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Il Tuf e le metamorfosi del capitalismo, da quello finanziario a quello digitale

FIRSTonline

“The Physics of Wall Street”. Il giurista Guido Rossi nell’aula magna dell’Università Bocconi per un convegno sul Tuf (Testo unico della finanza) cita un libro appena pubblicato da James Owen Weatherall.   È il racconto di come di come i fisici abbiano applicato con successo la loro scienza nell’influenzare alcuni dei problemi più spinosi in economia, dal prezzo delle opzioni alle bolle. “Ora a Wall Street ci sono i fisici”, ha detto Rossi. Non più i giuristi, non più gli economisti. E anche il capitalismo ha subìto una metamorfosi. Da capitalismo industriale è diventato capitalismo finanziario, che ha creato una finanza che è dieci volte il pil mondiale. “Ma oggi stiamo assistendo al passaggio dal capitalismo finanziario al capitalismo digitale”, afferma Rossi. Basta guardare alle dichiarazioni del ceo di Apple Tim Cook di fronte al Senato sul caso delle controllate offshore e delle accuse di elusione fiscale. “è un peccato che la legge fiscale Usa non sia adeguata all’era digitale”, si è difeso Cook. Insomma, il capitalismo si sta addentrando nell’era digitale.

È questo quadro di profondi cambiamenti che fa da sfondo alle riflessioni sul Testo Unico della Finanza durante la tavola rotonda “A quindici anni dal T.u.f Bilanci e prospettive” organizzata dalla Bocconi a conclusione di una due giorni di seminari di giuristi ed esperti sul tema. Riflessioni d’ampio respiro che hanno preso spunto dalle testimonianze ed esperienze di Rossi, Gabriele Galateri di Genola, presidente del Comitato per la corporate governance e presidente delle Generali, e Renato Rodorf, consigliere Core di Cassazione. Tre i punti attorno ai quali si è articolato il dibattito: i controlli  e la loro utilità; gli amministratori indipendenti e la remunerazione.

I CONTROLLI E LA LORO UTILITÀ
“Avremo un sacco di difetti, ma rispetto a quindici anni fa siamo il giorno dalla notte”, ha puntualizzato Galateri  che torna indietro a un episodio emblematico. “Nel consiglio Fiat la prima volta che si doveva fare un comitato di controllo si presentarono in quaranta. C’erano tutti e non si capiva da chi doveva essere fatto. Oggi la situazione è molto meglio, la gente conosce bene le responsabilità che porta. Certo, il processo non è terminato ma siamo dal giorno alla notte. Poi ci vuole gente che ha una certa spina dorsale e formazione. Non dobbiamo aumentare i controlli, ma dobbiamo distinguere tra chi ha avuto una formazione e chi no. E dove ci sono problemi a volte la risposta non può che essere: “perché ci sono dei delinquenti in circolazione”.
Quando si parla di controlli c’è però spesso un problema di terminologia. Controlli di che cosa? E a quale scopo? Per Renato Rordorf  consigliere della Corte di Cassazione un conto è il controllo che permette agli organi che hanno delle responsabilità in un’impresa di avere il pieno controllo di quello che succede, un altro è la vigilanza che insiste sulla correttezza del funzionamento dell’impresa e che ha come finalità di garantire una serie di soggetti esterni dall’impresa. “Per usare una metafora automobilistica – ha detto Rordorf  – un tachimetro e un autovelox hanno entrambi la funzione di determinare la velocità ma il primo serve al guidatore, il secondo alla vigilanza”.

AMMINISTRATORI INDIPENDENTI
Notevoli passi avanti sono stati fatti anche in relazione agli amministratori indipendenti. Certo, la definizione di amministratore indipendente rimane difficile e nodo su cui si dibatte anche all’estero. “Ero nel cda di una grande società inglese – ha raccontato Galateri – mi convocarono e mi fecero fare un esame da indipendente, il massimo che si poteva pensare. A un certo punto arriva un grosso investimento, e ho notato che il cda quando si è trovato davanti a operazioni che rischiavano di sbilanciare l’equilibro finanziario per un beneficio di lungo termine, si è spaventato. Il timore degli indipendenti era come presentare l’operazione al mercato”. Per Galateri in Italia il problema principale è che esistono di fatto due tipi di indipendenti, quelli della lista di maggioranza e quelli della lista di minoranza, che si portano sempre dietro il marchio della propria nomina. “Non mi piacciono queste due categorie – ha affermato Galateri – O sei indipendente o non lo sei”. Per Rordorf l’impressione è che non ci sia corrispondenza tra la realtà del fenomeno e la descrizione giuridica. Il problema nasce dal fatto che l’amministratore indipendente deve avere uno sguardo non pregiudicato dalla visione della maggioranza ma allo stesso tempo è chiamato a svolgere il ruolo di amministratore. “Il che pone un problema su cosa è l’amministratore indipendente? “Forse – si risponde Rordorf il solo vero crisma di indipendenza sta proprio nell’atto di nascita, nella designazione. La vera garanzia di indipendenza sta proprio nell’essere designato da chi non ha potere di comando nella società. Sarebbe quindi meglio far leva sulle figure di amministratore di minoranza. L’attuale sistema mi sembra molto ibrido e non mi sembra riesca a conciliare la tutele delle minoranze con la partecipazione alla gestione. Anche se, disseun tempo Alan Greenspan:“Non ho mai visto un amministratore indipendente nei confronti del ceo”.Per Rossi la soluzione è che ogni società abbia un concetto di indipendenza diverso, a seconda della composizione sociale e dei rapporti di forza.

Due visioni complementari a confronto, quella di Rordorf e Galateri, da un lato il mondo teorico del diritto dall’altro l’operatività di chi gestisce un’azienda.  Il ponte tra i due mondi, rileva Rossi, potrebbe stare nella formazione dei magistrati: “Si potrebbe uscire da questo convegno – ha detto – con una sorta di richiesta al Consiglio superiore della magistratura affinché i magistrati penali abbiano obbligatoriamente uno stage  in cda e capiscano come funziona”.

Sul TUF sono recentemente apparsi su FIRSTonline interventi di:
Filippo Cavazzuti (13/06/2013)
Marcello Messori (16/06/2013) 

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