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Volkswagen sfida la crisi dei mercati con l’Ipo di Porsche: forza e debolezze di un’operazione da 60-80 miliardi

Photo by Campbell Boulanger on Unsplash

Difficile scegliere un momento peggiore per lanciare la più imponente Ipo della storia tedesca, la più importante di un anno difficile: chiusi i rubinetti del gas russo, il bilancio federale sotto stress per sostenere famiglie ed imprese con 65 miliardi. Stamane una nuova doccia fredda: ordini all’industria ancora giù dell’1,1%, peggio del previsto. Ma il gigante Volkswagen va avanti e ha deciso di lanciare l’Ipo di Porsche.

Volkswagen va avanti con l’Ipo Porsche e il titolo sale a Francoforte

Ci vuole ben altro della crisi del gas per influenzare tempi e modi del gigante Volkswagen, il vero simbolo dei primati tedeschi, una macchina che non si spaventa di fronte alla sfida in arrivo dl Cremlino. E così, nelle stesse ore in cui il portavoce di Putin spiegava che, di fronte all’embargo delle turbine Siemens, Gazprom aveva deciso di fermare le forniture di gas alla Germania e all’Europa, il consiglio di sorveglianza di Volkswagen annunciava di voler procedere alla Ipo di Porsche nel giro di poche settimane, a cavallo tra settembre ed ottobre.

“Forse dovrebbero valutare meglio i tempi degli annunci”, ha commentato con ironia Stifel, il broker che fa notare come il primo annuncio dell’operazione venne diffuso il 24 febbraio scorso, giusto poche ore dopo l’avvio dell’invasione in Ucraina. ”Ma noi – replica a distanza Oliver Blue, oggi a capo sia di Porsche che della capogruppo – abbiamo dimostrato di saper fare buoni profitti sempre, sia ai tempo della pandemia che della crisi dei chips. E pure di fronte alla guerra in Ucraina”. Una risposta orgogliosa che ha ottenuto l’applauso della Borsa di Francoforte ove il titolo Volkswagen guadagna oggi quasi il 2% anticipando gli effetti dell’iniezione di fondi che, grazie alla quotazione di Porsche, potrebbero finire nelle casse del gruppo. 

Ipo Porsche: chi comprerà le azioni?

Ma anche a Wolfsburg sono consapevoli dei rischi del ritorno di Porsche sul listino in un momento di grande debolezza dei mercati azionari, ma anche del settore auto, a metà del guado della più complessa operazione tecnologica della storia e, per sovrammercato, dei primi segnali di debolezza in arrivo dal mondo del lusso. Non a caso, per render possibile lo sbarco di Porsche (valutazione della casa madre 84/85 miliardi di euro, ma un punto basso della forchetta attorno ai 60 miliardi) la grande finanza tedesca è da mesi in pieno movimento. Di sicuro all’operazione parteciperà la Qatar Investment Authority che, in linea con la quota posseduta in Volkswagen, sottoscriverà il 4,99 di Porsche. E pare quasi scontata la partecipazione di Bernard Arnault, deciso a mettere un piede nel mondo dell’auro di lusso. Ma anche di Dietrich Mateschitz, il vulcanico patron di Red Bull, già grande protagonista della Formula 1. E poi, sostiene Bloomberg, è in atto, anche in Italia (nel consorzio figura anche Mediobanca), una vera e propria offensiva per convincere i family office ed i fondi più esclusivi a scommettere sulle azioni privilegiate di Porsche. 

L’operazione non cambia gli equilibri per il controllo di Volkswagen

Già, perché il progetto di quotazione di Porsche, di gran lunga la partecipazione più redditizia del gruppo Volkswagen, non mette in discussione gli equilibri del gioiello di Stoccarda. Anzi, al termine dell’operazione, le leve del potere saranno più che mai nelle mani degli eredi di Ferdinand Porsche, il creatore del Maggiolino, e della famiglia Piech. Lo schema, infatti, prevede che le azioni di Porsche vengano divise in parti eguali tra ordinarie e privilegiate. Queste ultime, pari al 50 % del capitale, saranno offerte al pubblico mentre una quota delle ordinarie, pari al 25% del capitale più una azione, verranno acquistate dalle famiglie Piech/Porsche, che così riacquisteranno il controllo diretto della società, perso a vantaggio di Volkswagen nella disgraziata scalata del 2008.

Rivoluzione o restaurazione? L’Ipo serve a finanziare l’auto elettrica

Insomma, la rivoluzione ha il sapore della restaurazione, garantito dal tipico consenso che governa i colossi d’Oltre Reno: una parte, il 20% dell’incasso, finirà sotto forma di extradividendo ai soci Volkswagen, tra cui spicca il governo della Sassonia. Nelle tasche dei lavoratori finirà un bonus di 2.000 euro, assai gradito anche in tempi di inflazione a doppia cifra. Ora, però, comincia il difficile. Sia per Porsche, che ha comunque dimostrato con Taycan di saper cavalcare la rivoluzione dell’elettrico, che per Volkswagen: i capitali raccolti con l’Ipo serviranno a finanziare il complicato passaggio dall’auto a combustione all’elettrico, difficile sul piano tecnologico e dei rapporti di lavoro, molto complicato in tempi di recessione. Ma gli attori della corporate (famiglia, Sassonia e sindacati) no si tirano indietro.

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