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Governo e burocrazia: chi comanda davvero in Italia? Sapelli e Giavazzi sollevano il caso Canzio

“Uno dei motivi, forse il principale, per cui il governo guidato da Mario Monti non è riuscito a tagliare la spesa pubblica è stata la scelta di mantenere al loro posto, quasi senza eccezioni, tutti i grandi burocrati che guidano i ministeri”. Comincia così, andando subito al cuore dei problemi, l’editoriale di Francesco Giavazzi pubblicato stamattina sul Corriere della Sera. Che avverte: “Il nuovo governo ha tempo fino al 31 maggio per decidere se confermare gli alti dirigenti dei ministeri: capi di gabinetto e degli uffici legislativi, capi dipartimento, direttori generali. Chi non verrà esplicitamente confermato, automaticamente decadrà. E’ una delle scelte più importanti delle prossime settimane”.

Giavazzi ha perfettamente ragione e quello del Governo Monti – molte riforme annunciate ma poche realmente attuate per il sabotaggio della burocrazia ministeriale – è un caso di scuola. Un caso che solleva un problema non nuovo ma sempre inquietante: in Italia chi comanda realmente? La politica o la burocrazia? Il Governo o i potentissimi e inamovibili superburocrati?

La questione era stata già sollevata ieri da Giulio Sapelli che, nell’intervista rilasciata a FIRSTonline, aveva per primo posto con clamore il problema della Ragioneria Generale dello Stato, una specie di Stato nello Stato, e l’opportunità di mandare a casa il suo titolare, Mario Canzio. Nulla di personale ovviamente, ma un problema politico ed istituzionale grande come una casa, che oggi solleva anche Giavazzi. 

Che cosa viene imputato a Canzio e ai superburocrati? “Di aver scientemente sabotato – sono parole di Sapelli – le decisioni politiche assunte dal Governo e dal Parlamento in materia di sviluppo”.

“Mario Canzio, l’attuale Ragioniere generale dello Stato – scrive oggi Giavazzi sul Corriere – entrò in Ragioneria nel 1972, 41 anni fa, come funzionario dell’Ispettorato generale del Bilancio, l’ufficio che ha il controllo della spesa pubblica. Da quel giorno la spesa pubblica al netto degli interessi è cresciuta (ai prezzi di oggi) di circa 200 miliardi, dal 32 al 45% del Pil. Da quando, otto anni fa, fu nominato Ragioniere generale, è cresciuta di oltre 30 miliardi”. 

Ovviamente non è colpa solo del Ragioniere generale, ma ci sono due punti che giustamente solleva Giavazzi e che meritano di essere posti sul tappeto: 1) “Il monopolio delle informazioni è il vero motivo della potenza della burocrazia”, ma questo monopolio va rotto e chi deve decidere – Governo e Parlamento – deve possedere tutti gli elementi conoscitivi per poter fare le proprie scelte nell’interesse del Paese; 2) Il Ragioniere generale è un incarico a vita e anche questo è un problema che va affrontato.

Nel momento in cui si reclama e talvolta si realizza il ricambio in politica e in molti settori della vita del Paese, non è venuto il momento di portare una ventata di rinnovamento e di trasparenza anche nell’alta burocrazia con una rotazione perenne dei superburocrati da un ministero all’altro? Il caso della Ragioneria è forse il più eclatante ma non è il solo. Vogliamo parlare della Farnesina o del Viminale?

Intendiamoci: una tecnostruttura esperta e competente è essenziale per il buon governo e per la buona amministrazione, ma le scelte politiche non toccano ai superburocrati. E se, com’è giusto, dobbiamo accendere i riflettori su tutte le caste, quella della burocrazia non può certamente chiamarsi fuori.

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