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Contratti a termine, cosa cambia? Nuove causali, vecchi dilemmi: tutte le novità del decreto Lavoro

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Si allentano le maglie del decreto Dignità sui contratti a termine, con l’introduzione di nuove causali e riservando ampio spazio alla contrattazione. Il decreto Lavoro, approvato dal governo Meloni lo scorso primo maggio, ha introdotto importantissime novità e tra gli interventi più discussi e dibattuti c’è quello che riguarda la modifica della norma sui contratti a termine, ma cosa cambia?

Resta la conferma del contratto a tempo determinato di 12 mesi che può essere instaurato senza il ricorso alle causali, cioè situazioni straordinarie per cui sono necessari contratti di questo tipo. Superati i 12 mesi, si può prorogare o rinnovare in presenza di determinate causali, che permettono appunto di “allungare” i contratti a termine oltre i 12 mesi, ma pur sempre senza superare i 24 mesi. Ora con il decreto Lavoro si vanno a modificare tali causali.

Contratto a termine: nuove causali, vecchi dilemmi

La necessità di giustificare la fine di un contratto di lavoro è una storia lunga e dibattutta nel nostro Paese, iniziata con la legge 230/1962 che ha introdotto le causali di ricorso al contratto a tempo determinato. Da allora la normativa è stata più volte modificata. Nel 2001, tutte le causali vennero accorpate, dando vita al cosiddetto “causalone” (ragioni tecniche, organizzative o produttive) che con la sua genericità ha prodotto non poca confusione (e polemiche). Nel 2015, il decreto Poletti ha abolito la necessità della “giustificazione”, affidando la prevenzione degli abusi alla previsione di limiti quantitativi e di durata per i contratti a termine. E fin qui tutto “bene”. Nel 2018, il decreto Dignità ha rimesso mano alla materia, non solo reintroducendo le causali per i rapporti oltre i 12 mesi e per i rinnovi, ma anche rendendole più̀ rigide di quelle originarie: esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori o connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria. Nel 2021, in piena pandemia da Covid 19, alle causali del decreto Dignità̀ è stata aggiunta quella delle specifiche esigenze previste dai contratti collettivi al fine di conciliare le esigenze occupazionali temporanee con le incertezze legate al mercato del lavoro di quel periodo, aprendo così la porta a una flessibiizzazione.

Anche il Governo Meloni ha deciso di intraprendere questa strada. Non eliminando il sistema delle causali, ma affidandone la gestione ai contratti collettivi.

Contratti a termine, cosa cambia con il decreto Lavoro?

Il decreto Lavoro introduce tre causali per il rinnovo dei contratti a termine dopo la scadenza dei primi 12 mesi. E sono:

  • casi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative;
  • esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva, individuate dalle parti, in caso di mancata contrattazione collettiva, entro il 31 dicembre 2024; dopo tale data (salvo proroga del termine), si dovrà esclusivamente far riferi- mento alle casistiche elaborate dalla contrattazione collettiva.
  • sostituzione di altri lavoratori.

In sostanza, le causali diventano meno stringenti e il rinnovo non avrà bisogno di ragioni eccezionali, come quella legata ad esempio a un incremento temporaneo dell’attività produttiva. Pertanto, in assenza di un intervento da parte della contrattazione collettiva, l’individuazione delle esigenze è rimessa alle parti, senza necessità di certificazione del contratto, anche se in via temporanea fino al 31 dicembre 2024. Resta invece identica la causale che prevede la possibilità di rinnovare il contratto a termine oltre il termine dei 12 mesi per sostituire un altro lavoratore, così come non viene toccato il limite massimo dei 24 mesi.

Quanto dura un contratto a termine?

Il decreto Lavoro, come detto, prevede che il contratto a termine possa essere prorogato solo se la durata iniziale del contratto risulti inferiore a 24 mesi e per un massimo di 4 volte, a prescindere dal numero dei contratti. Se il contratto a termine non si trasforma in contratto a tempo indeterminato arriva l’indennizzo per mancata assunzione: un importo di 500 euro a favore dei lavoratori assunti a termine con contratto di durata pari a 24 mesi, con esclusione degli stagionali. L’una tantum è versata a titolo di welfare a carico del datore di lavoro. Lo prevede l’articolo 23 della bozza del provvedimento

Le nuove regole sono vantaggiose?

Ammorbidendo la legislazione sulla contrattazione a termine, le nuove regole sono sicuramente vantaggiose per i datori di lavoro, in quanto avranno la possibilità di prorogare le assunzioni, anche se non oltre i 24 mesi, senza causali stringenti. E per i lavoratori cosa cambia con le nuove regole dei contratti a termine? L’opposizione e i sindacati hanno invece già aspramente criticato il provvedimento, additando le nuove causali come la causa futura dell’aumento della precarietà. Si vedrà.

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