X

Conte-ter o nuovo premier per nuovo Governo: verifica al bivio

Imagoeconomica

Stretto nell’angolo dalla tambureggiante offensiva di Matteo Renzi, che riflette anche il malumore di larga parte del Pd e dei Cinque Stelle per l’assenza di collegialità nel governo, il premier Giuseppe Conte ha capito che non può più esorcizzare il dissenso che cova nella maggioranza e che è inevitabile affrontare il toro per le corna e scoprire le carte. È questo il senso politico degli incontri faccia a faccia che Conte ha avviato oggi pomeriggio con M5S e Pd e che domani avranno il loro clou con il confronto diretto con Matteo Renzi. Il premier vuol capire se, dopo l’affondo di Renzi al Senato e dalle colonne de El País, c’è ancora margine di mediazione per provare a ricucire le fila di una maggioranza sempre più sfilacciata. La sua è una mossa obbligata, ma i numeri sono numeri e senza il voto dei parlamentari renziani al Senato il Governo non avrebbe più la maggioranza e Conte dovrebbe lasciare Palazzo Chigi. Per salvare la poltrona l’avvocato del popolo deve apprestarsi a soddisfare le tre perentorie richieste di Renzi, che sotto sotto non dispiacciono nemmeno agli altri alleati di governo: via la cabina di regia, ridiscussione della distribuzione dei 209 miliardi del Recovery Fund – soprattutto della miseria riservata alla sanità (9 miliardi) e al turismo (3 miliardi) – e addio alla Fondazione sulla cybersecurity.

È evidente che Conte proverà a resistere e, se riuscirà a ricucire lo strappo con Renzi, potrà avviarsi, dopo una crisi pilotata e il conseguente dibattito parlamentare, verso il Conte-ter con annesso rimpasto di Governo. Ma il tempo stringe, perché Renzi ha fissato come invalicabile la data del 28 dicembre: o il premier fa marcia indietro o il leader di Italia Viva ritira i suoi ministri dal Governo.

Ma cosa succederebbe se lo strappo tra Conte e Renzi risultasse incolmabile? C’è chi dice che la legislatura scivolerebbe verso il piano inclinato delle elezioni anticipate. Ma è del tutto improbabile, non solo perché votare in tempi di pandemia sarebbe – questo sì – altamente rischioso, ma perché, nella certezza di non essere rieletti alle Camere per il taglio dei parlamentari voluto dai Cinque Stelle, c’è da scommettere che gli attuali deputati e senatori si arrampicherebbero sugli specchi pur di difendere i loro seggi in una legislatura – non scordiamolo – che all’inizio del 2022 deve eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. La stessa improvvisa disponibilità manifestata dal leader della Lega Matteo Salvini a concorrere a un governo di transizione e la disponibilità alla convergenza con l’attuale maggioranza manifestata oggi dal Silvio Berlusconi dalle colonne del Corriere della Sera sono un segnale più che eloquente.

E allora? Allora i prossimi giorni o le prossime settimane serviranno a chiarire la vera alternativa in campo, che non è Conte o elezioni ma Conte-ter o nuova premiership a parità di maggioranza politica. Un punto i primi giorni della virtuale crisi politica in atto l’hanno già portato alla luce ed è così che, scartate le elezioni anticipate e scartata l’ipotesi di una nuova maggioranza, la premiership è diventata contendibile, perché, al di là delle dichiarazioni di facciata, né Nicola Zingaretti né di Luigi Di Maio sono pronti a immolarsi per Conte di fronte all’incalzante offensiva di Renzi.

Certo, se tutte le forze politiche fossero d’accordo e se fosse disponibile il diretto interessato, sarebbe più che saggio affidare la gestione del Recovery Fund e la ricostruzione del Paese a un premier di altissima competenza e di grandissimo prestigio internazionale, ma, allo stato, una premiership di Mario Draghi è poco più di un miraggio.

Del resto, ancora una volta i numeri sono numeri e, al di là delle tante scissioni subite, i Cinque Stelle restano la prima forza in Parlamento e se evapora la premiership di Giuseppe Conte, che è stato ed è una loro espressione, tocca a loro avanzare una nuova candidatura per Palazzo Chigi. Non a caso ieri la Repubblica titolava così: “Se cade il premier c’è Di Maio?” e aggiungeva che “il suo nome è in pole position in caso di cambio a Palazzo Chigi”.

Su una premiership Di Maio potrebbero convergere anche il Pd e Italia Viva, prenotando due vicepresidenze forti per i loro leader e con un occhio alla futura battaglia per il Quirinale, ma paradossalmente è proprio Di Maio a esitare. Il rischio di fallire o di essere cecchinato dal fuoco amico e di travolgere i Cinque Stelle è alto, altissimo. Ma l’ambizione del Ministro degli Esteri è nota e lui è il primo a sapere che spesso nella vita il treno passa una volta sola. Adesso o mai più. Ecco perché l’ipotesi Di Maio è molto problematica ma non è del tutto peregrina. I prossimi giorni ci diranno se sotto l’albero di Natale la sua candidatura può prendere quota o se è destinata a sfumare prima di essere nata.

Related Post
Categories: Politica