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Gianni Dezio, il segreto dello chef cresciuto in Venezuela

Gli corrono brividi giù per la schiena, la mattina, quando apre il giornale o quando ascolta i notiziari televisivi vedendo ciò che sta accadendo in Venezuela in questi giorni. Una catastrofe di immani proporzioni non solo politica ed economica ma soprattutto sociale. Suda freddo pensando al pericolo scampato. Perché per Gianni Dezio, 33 anni, chef di “Tosto” ad Atri, un incantevole borgo medioevale ricalcato in alcuni punti sul modello della città romana preesistente, in provincia di Teramo, il paese sud americano aveva rappresentato fin da bambino il sogno comune a tanti suoi corregionali che dal secolo scorso hanno attraversato l’oceano in cerca di fortuna. Un percorso che, dall’Unità d’Italia a oggi, hanno affrontato 1.200.000 persone, una cifra enorme per una regione come l’Abruzzo che oggi conta una popolazione di 1.312.581 abitanti. Molti si erano diretti al nord negli States, molti in Argentina e in Brasile che, a seguito dell’abolizione della schiavitù, avevano facilitato l’arrivo di flussi migratori avendo bisogno di manodopera per le coltivazioni.

Molti altri avevano scelto il Venezuela, dove oggi si contano 30.000 abruzzesi, la metà di tutti gli abitanti de L’Aquila. Fra questi c’erano i nonni di Dezio, che, con non poco coraggio, avevano lasciato Atri per il Venezuela, insediandosi a Calabozo, nella parte centrale del paese. Il nome incuteva un po’ di soggezione perché Calabozo significa prigione, in quanto, in epoca coloniale, essendo un’area posta in una posizione remota lungo il corso del fiume Guarico, veniva proposta a molti detenuti come esilio, in alternativa alla prigione, per lavorare in opere di pubblica utilità per la bonifica dei terreni. La città si era sviluppata poi come importante centro agricolo e di allevamento di bestiame e sede di alcune aree industriali.

Qui la famiglia Dezio aveva aperto un home-restaurant, formula oggi di grande tendenza, “Nonna Italia”, che in breve divenne punto di riferimento della comunità di emigrati italiani che desideravano riconoscere le proprie origini identitarie nel cibo, ma anche per molti venezuelani che apprezzavano le ricette italiane e soprattutto la pasta fresca che nonna Italia (la nonna si chiamava proprio così, l’insegna non era stata una trovata pubblicitaria) preparava giornalmente. Il successo di “Nonna Italia” aveva attirato anche il resto della famiglia. Fu così che fin da piccolo il giovane Dezio cominciò a fare la spola fra l’Italia e il Venezuela. Dapprima viene iscritto alla scuola materna nel paese sudamericano poi torna in Italia per gli anni delle elementari e delle medie, quindi si ritrasferisce in Venezuela, dove frequenta il liceo. Ma quando si tratta di scegliere l’Università rieccolo di nuovo in Italia a Teramo dove si iscrive e si laurea in Scienze del Turismo.

In tutto questo via via sugli oceani fra Atri e il Venezuela, Gianni prende intanto confidenza con il cibo e si appassiona a vedere la nonna preparare i cibi per i clienti e dà una mano in cucina a preparare paste e pietanze. Dopo due anni di lavoro in questa attività, Gianni decide che è arrivato il momento di mettersi alla prova, ha le idee chiare: vuole diventare cuoco. Detto e fatto, in breve apre un vero ristorante proprio di fronte a quello di famiglia, un posto dove sperimentare la sua creatività che è andata formandosi fra la cucina di tradizione abruzzese e quella del suo paese di adozione.

Ma il ragazzo realizza ben presto che la sua crescita professionale non potrà avvenire a Calabozo. Anche se a sentirlo parlare, il primo tratto che emerge della sua personalità è una sorta di timidezza, di ritrosia, di riserbo con cui parla di se e dei suoi piatti, Gianni Dezio di volontà, di voglia di riuscire ne ha da vendere. Vale per lui, e gli si attaglia alla perfezione, un celebre passo di Primo Levi, giornalista e diplomatico di fine ‘800, dedicato all’Abruzzo: “V’a nella nostra lingua, tutta, in sé stessa, semplicità ed efficacia, una parola consacrata dalla intenzione degli onesti a designare molte cose buone, molte cose necessarie: è la parola Forza. Epperò, s’è detto e si dice il forte Abruzzo. V’a nella nostra lingua, tutta, in sé stessa, comprensiva eleganza, una parola che vale a comprendere definendole, tutte le bellezze, tutte le nobiltà: è la parola Gentilezza. Epperò, dopo aver visto e conosciuto l’Abruzzo, dico io: Abruzzo Forte e Gentile. Epperò, dopo aver visto e conosciuto l’Abruzzo, ho detto e ripeto io: Abruzzo Forte e Gentile.”

E Dario, forte e gentile, affronta il coraggio a due mani. Il Venezuela sta attraversando una gravissima crisi economica, in tutto il paese mancano moltissimi beni di prima necessità o di largo consumo: dallo zucchero al caffé, all’olio, perfino la carta igienica (che diventa una specie di simbolo delle tragiche condizioni del paese dopo che il nuovo governo Maduro ha deciso di sequestrare una fabbrica di carta igienica per rifornire il paese). L’inflazione ha oramai raggiunto il 54 per cento, ci sono continui blackout che lasciano al buio per ore intere aree del paese. Il Paese sudamericano non è più l’Eden dei suoi nonni. Gianni con determinazione convince tutti, si fanno armi e bagagli e si rientra in Patria con tutta la famiglia. E nel 2013 sono tutti di nuovo ad Atri, con la moglie italo-venezuelana e i figli. Si riparte e si riparte dalla cucina perché è l’unico mestiere che conosce. Gianni è determinato nella voglia di crescere, di imparare cose nuove, di fare nuove esperienze, l’Abruzzo non è più quello dei suoi nonni, le cose sono molto cambiate. Nel campo della ristorazione non è più tempo di trattorie alla buona, non basta sfornare paste fresche. Serve eccellenza per sfondare in un settore nel quale ci si sono buttati in molti.

A Castel di Sangro Niko Romito, il fenomeno Romito, che in soli 7 anni partendo dalla pasticceria di famiglia è riuscito a conquistare 3 stelle Michelin, 3 forchette della Guida Gambero Rosso, 5 cappelli della Guida de L’Espresso, il 43º posto nella classifica dei 50 World’s Best Restaurants del mondo ha aperto la Niko Romito Formazione, Corso di Cucina Italiana Professionale. Senza esitazione Dario ci si iscrive, una scelta che muterà il corso della sua vita, un’ esperienza fondamentale che gli fa cambiare completamente l’approccio alla cucina: apprende come modificare i parametri, acquisisce tecnica, ma soprattutto imposta lo studio del gusto come principio essenziale nella creazione di ciascun piatto. La scuola di Romito ricorda “mi ha cambiato il palato, la visione, la cura, mi ha svelato l’importanza della ricerca e a dare un senso a tutto quello che metto nel piatto”. Si appassiona talmente a quello che sta apprendendo che vuole bruciare le tappe: i fine settimana invece di tornarsene a casa dalla famiglia resta in cucina a osservare a imparare, a cogliere nuove sensazioni, elabora una visione personale della cucina in cui l’ambiente ristretto, raccolto e legato al territorio diventa un valore aggiunto e non una penalizzazione come ha insegnato Romito. E Romito lo guarda con simpatia, ne apprezza le qualità e l’impegno, lo sostiene nei suoi progetti futuri, insomma ci crede in questo giovane, forte e gentile, che ha voglia di migliorarsi e affermarsi.

E nel 2014 Gianni riesce ad aprire un suo spazio, “Tosto”, ad Atri. Un nome che è tutto un programma, Tosto per dare il senso di pane arrostito, Tosto perche voleva un nome corto che desse il senso dell’essenzialità del gusto, Tosto (la ragione più verosimile) per far capire il suo carattere e la sfida di ricominciare tutto da capo. E ditemi se non aveva ragione Primo Levi! Sembra un segno del destino. Il locale è quello di una vecchia trattoria abbandonata che il padre di Dezio, Mauro, ha riconosciuto girando per il paese, è la trattoria dove la nonna aveva iniziato a lavorare prima di trasferirsi in Venezuela.

Pochi posti, una trentina, arredo minimale (anche per motivi economici) Dezio si concentra sulla cucina, dove lo assiste la madre Maria Mattucci, specializzata e addetta alla lavorazione della pasta fresca e dei dolci, mentre la moglie Daniela, si dedica all’accoglienza in sala.
Ogni piatto nasce dal legame con il territorio. Dezio si lega fortemente al territorio al punto di fare rete con selezionati produttori locali di materie prime che gli forniscono gli ingredienti per le sue preparazioni gourmet. E tutti insieme padre, madre, Dezio e moglie, girano costantemente per le campagne alla ricerca di prodotti dai sapori antichi, vanno tutti i giorni al mercato ad approvvigionarsi di verdure fresche, scendono al mare a Giulianova per il pesce fresco. Scoprono anche il fascinoso mondo dei Calanchi, nella riserva che dista pochi chilometri da Atri e qui il padre Mauro si incarica di girare per i calanchi per cogliere mentuccia capperi, origano finocchietto, carote e portulaca, selvatici che danno forte sapidità alle preparazioni di Dezio in cucina.

Territorio dunque come religione di rispetto per questa terra, ma Dezio non dimentica anche le sue prime esperienze venezuelane, e la sua cucina creativa e personale diventa un dialogo permanente fra la tradizione abruzzese e il ricordo di sapori sudamericani giocando sul contrasto fra l’acidità venezuelana e il gusto amaro tipicamente italiano.

E’ dunque una cucina meditativa e riflessiva per cui il menu deve partire dall’amaro o dall’acido e un dolce deve pulire. E così prendono forma i Bottoni “cacio e ovo” in brodo di agnello super chiarificato (doveroso omaggio al suo maestro Romito), i Tortelli di carciofi con fonduta di pecorino di Atri e liquirizia, omaggio alla storia di Atri, qui i monaci estraevano la liquirizia già nel ‘600, il Fondo di lenticchia affumicata, manzo e maiale, rapa bianca e trippa, e la “Terra dei Calanchi”, un dolce-non dolce della casa a base di liquirizia. “ Far cucina d’autore nuova e libera, pur con rispetto e passione palesi per i tesori che i colli fascinosi, il mare vicino, e l’Abruzzo interno offrono, – ha scritto di lui la Guida del Gambero Rosso che gli ha assegnato un punteggio di 80 e due forchette – è stato tutt’altro che semplice all’inizio. Ma la solidità e il talento di Gianni Dezio hanno stravinto”.

Insomma il ragazzo sa il fatto suo e lo ha dimostrato in soli quattro anni, figuriamoci che dobbiamo aspettarci per il futuro.

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