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Bcc, riforma ok ma la way out verso la spa non funziona

Caro direttore,

di solito non replico alle critiche. Non l’ho fatto, per esempio, quando Nicola Rossi ha formulato le sue osservazioni al mio primo intervento sulla riforma del credito cooperativo quale veniva disegnata dal decreto del governo (“Il Foglio”, 21 febbraio 2016). Non lo feci quando Giuliano Ferrara ne rivolse di insultanti al “Baco del Corriere”, ma lo invitai a presentare il libro a Roma, e lui accettò. Talvolta, però, si deve. E all’articolo che Giampaolo Galli mi dedica su Firstonline non posso non riservare qualche pensiero che ti chiedo la cortesia di ospitare.

Ci sono, anzitutto, questioni di stile. Da un economista liberale come Galli mi sarei aspettato una parola sulla decisione dell’ “Unità” di non pubblicare la mia lettera aperta (e già concordata) al sottosegretario Luca Lotti paventando querele dallo stesso Lotti e dalla BCC di Cambiano: l’ “articolone” del “Fatto”, da cui lo stesso Galli prende le mosse, quella lettera era. I frequentatori di Firstonline che avessero tempo da perdere, e cioè da dedicare alla lettura dell’ “articolone” (lo possono trovare anche sul mio sito, vadoalmassimo.it), decideranno se si tratta del testo di un “oppositore seriale e inurbano” o dell’analisi di impatto di una norma, la way out facilitata verso la banca capitalistica per le BCC “grandi”, una norma che, in Senato, e’ stata criticata non solo da chi scrive ma anche, fra gli altri, dall’ex presidente della Confcooperative, Luigi Marino. Veniamo ora alla sostanza.

Chi legga il decreto del governo rivisto dalla Camera scoprirà come non vi si prevede affatto la costituzione di un gruppo bancario cooperativo unico con a capo una holding in forma di S.p.A. Se un certo numero di BCC e’ in grado di conferire a una holding attività che la capitalizzino per un miliardo, i gruppi bancari cooperativi possono essere due o anche più di due. Possiamo discutere se la cosa abbia senso, e per me ne ha poco. Ma questa possibilità resta e rappresenta la via d’uscita più seria dal mondo Federcasse. Per imboccarla, servono credibilità e leadership, bilanci solidi e capacità di reddito. Vedremo.

Trasformarsi direttamente o indirettamente in società per azioni rappresenta, invece, una seconda forma di way out. Che non condivido in radice.

La trasformazione diretta della BCC in S.p.A, prevista dal testo approvato dal consiglio dei ministri su indicazione di palazzo Chigi a correzione del testo originario concordato da MEF, Banca d’Italia e Federcasse, avrebbe consentito ai soci attuali di appropriarsi delle riserve indivisibili, accumulate in esenzione d’imposta dalle precedenti generazioni di soci. Un’appropriazione indebita, dato che i vecchi soci hanno sempre negoziato le quote delle loro BCC al nominale, non avendo titolarità sulle riserve indivisibili. Galli fa un po’ di confusione tra generazioni passate e future, ma ha ragione quando ricorda il trade off tra scambio mutualistico e sconti fiscali che sta alla base della legge Basevi sulla cooperazione. Trade off che mi è chiaro almeno dal 1981, e cioè da quando iniziai l’attività giornalistica in quella meravigliosa cooperativa che editava il quotidiano “Bresciaoggi”. Ricordi, caro Franco? C’eri anche tu. Con maestri in erba dell’informazione economica come Elia Zamboni e Odoardo Rizzotti! Che banda di giornalisti felici e sconosciuti, avrebbe detto Garcia Marquez!

L’appropriazione, peraltro, non diventava meno indebita pagando un’imposta straordinaria del 20% delle riserve indivisibili. Sia perché il 20% non basta a ripagare il favor fiscale (l’Ires e le sue progenitrici non sono sempre state basse come ora, i mancati introiti fiscali hanno determinato l’emissione di debito pubblico), sia perché, a rigore, la riserva indivisibile appartiene ai fondi mutualistici di promozione della cooperazione che la lasciano in uso alla cooperativa fino a quando la medesima opera e se la riprendono, per quanto avanzi, allo spirare dell’impresa. La Camera ha fatto bene a cancellare questa forma di way out. Meno bene ha fatto a lasciare in piedi l’altra forma di way out non dal gruppo cooperativo principale ma dall’impresa bancaria cooperativa attraverso il conferimento delle attività creditizie a una S.p.A già esistente ovvero a una S.p.A nuova, purché entrambe titolari di licenza bancaria.

Su questo fronte, caro direttore, sono in buona compagnia: la Banca d’Italia aveva già bocciato un’analoga soluzione per le popolari; il giurista Paolo Ferro Luzzi sottolinea come le BCC non siano mere cooperative, ma imprese bancarie cooperative, con ciò dicendo che, nel momento in cui cessassero l’attività originaria, perderebbero il loro connotato mutualistico specifico, e dunque dovrebbero essere liquidate (Ferro Luzzi lo scriveva nel 2000). Ma al di là delle questioni di principio mi pongo anche il problema, non secondario per un legislatore, dell’efficacia della norma. Galli lamenta che lo faccio solo adesso. Spiace dire che non è vero. Si veda il citato articolo sul “Foglio”. Ma, di grazia, un senatore non può più parlare quando quando il decreto passa al Senato? A voce, peraltro, avevo già anticipato la mia opinione al relatore, Giovanni Sanga, e a Davide Zoggia, che mi avevano telefonato e che poi hanno preso le loro decisioni. Galli non l’ha fatto. E non è certo una colpa. Ma eviti poi di stupirsi se esprimo il dubbio che la way out, derivante dall’emendamento suo e di Zoggia, funzioni poco perché, con ogni probabilità, costringerebbe le BCC che ne approfittassero a ricapitalizzazioni onerose e non convenienti per i soci. Lo faccio conti alla mano, mettendo ciascuno, a cominciare dal mio contraddittore, nelle migliori condizioni per smentirmi con numeri più credibili, senza ricorrere al politichese.

Certo, non analizzo tutte le BCC con patrimonio oltre i 200 milioni, e perciò teoricamente eleggibili per la via d’uscita, come pretende Galli. E ci mancherebbe! Avrei dovuto scrivere 14 “articoloni”, una punizione per il lettore. Meglio concentrarsi sulle vere candidate alla way out. E così, dopo aver detto due parole sulla Cassa Padana sull’edizione bresciana del “Corriere”, ho ragionato sulla BCC di Cambiano. Perché proprio la Cambiano? Perché sarà una delle pochissime a provarci e perché il suo consulente, Nicola Rossi, si è vantato sul “Corriere” di aver ispirato la way out che Galli difende. Mi sono rivolto a Lotti perché della way out i giornali scrivono si sia occupato lui e nessun cronista ha ricevuto un sms di smentita da palazzo Chigi. Il fatto che Lotti taccia apre semmai una questione di accountability. Ma di questi tempi…

Le norme che funzionano poco o male, caro direttore, sono norme malfatte. E questa, a parer mio, lo è, come in fondo lo stesso Galli teme quando s’inalbera sulla “tassa” del 20%. La quale “tassa”, sempre per amor di precisione, nel decreto non viene chiamata tassa o imposta ma versamento proprio perché non ha, come le imposte straordinarie o sostitutive, un corrispettivo ma e’ un semplice prelievo, a mio parere discriminatorio, che grava su una categoria di imprese per operazioni che altre categorie di imprese fanno senza prelievi. Questo versamento e’ peraltro utile per chi vuole svuotare dall’interno la way out facilitata (che il “bersaniano Zoggia” abbia fatto un po’ il furbo?), non lo è per quanti la difendono (come Galli). In ogni caso, questo versamento non è stato aggiunto dalla Camera ma era presente già nel testo licenziato dal Consiglio dei ministri. Galli legga meglio….

Per questo, alla fine, ho votato la fiducia in Senato. Perché la riforma del credito cooperativo (operazione grande e doverosa) non verra’ messa in crisi da una way out probabilmente inefficace. Una macchia – così l’ha definita Marino – non obbliga a buttar via il vestito. Ma che la macchia ci sia, lo si potrà ben dire.

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