In gran parte dei Paesi in cui sono operanti sistemi pensionistici pubblici, finanziati a ripartizione, l’età effettiva media alla decorrenza del trattamento è inferiore a quella prevista dalla legge per la pensione di vecchiaia che è – o almeno dovrebbe essere – la prestazione ordinaria al momento della quiescenza.
La presenza di canali alternativi di uscita dal mercato del lavoro (come le pensioni anticipate) ha spesso determinato un divario significativo tra l’età pensionabile e quella effettiva di pensionamento.
Rapporto Inps sulle pensioni: uomini vs donne
I motivi dello scostamento sono spiegati nel XXIV Rapporto dell’Inps, presentato nei giorni scorsi. L’elemento più rilevante – sta scritto – è l’aumento del differenziale d’età tra pensioni di vecchiaia e pensioni anticipate, che passa da 3,8 anni nel 2012 a 5,6 anni nel 2024. Questo ampliamento è dovuto sia all’innalzamento progressivo dell’età media di accesso alla pensione di vecchiaia, cresciuta di 3,5 anni, sia a un aumento, seppur più contenuto, dell’età media delle pensioni anticipate (+1,7 anni).
La divergenza riflette l’innalzamento del requisito anagrafico per la vecchiaia, a fronte dell’assenza di un requisito anagrafico minimo per l’anticipata; ciò determina una situazione che sembra paradossale ma che è del tutto spiegabile se si considera che del trattamento anticipato usufruiscono, nei settori privati dipendenti e indipendenti, soprattutto uomini perché la storia lavorativa delle coorti maschili che si sono presentate negli ultimi decenni (e lo faranno anche per un congruo numero di anni prossimi) all’appuntamento con la pensione potevano contare su percorsi occupazionali lunghi, stabili, continuati e precoci, tali da consentire di raggiungere tassi di anzianità ragguardevoli (i requisiti vigenti per la pensione anticipata corrispondono a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e ad un anno in meno per le donne) ad età inferiori a quella delle donne, obbligate nella generalità dei casi ad avvalersi della pensione di vecchiaia ad età anagrafiche avanzate (ora 67 anni) disponendo in media di storie contributive di poco superiori al minimo richiesto di 20 anni).
Peraltro a ‘’penalizzare’’ le donne è intervenuta, nel 2010, una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea che ha obbligato l’Italia a uniformare l’età pensionabile tra uomini e donne nel settore pubblico. Questo ha comportato l’avvio di un graduale innalzamento dell’età pensionabile delle donne del pubblico impiego da 60 a 65 anni, processo da completarsi tra il 2010 e il 2018.
Dal 2017, l’età media effettiva di pensionamento delle donne è cresciuta rapidamente a causa dell’allineamento dei requisiti anagrafici con quelli degli uomini, del minore ricorso ai canali anticipati e dell’esaurimento delle deroghe precedenti. La crescita sostenuta dell’età media femminile ha portato, nel 2020, al suo sorpasso su quella maschile, per cui nel 2024 l’età media effettiva al pensionamento delle donne è stata superiore di quasi 1 anno e 5 mesi rispetto a quella degli uomini.
Pensioni: le donne percepiscono meno degli uomini
Come già anticipato, per quanto riguarda la distinzione per genere, il 66% delle pensioni anticipate era erogato ai maschi, mentre le femmine percepivano il 61% dei trattamenti di vecchiaia (con un importo medio di 867 euro mensili a fronte di 1.260 euro mensili delle pensioni di vecchiaia percepite dai maschi). Le femmine erano in una netta prevalenza anche nelle pensioni ai superstiti (l’87% delle prestazioni) e nelle pensioni e assegni sociali (il 62%). Le percentuali delle altre categorie erano pressoché equamente distribuite tra i sessi. Nell’ambito delle prestazioni previdenziali, se si escludono i trattamenti al superstite, a parità di altra tipologia di pensione, il reddito medio percepito dalle femmine è inferiore a quello dei maschi, per motivi che – se si tiene conto di quanto scritto fino ad ora – risultano ovvi e non dipendono dall’ordinamento pensionistico ma dagli squilibri del mercato del lavoro.
Abbiamo detto, riportando dati e considerazioni del XXIV Rapporto Inps, che in quasi tutti i sistemi pensionistici vi è un divario tra età effettiva ed età legale del pensionamento e che questa situazione dipende prevalentemente dall’anticipo del trattamento in sinergia con una particolare condizione lavorativa generosa sul piano della possibilità di accumulare versamenti contributivi. Ma l’Italia è e rimane il ‘’Paese dell’anticipo’’ come risulta dalla tabellA che segue.
Appaiono di una evidenza sorprendente gli squilibri fino ad ora denunciati, il più significativo dei quali sta nella differenza tra l’anzianità e la vecchiaia nell’ordine di più di due milioni di prestazioni. Sono poi visibili le differenze di tipologia e di genere e di genere nelle diverse tipologie. Il solo correttivo potrebbe venire dalla fruizione delle pensioni ai superstiti il larga misura come si vede erogate alle donne, per effetto della loro maggiore attesa di vita. Ma la vedovanza non è una soluzione.