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Rapporti Stato-cittadini, una riforma a costo zero in nome della trasparenza

Nell’ambito della manovra per lo sviluppo il governo presieduto da Mario Monti avrebbe l’occasione di introdurre una riforma a costo zero, di grande impatto sulla psicologia collettiva e sui comportamenti concreti, consistente nella inversione del punto di vista delle amministrazioni pubbliche e dei gestori di pubblici servizi per quanto riguarda i loro rapporti con i cittadini.

Per ragioni che non è qui possibile nemmeno sintetizzare, l’Italia è storicamente molto distante dai sistemi di amministrazione pubblica che riconoscono al cittadino una posizione paritaria nei confronti dei pubblici poteri. Tale distacco ha prodotto e conservato nel tempo stili di comportamento nei luoghi del potere autoreferenziali fino all’arroganza.

Il Presidente Monti e il suo governo hanno subito lanciato segnali di grande trasparenza sulle proprie condizioni personali e patrimoniali e con loro non occorre dilungarsi sul fatto che il contagio dell’opacità tra politica, amministrazione ed economia è senza scampo e che l’arroccamento delle amministrazioni crea vischiosità, mortifica il dinamismo, la concorrenza e lo sviluppo di nuove idee.

La regola attuale dei rapporti tra Stato e cittadino, alterata rispetto al limpido testo elaborato nel 1990 sotto la direzione di Sabino Cassese, si trova nella versione vigente della legge sul procedimento amministrativo. Attualmente la richiesta di prendere visione o  estrarre copia di un documento amministrativo deve essere “motivata” e riferita ad un “interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata”, fatto che ha stravolto l’ampio richiamo alla trasparenza della norma originaria. Le vigenti norme italiane si discostano totalmente da quanto è previsto altrove (si veda l’Inghilterra, gli Stati Uniti e persino la patria del diritto amministrativo, la Francia) e nel nostro paese giungono ad essere ingiuriose, perché mentre la legge sul procedimento amministrativo applica in genere il principio del silenzio-assenso che si forma entro trenta giorni, per l’accesso ai documenti si applica nello stesso lasso di tempo il silenzio-rifiuto. Vale a dire che l’amministrazione non deve nemmeno motivare il diniego e basta che traccheggi per un mese

Ancora la settimana scorsa il direttore generale di un importante ente pubblico ha dichiarato, in presenza di un vivace polemica sulle manovre riguardanti il patrimonio immobiliare dello stesso ente, che “le scelte amministrative non sono oggetto di confronto e di informativa”  con i dipendenti e con i sindacati, figurarsi quindi con i cittadini e i giornalisti. Il Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti nel Lazio ha affermato ieri in un’intervista filmata di conoscere il nome dei proprietari dell’area intestata ad una società anonima svizzera su cui sorgerà la futura discarica di Roma, ma di non avere alcuna intenzione di rivelarlo alla stampa. I giornalisti vengono definiti “aggressivi” se chiedono di conoscere in tutti i dettagli le modalità di acquisto da un ente pubblico di un immobile intestato ad un ministro.

Tutto ciò, notoriamente, sarebbe inconcepibile in qualsiasi altro paese del G7. Le più autorevoli democrazie hanno infatti introdotto da molto tempo il diritto alla pressochè totale accessibilità delle informazioni  e dei documenti detenuti presso le pubbliche amministrazioni, che possono essere richiesti ed acquisiti in copia  da chiunque lo desideri,  senza necessità di motivazione e spiegazione.

Questo diritto è stabilito all’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione Europea con riguardo ai documenti degli organismi comunitari e dal 2008 è anche espresso in una apposita Convenzione del Consiglio d’Europa (cui aderiscono oltre all’Italia ben 46 paesi). Vi si prende atto che il diritto di accesso ai “documenti ufficiali”  “favorisce l’integrità, l’efficienza e l’efficacia e la responsabilità delle autorità pubbliche” e si stabilisce che per avere accesso ad un documento non deve essere richiesta alcuna motivazione.

La trasparenza dell’operato, degli atti e delle informazioni detenute dai pubblici poteri è ovunque considerata fondamentale per il contrasto della corruzione e della collusione. E’ la prima regola di un manager pubblico che debba risanare una situazione di dubbia legalità. Ed è la regola più detestata da chi usa le cariche pubbliche come strumento di potere personale.

Salva la tutela dei diritti reali di privacy, che ovunque nelle democrazie evolute sono riconosciuti e praticati senza pregiudizio delle regole di accesso alle informazioni e ai documenti amministrativi, il campo della trasparenza è stato arato anche grazie ad intensi programmi operativi che fanno della chiarezza, della conoscibilità e della condivisione delle decisioni pubbliche una puntuale ricerca quotidiana.  

Di trasparenza, di società dell’informazione, di reti, open data e partecipazione pubblica in Italia si continua a parlare senza intaccare il tautologico cuore del problema: un’informazione in possesso di un soggetto pubblico è tendenzialmente un’informazione di interesse pubblico e deve poter essere accessibile a chiunque, non il contrario. Escluse le informazioni personali concernenti la salute e le opinioni e quelle che riguardano l’integrità dello Stato o della proprietà intellettuale, per tutte le altre informazioni,  gestite nell’interesse di tutti i cittadini, non vi è ragione che sia reso defatigante o impossibile l’accesso, che è invece lo scopo primario delle norme vigenti in Italia. Altrove nel mondo il dibattito si è sviluppato al punto che è stato elaborato il concetto del “diritto di pensare” delle amministrazioni, vale a dire che una nota interna o un appunto preliminare ad una decisione possono essere (ma sino ad un certo punto) sottratti all’accesso.

Ribaltare il punto di vista sui diritti dei cittadini nei confronti delle pubbliche amministrazioni in Italia vorrebbe dire cominciare a prosciugare l’acqua nella quale prosperano piccoli e grandi interessi non dichiarabili e stabilire una regola di trasparenza che potrà poi dilagare a macchia d’olio in tutti i settori dell’economia. Proprio di questo sembra esserci molto bisogno per incoraggiare le iniziative per un duraturo sviluppo.

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