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Spagna, non solo costruzioni e turismo: l’economia torna a correre con innovazione e servizi

È una Spagna che non t’aspetti quella che emerge dall’analisi “Spain, a land of opportunities” condotta dal Cec (Consejo Empresarial para la Competitividad) e presentata a Milano nel contesto di un road show che porterà i dati e l’outlook elaborati dall’associazione imprenditoriale spagnola in giro per il mondo.

Persino il titolo del rapporto sembrerebbe alquanto audace, per un’economia – la quarta dell’eurozona – che non naviga certamente in acque facili né tantomeno sembra associabile al termine “opportunità”, anche se proprio oggi l’asta dei titoli di Stato è stata un successo. E invece il Cec, presieduto dal ceo di Telefonica Cesar Alierta e del quale fa parte la creme dei banchieri e manager iberici (tra cui anche il presidente di Acs e del Real Madrid Florentino Perez), offre più di uno spunto tutt’altro che banale.

La recessione, innanzitutto, dovrebbe allentarsi già nel terzo trimestre di quest’anno, mentre già negli ultimi tre mesi il Pil tornerà a crescere dello 0,3%, influendo positivamente sulla creazione di nuovi posti di lavoro. E’ proprio questa la previsione che sembra più ottimistica, e che stride con i dati ufficiali di Eurostat e dell’Ocse, che ha indicato che la Spagna riuscirà a creare 1 milione di nuovi posti di lavoro ma solo entro il 2020. “Contiamo di riuscirci già prima – ha detto il prof. Fernando Casado, direttore generale del Cec – grazie alle riforme che stanno andando in questo senso. Il problema del Paese è però la disoccupazione strutturale, quella purtroppo ereditata dalla bolla immobiliare e che ci consegna un mercato del lavoro dove sarà difficile abbattere la disoccupazione sotto il 16-17%, livello ancora decisamente troppo alto”.

Attualmente Madrid viaggia sul 27% (nella fase di maggior crescita non scendeva comunque sotto il 9%) – per non parlare del drammatico dato sulla disoccupazione giovanile – che corrisponde a 5 milioni circa di persone senza impiego. “Troppi, anche se dovessero scendere a 4 secondo le previsioni dell’Ocse – spiega ancora il prof. Casado -: il fatto è che riconvertire i lavoratori nel settore delle costruzioni è molto difficile. E poi c’è la questione degli immigrati, che sono 5 milioni (in un Paese di 40 milioni scarsi di abitanti, ndr) e che pur avendo perso il lavoro non tornano al Paese d’origine, specie  se nordafricani, accontentandosi del sussidio di disoccupazione e gravando sulle casse dello Stato”.

Già, quel settore delle costruzioni, il cui boom è stato più volte additato come colpevole della crisi successiva. Un settore dal quale però la Spagna sta cercando di liberarsi, come emerge dall’analisi del Consejo Empresarial. E così risulta che le aziende innovative generano il 73% delle vendite a il 65% dei posti di lavoro, che la Spagna fa meglio di Europa e Nordamerica quanto a produzione scientifica (+7,1% nel periodo 96-2010, Ue +4,5%, Nordamerica +3,5%), che i lavoratori laureati sono il 38% rispetto al 30% della media europea (dato Eurostat), e che 4 delle 20 business school migliori al mondo portano il vessillo giallorosso. O ancora che l’economia knowledge-based cresce, così come l’attrattività per gli investitori esteri, a quanto pare per nulla intaccata dalla crisi: la Spagna secondo il World Investment Report è il quinto Paese al mondo che ha visto più crescere la sua attrattività per i capitali stranieri, dietro solo a Cina, Regno Unito, Germania e Francia.

Praticamente questa importante voce non ha quasi risentito dell’impatto della recessione: secondo i dati della Banca di Spagna nel periodo 2008-2012 sono stati quasi 25 i miliardi di euro investiti da capitali esteri a Madrid e dintorni, a fronte dei 26,9 miliardi del periodo indicato come pre-crisi. Un’immagine ancora sana, nonostante l’implosione del settore delle costruzioni (quello maggiormente cresciuto nel periodo 2006-2012, a una media annua del +21%), e non solo grazie al turismo.

Altra sorpresa, infatti, è che mentre il settore turistico continua esportare per 43 miliardi nel 2012, crescendo però “solo” del 6%, tutto l’universo dei servizi non turistici, in particolare cultura, assicurazioni, IT e corporate, hanno visto schizzare le esportazioni del 44%, fruttando 63 miliardi di euro nell’anno passato. Questo grazie in particolare alla crescita dimensionale e all’internazionalizzazione delle aziende: le multinazionali spagnole, sempre secondo il Cec, stanno aumentando il proprio business a ritmi più alti persino rispetto a Germania e Uk.

Impiegano infatti 2,5 milioni di persone, fatturano 500 miliardi di euro, il 40% di loro opera in più di 21 Paesi nel mondo, mentre il 12% ne copre più di 100 in tutto il pianeta in settori strategici come le telecomunicazioni, l’engineering, le infrastrutture, i traspori, il food e fashion e ovviamente anche il turismo. Ma non ci sono solo le multinazionali: è anche il brand Spagna che continua a marciare, come testimoniato dal fatto che i franchising di marchi iberici all’estero sono cresciuti del 30% in 4 anni arrivando a 272, grazie alla presenza in 108 Paesi, in particolare nei mercati emergenti.


Allegati: CEC_ presentazione report.pdf

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