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Usa, se ci sarà l’accordo sul tetto il rapporto debito-Pil raggiungerà dopo più di 60 anni il 100%

Mancano quattro giorni e l’accordo sul tetto del debito ancora non c’è. Washington ha divulgato un piano di emergenza in cui vengono stabilite, nel caso di mancata intesa, le priorità: i primi a saltare sarebbero i pagamenti delle pensioni e degli stipendi pubblici, per tutelare gli investitori che hanno titoli pubblici americani. Ieri i Chief Executive delle 14 principali banche americane hanno firmato un appello, invitando Congresso e Presidente a trovare al più presto una soluzione. Anche i mercati cominciano ad allarmarsi e monitorano con estrema attenzione la situazione. Ma, a dire il vero, ancora non mostrano gravi segni di tensione. Indice che confidano in un accordo dell’ultimo minuto. Sembra inoltre che le giacenze di cassa consentirebbero al Tesoro di spostare la data limite del 2 agosto qualche giorno più in là, forse fino al 10. In ogni caso il Congresso ha i giorni contati per scongiurare il rischio default che incombe sul Paese.

L’articolo 1 della sezione 8 della Costituzione riserva infatti il potere di prendere denaro in prestito in nome degli Stati Uniti al Congresso. Il quale autorizzò separatamente ogni singola emissione di debito dalla fondazione fino al 1917, quando, per garantire più flessibilità nel finanziamento delle operazioni militari durante la prima guerra mondiale, stabilì un limite complessivo per l’ammontare di titoli di debito che potevano essere emessi. Limite che entro il 2 agosto dovrà salire oltre la soglia dei 14.300 miliardi di dollari, a cui è fissato oggi e che è stata già superata. Rimane sullo sfondo, nel caso l’accordo al Congresso dovesse saltare, anche l’ipotesi di azione unilaterale da parte del presidente Obama, in base al quattordicesimo emendamento della Costituzione americana, secondo cui la validità del debito pubblico non può mai essere messa in discussione.

Le polemiche dei repubblicani però non accennano a fermarsi. Il loro piano di ostruzionismo prevede addirittura il litigio interno per quanto riguarda le strategie di rientro dal deficit. I sostenitori del Tea Party hanno infatti dichiarato inadeguata persino la proposta avanzata dal leader del loro partito John Boehner, un repubblicano più moderato, il quale, consapevole di non avere i numeri per farla passare, ha deciso di ritirarla. La proposta prevedeva il rialzo del tetto del debito per 900 miliardi subito e 1.600 il prossimo anno, oltre a tagli alle spese per circa 1.000 miliardi subito e 1.800 il prossimo anno, giudicati però insufficienti dall’ala conservatrice. I democratici, da parte loro, avevano comunque già affermato un’eventuale bocciatura della proposta in Senato, dove sono in maggioranza.

L’avversione dei repubblicani ha un carattere principalmente politico, seppur potenzialmente in grado di arrecare gravi danni all’economia del Paese. L’obiettivo di fondo è infatti colpire il presidente Obama in maniera tale da assicurarsi una sua sconfitta alle elezioni del 2012. Non si spiega altrimenti la loro pervicacia nell’affermare l’insostenibilità di un innalzamento della soglia del debito e la necessità di immediati tagli alla domanda senza considerare che la dimensione delle misure necessarie per evitare il default comporterebbe gravi rischi per il recupero dell’economia.

E anche storicamente risulta difficile capire come mai tanta ostilità nei confronti di una misura, quella del rialzo del tetto del debito, che, seppur nessuno nega debba essere solo di preludio ad una riforma fiscale strutturale, è da molti considerata inevitabile. Da quando infatti nel 1917 è stato per la prima volta fissato un limite massimo al debito pubblico americano, l’innalzamento di quest’ultimo è stato effettuato regolarmente. Tanto che in 94 anni si contano: 102 interventi totali, più di 70 dagli anni 60, circa dieci nell’ultimo decennio, 18 effettuati dal presidente Reagan, 7 da George W. Bush, l’ultimo da Obama il 12 febbraio 2010, quando il Congresso votò per aumentare di quasi 2 mila miliardi il tetto portandolo agli attuali 14,3 mila miliardi. D’altronde l’innalzamento del tetto del debito è necessario per permettere di ripagare le spese già approvate da Congresso e Presidente e non riguarda invece i programmi di spesa futura a lungo termine.

A guardar bene l’evoluzione storica del tetto del debito però, forse un po’ di preoccupazione dovrebbe nascere (vedi foto). Il tetto fissato nel 1917 era di 11,5 miliardi di dollari, che corretti rispetto all’inflazione corrispondono oggi a circa a 193 miliardi di dollari. Ben lontano dai 14,3 mila miliardi che ormai non sono più sufficienti. E’ evidente che non basta l’inflazione a spiegare il continuo aumento del ricorso al debito. La dinamica poi è ben lungi dall’essere lineare, assomigliando più ad una curva esponenziale. Il tetto dei mille miliardi è stato raggiunto infatti solo 30 anni fa, nel 1982. Ancora più interessante è la dinamica del rapporto Debito pubblico-Pil (vedi foto). Ciò permette di confrontare quanto gli Stati Uniti prendono a prestito in confronto a quanto producono, isolando l’effetto dell’inflazione. Come emerge dal grafico, il rapporto Debito pubblico-Pil si sta pericolosamente avvicinando alla quota del 100%, che non era mai stata raggiunta dai tempi della seconda guerra mondiale. Se il Congresso troverà l’accordo per l’aumento sarà sufficiente un innalzamento di 700 miliardi di dollari affinchè il debito pubblico, superi la stima del Pil per il primo trimestre dell’anno.

Dunque, sebbene ci si augura che il Congresso possa trovare entro il 2 agosto l’accordo sull’aumento del tetto del debito, i dubbi sollevati dai repubblicani circa l’andamento dello stesso nel lungo periodo non sono da sottovalutare. E’ vero che la loro azione è prettamente di strategia politica, configurandosi come prima mossa per la campagna alle elezioni presidenziali del 2012. Ed è vero che gli stessi repubblicani dovrebbero fare un po’ di autocritica, considerando che uno dei principiali colpevoli di questa situazione è George W. Bush, durante il mandato del quale il debito è cresciuto dell’80%. Tuttavia l’America sta prendendo a prestito come se fosse coinvolta in una guerra mondiale. Eppure non lo è. Da cui emerge l’assoluta necessità di curare la dipendenza dal ricorso al debito, lavorando al più presto ad un serio programma di ridimensionamento della spesa pubblica futura.

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