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East Forum, Prodi: “Rilanciare una politica industriale a livello europeo”

Serve “una politica industriale dotata di una struttura di coordinamento europea, che dia maggiori risorse alla ricerca e offri una spesa almeno tripla nelle scuole tecniche e professionali”. Questi gli ingredienti per rilanciare le imprese e dare ai giovani gli strumenti adeguati per diventare imprenditori ora che la “gemmatura” spontanea di imprese è impensabile data la complessità della tecnologia. Così l’ex Presidente del Consiglio Romano Prodi ha aperto i lavori all’East Forum 2012, la giornata di dibattiti organizzata da Unicredit e dall’Ocse e che quest’anno è dedicata alla politica industriale. “L’impresa è di proprietà privata ma è un bene pubblico” per questo vanno incoraggiate quelle che crescono e che sono sostenibili nel lungo periodo. “Nelle imprese familiari alla prima generazione si osservano spesso catastrofi: abbiamo perso ottime imprese per i litigi tra cognati”. E non è più possibile continuare su questa strada.

L’ex-premier ha spiegato che il problema della mancanza di competitività dell’Europa di oggi si deve combattere con una politica industriale più omogenea e mirata. I Paesi asiatici, Cina in primis, non sono più luogo di delocalizzazione per i bassi costi del lavoro, ormai quasi simili ai livelli occidentali, ma è la “supply chain e l’integrazione della struttura produttiva che offrono a questi Paesi il vantaggio competitivo”. E’ questo che manca all’Europa: “Dobbiamo creare una una supply chain e ritrovare un’omogeineità nella struttura produttiva. Abbiamo perso il senso che imprese e contorno debbano vivere insieme. Manca l’attitudine a un’analisi dinamica di quello che sarà l’impresa o il settore nel futuro. Questo tipo di studi viene fatto soltanto dalle società finanziarie e in funzione del business, non certo per uno sviluppo industriale organico”. E del mondo finanziario Prodi non ha dipinto un’immagine troppo positiva. “La dimensione della finanza speculativa è diventata così grande che tutti i Paesi hanno perso la propria sovranità”, ha detto l’ex premier. Si salvano gli Stati Uniti e la Cina, tutti gli altri scelgono le loro politiche perché terrorizzati dallo spread.

A discutere con Prodi anche il professore della London School of Economics (Lse) Robert Wade e lo spagnolo Xavier Vives che insegna allo Iese di Barcellona. L’accademico britannico ha ricordato che la crisi finanziaria europea ha messo in dubbio le teorie neoclassiche che, rifiutando ogni intervento dello Stato, vedono nella politica industriale un necessario fallimento. Ma la differenza è più sottile: bisogna fuggire quelle politiche industriali che consistono semplicemente in politiche militari e creazioni di campioni nazionali e focalizzarsi sullo sviluppo di un quadro generale di governo, interventi sul capitale umano, infrastrutture ed educazione in primis, e su alcuni settori strategici.

Durante la mattinata è stata chiamata in causa la Cina come esempio di politica industriale organica ed efficiente. Tuttavia Prodi preferisce guardare alla vicina Germania: lì esiste un Fraunhofer institute che ogni anno concede 2 milioni di euro per progetti innovativi. E’ lo Stato che fornisce credito alle imprese, che gestisce in modo adeguato i brevetti e agevola i rapporti tra imprese e banche. Questo è il tipo di politica industriale a cui ispirarsi. Tuttavia, di fronte a un mondo globale così competitivo, “neanche la Germania da sola ce la fa“, ha detto l’ex-premier. “E infatti la Confindustria tedesca è molto più cauta della Bundesbank” nelle sue esternazioni anti-euro. “In Germania si chiedono se riusciranno a creare da soli un cluster che li fa protagonisti del mondo” ma il professore bolognese sembra abbastanza scettico all’idea.

Infine l’ex presidente del Consiglio ha esortato i suoi colleghi economisti a sporcarsi le mani nel mondo reale. “Negli ultimi anni si è osservato sempre di più una discrepanza tra teoria e realtà: a livello accademico si è abbandonato lo studio applicato perché una teoria dominante ha preteso di dimostrare che le politiche industriali sono sempre sbagliate”. Questa tendenza deve essere invertita.

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