varsavia difenda a spada tratta Zelensky contro Putin. Insomma, appena è sorto il problema dei propri contadini, i polacchi non ci hanno pensato due volte. È dovuta così intervenire la Presidente Van der Leyen a rimettere le cose a posto, ricordando alla Polonia che il commercio è di competenza della Commissione europea e che gli Stati nazionali non possono intervenire con proprie decisioni. Si è ripresa così la discussione e alla fine è stato trovato l’accordo. Questo per dire che l’Europa è una ricerca continua di compromessi, è inevitabile. Perché non esiste una democrazia senza compromessi, ne esistono solo di buoni e di cattivi, come diceva Merkel. E quindi la verità non sarà assoluta, ma risiederà solo nell’accordo che si trova tra le parti, sperando che faccia contenti tutti e che si possa andare avanti. L’Europa è condannata, come Sisifo, a completare un’opera, poi  a tornare indietro, e infine a ricominciare». 

Torniamo alla Germania: la leadership di Scholz non le appare sbiadita? Quella di Merkel non era più chiara e determinata?

«Parto da Merkel e dall’onorificenza conferitale negli ultimi giorni, la Gran Croce, la più alta della Germania. A mio parere la cancelliera merita senz’altro questo onore, ci mancherebbe altro. Ma anche quando si conferiscono le onorificenze, i tempi contano.  Insomma, avrebbe dovuto averla prima della guerra in corso. Oggi la questione appare un po’ ambigua, sembra una sorta di giustificazione della passata politica verso la Russia, essendo venuta la proposta del conferimento da Frank-Walter Steinmeier, attuale Presidente della Repubblica, ma ex ministro degli Esteri del governo Merkel, e quindi sicuramente partecipe della politica della cancelliera nei confronti di Putin. Questo per concludere che, pur essendo stato un sostenitore e ammiratore della leader tedesca, anche in momenti difficili, come nella crisi dei migranti, sono rimasto deluso dal fatto che non abbia ammesso l’errore di valutazione nei confronti di Putin, mentre tutti gli altri politici lo hanno fatto. Retrospettivamente, rettificherei il giudizio: la sua politica mi appare ridimensionata dopo l’invasione dell’Ucraina».

Veniamo a Scholz.

«Intanto va ricordato che Scholz ha vinto le elezioni più per caso che per merito. Ha vinto perché Merkel non si è ripresentata, fra l’altro definendosi come l’erede vero della cancelliera, “Angelo” Merkel, come lo avevo chiamato in una intervista. Poi, appena eletto,  gli sono capitati subito due sfortune insieme: la pandemia e la guerra. Certo, il leader tedesco non è una figura carismatica, ma neanche Kohl o Merkel, lo erano agli inizi del loro mandato, al contrario di Brandt e di Adenauer. Ricordo che, poco prima della riunificazione, la “Zeit” aveva definito Kohl il cancelliere dello 0,0%, cioè niente. Inoltre la coalizione di Scholz è molto più complicata da gestire di quella sulla quale aveva potuto contare Merkel: Cdu, Csu e Spd erano tre forze più omogenee fra di loro di quanto lo siano Spd, Liberali e Verdi nell’alleanza che egli si trova a guidare. E nonostante questo Scholz ha operato nel suo Paese una svolta epocale: ha riarmato la Germania. Una svolta paragonabile a quella voluta da Adenauer nel 1949, quando portò il Paese nella Nato, ancorandosi così completamente all’Occidente, respingendo la tentazione neutralista che voleva Stalin. E paragonabile a quella della Riunificazione, realizzata da Kohl nel 1990. Senza contare che la Germania si è riarmata con l’accordo dei Paesi vicini, Polonia in testa. Se si pensa a questo francamente non si può proprio dire che Scholtz manchi di leadership».

Entriamo dentro il Paese: come giudica gli atti del governo? Anche in Germania ci sono stati scioperi, come in Francia…

«Il lavoro di questo governo è stato assorbito per i due terzi del suo tempo dalla guerra e dal problema energetico. Lo choc dell’invasione dell’Ucraina ha posto alla Germania due problemi enormi: uno storico, di politica estera, che riguardava la sua posizione nei confronti della Russia; e l’altro di politica energetica, dovendo riorientare la transizione ecologica liberandosi del ricatto di Mosca. E mi pare che in entrambi i casi sia stato un successo. Quanto all’insofferenza popolare, se misuro quello che sta avvenendo in Francia, il giorno e mezzo di sciopero del pubblico impiego in Germania è veramente poca cosa. Questo significa che il sistema di relazioni industriali tedesco regge bene, chiunque governi. È un modello basato sul confronto, nel senso che si cercano i compromessi (buoni). Più o meno come quello che usiamo in Italia, sebbene i nostri due Paesi siano molto diversi. Temo purtroppo che sia il modello francese della Quinta repubblica a non funzionare più. Intendo quel modello verticista che i francesi amano molto e che affascina anche qualcuno dalle nostre parti. Per fare una battuta: ai francesi piace avere un re e tagliare la testa al re. I tedeschi (e anche noi) con le monarchie vere o finte ci hanno fatto definitivamente i conti. E sempre a proposito della leadership di Scholz, non dimentichiamo che appena tre giorni dopo lo scoppio della guerra, con un discorso al Bundestag, egli prese subito posizione contro l’aggressore russo, mentre ancora in altre capitali ci si chiedeva se consigliare agli ucraini di arrendersi. È stato l’unico a farlo, insieme con Draghi».

Per tornare alla transizione energetica, come spiega che le centrali nucleari sono state spente, ma che il carbone resti una delle fonti principali?

«La chiusura delle centrali era stata decisa da Merkel, e andava fatta. Certo, tenere aperte le miniere di carbone può apparire un paradosso, visto che inquinano sicuramente più del nucleare. Ma per i Verdi tedeschi il nucleare è il simbolo dei simboli. Non si può toccare. Sono pronti a fare compromessi su tutto, anche sul carbone, come si è visto, ma non su quello. È il loro certificato di nascita».  

Cosa dobbiamo aspettarci alla fine della guerra? Quale sarà il ruolo della Germania?

«Siamo alla vigilia di un cambiamento enorme. L’Europa, quella che conosciamo, secondo me è finita. Essa è nata dalla fine di una guerra e alla fine di questa guerra ne nascerà una nuova. Anche se non accadrà subito, sarà l’Ucraina, dal punto di vista geografico, a essere la più grande nazione che esisterà nella Ue. Prenderà il posto della Francia, che ha oggi questo record. Ai confini occidentali della Russia esisterà tutta un’altra Europa che vorrà contare sul serio. È quella che Milan Kundera chiamava “l’Europa rapita”, rapita dall’Urss per intenderci. E non sarà facile ristabilire un equilibrio fra le due parti, l’Ovest e l’Est. Bisognerà ripensare all’intera struttura della Ue. Sarà un lavoro enorme. E non mi nascondo che ci sia il rischio che questa Europa nuova non nasca per niente. Ed è qui il ruolo della Germania. Senza la leadership forte di un Paese forte, le forze centrifughe possono prendere il sopravvento. Ricordiamo che di fronte alla crisi finanziaria  l’Ue ha rischiato di rompersi fra il Nord e Sud. E che la guerra è sicuramente una cosa più grande di una crisi economica.  Non potrebbe spezzarsi stavolta fra Est e Ovest?».

Non ritiene che potrebbe essere anche l’interesse di questa nuova Europa tenersi stretta l’unità?

«Per ora il problema dei Paesi a Est è la sicurezza, quindi per loro è più importante il rapporto con Washington  che quello con Bruxelles. Se non ci fosse stata Washington Putin sarebbe arrivato in Polonia. Lo sappiamo noi e lo sanno loro. La differenza è che gran parte dei Paesi dell’Ovest sottovalutano il fatto che l’Europa non sia in grado di difendersi senza l’aiuto degli americani. Macron ha detto una cosa giusta, sebbene in maniera maldestra. Cioè che l’Europa dovrebbe lavorare per avere una sua forza strategica militare autonoma. Ma non contro l’America, come ha fatto intendere lui, ma insieme ad essa. Perché se gli Stati Uniti ricadono di nuovo nelle mani di Trump, o di un politico simile, e decidono di voltarci le spalle, noi che facciamo? La Polonia questo lo sa. I Baltici lo sanno. E lo sanno ovviamente gli Ucraini. Io spero che nasca un’Europa che vada dall’Atlantico alla Crimea. Ma per fare questo conterà molto la Germania. Se la Germania non sarà in grado di esercitare una vera egemonia, nel senso di riuscire a tenere insieme questi due pezzi di Europa, allora sì che ci sarebbe un vuoto. E se ci fosse veramente questo tipo di vuoto al centro dell’Europa, allora l’Ue, come l’abbiamo conosciuta noi, non esisterebbe più».

La Germania è pronta per farlo?

«Se c’è una classe politica che pensa a questo è quella tedesca. Se poi sia in grado  di farlo questo non lo possiamo prevedere. La loro ossessione però è quella di tenere insieme tutti i pezzi dell’Europa. Soprattutto ora che si sono liberati dall’errore di prospettiva secondo il quale solo l’accordo con la Russia poteva tenere insieme l’Europa. Prima l’idea tedesca era: la sicurezza europea non può prescindere dalla Russia. Era il primo mantra della politica estera della Germania. Gli altri due erano: l’ accordo con la Francia e quello con la Polonia. Adesso l’idea è un’altra: la sicurezza europea si fa solo contro la Russia. Ovviamente riferendosi a chi comanda oggi al Cremlino».

Quanto influiranno nella costruzione della nuova Europa i risultati sul campo di battaglia ucraino?

«Moltissimo. La costituzione della nuova Europa si scriverà sui campi di battaglia, non c’è dubbio. E’ finito il tempo in cui essa veniva scritta a tavolino.  Il sangue varrà quanto l’inchiostro, stavolta. Se non di più».

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