X

Il 2016 sarà l’anno della verità per la politica italiana: o Renzi vince il referendum o è crisi

Il 2016 sarà l’anno dello sport: dal 10 giugno al 10 luglio andranno in scena gli Europei di calcio in Francia e dal 5 al 21 agosto le Olimpiadi in Brasile, le prime della storia in Sudamerica. Sarà un’estate piena di sport: per tre mesi ce ne sarà per tutti i gusti.

Ma, al di là dello sport, il 2016  sarà l’anno della verità per la politica italiana. Sarà un anno che farà da spartiacque. O Renzi o la crisi (non solo del premier e del Governo ma della legislatura). O le riforme o il caos. Le grandi città sono attese in primavera dalle elezioni amministrative: si vota a Roma, a Milano, a Torino, a Bologna, a Cagliari, a Napoli. Il sindaco non è il premier e il voto amministrativo non è necessariamente la fotocopia o l’anticamera del voto politico ma non c’è chi non veda l’importanza di un test elettorale come quello di primavera.  Il vero spartiacque dell’anno e della politica italiana sarà però un altro: quello del referendum di ottobre sulla riforma costituzionale del Senato. Matteo Renzi non ha lasciato margine ai dubbi: “O vinco o me ne vado. Se perdessi il referendum sarebbe il fallimento della mia esperienza in politica”.

La ragione delle scelta senza ritorno di Renzi è chiara: se vince il referendum il premier ottiene la definitiva legittimazione popolare che solo in parte gli hanno dato le trionfali elezioni europee e porta a casa la consacrazione della sua politica delle riforme, anche in vista delle successive elezioni politiche generali. Se invece perde, va a casa e, insieme a lui, esce di scena il suo Governo, tutta la strategia delle riforme e la sorte stessa della legislatura, essendo inimmaginabile che si possa formare un nuovo governo senza il Pd di Renzi. Insomma un terremoto del più alto grado della scala Mercalli.

E’ una scelta saggia quella del premier di politicizzare all’estrema il referendum o è un azzardo? L’editorialista politico di “Repubblica”, Stefano Folli osservava l’altro giorno che si tratta di una scelta ”logica” perché Renzi  giocherà su “un campo molto favorevole” in quanto “anche i suoi più tenaci avversari dubitano che esista nel Paese una maggioranza di italiani disposti a votare No all’abolizione del Senato e del Cnel”, benché “dieci mesi sono lunghi e il cammino (che porta al referendum) è carico di incognite”.

Anche il politologo Roberto D’Alimonte ha scritto su “Il Sole 24 Ore” che “l’esito non è del tutto scontato” ma “a giudicare dai dati che abbiamo in mano ora Renzi ha buone chance di vincere la sua scommessa”: gli ultimi sondaggi danno alla vittoria del Sì alla riforma costituzionale percentuali che oscillano tra il 55 e il 68% degli intervistati.

Tuttavia l’esito della battaglia non è scontato non solo perché i sondaggi attuali sono freddi e non tengono ovviamente conto del clima politico in cui si terrà la consultazione popolare, ma perché in realtà il referendum, più che sul merito della riforma del Senato, sarà su Renzi, sulla sua leadership e sulla sua politica delle riforme. Certo, sarà difficile per Forza Italia farà una campagna per il No dopo aver contribuito a costruire la riforma del Senato e sarà arduo per Grillo e per i suoi battersi contro una riforma che sorregge l’Italicum da cui i grillini hanno tutto da guadagnare. Ma la coerenza, si sa, non è una virtù diffusa in politica e le tentazioni di dare una spallata a Renzi non mancheranno.

Tutti questi rischi il premier li ha sicuramente messi in conto ma, se così è, c’è un solo modo per allargare il consenso sulla riforma costituzionale che consiste nell’informare in modo semplice e chiaro i cittadini sui benefici che la riforma porta riducendo i costi della politica e semplificando il processo decisionale ma consiste soprattutto nel far percepire a tutti che la riforma del Senato è solo l’anticamera di una strategia delle riforme da cui dipendono in buona parte la modernizzazione del Paese, una maggiore crescita dell’economia e il benessere stesso degli italiani.

Un luogo comune duro a morire dice che chi fa le riforme perde le elezioni, ma non è così o non è sempre così, se si ha il tempo di far comprendere i vantaggi che esse arrecano alla maggioranza dei cittadini. Dopo le infuocate e spesso insensate polemiche  che hanno accompagnato l’approvazione del Jobs Act e della Buona scuola è bastato che arrivasse il tempo della loro applicazione perché molte aziende ma soprattutto molti giovani e molti dei 100 mila insegnanti che sono finalmente usciti dal precariato capissero che i benefici di quelle riforme sono infinitamente superiori alle loro imperfezioni e ai rischi che venivano paventati.

Il 2016 può dunque diventare, anche attraverso il referendum, l’anno del definitivo rilancio dell’Italia e della consacrazione della politica del cambiamento nella stabilità, ma a patto che si alzi subito e con rinnovato vigore l’asticella della riforme.

Related Post
Categories: News