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Pensioni, che senso ha mandare in quiescenza prima con assegni bassi chi può ancora lavorare?

FIRSTonline

Quanto incide la spesa per le pensioni?”Partendo dal 14% circa prima della crisi, il dato attuale è al 16,3% del Pil. Sarebbe arrivato oltre il 18% senza le recenti riforme, grazie alle quali si arriverà al 13,9% nel 2060. Tra il 2010 ed il 2060 nell’area euro il rapporto peggiora di 2 punti percentuali (di 1,5 per la UE27), mentre per l’Italia migliora di 0,9’”. Sono affermazioni – del 2014 – di Vittorio Conti, ex Commissario straordinario dell’Inps. 

In sostanza, la spesa pensionistica negli ultimi anni è cresciuta di 2,3 punti di Pil e, senza la riforma  del ministro Elsa Fornero, oggi il Paese sarebbe costretto a misurarsi con un dato insostenibile come un’incidenza del 18% del Pil (ciò avrebbe cancellato in un solo colpo gli effetti di ventennio di interventi legislativi). Il fatto è che il rapporto tra spesa e Pil è calcolato da una frazione: al numeratore sta la prima, al denominatore il secondo. Se la prima – come è normale – cresce, nonostante i tagli, e il secondo crolla (come è avvenuto durante la crisi), il grafico del rapporto si impenna. Ecco perché sarebbe sbagliato manomettere la riforma del 2011 come vorrebbe fare (al di là delle provocazioni di Matteo Salvini) il ministro Giuliano Poletti insieme al ‘partito trasversale’ del cosiddetto pensionamento flessibile.

COSTI ALTI

Il loro ragionamento non fa una grinza: perché, si chiedono, un lavoratore non può accedere alla pensione quando più gli aggrada all’interno di un range dell’età pensionabile compreso tra una soglia minima ed una massima? Essendo vigente il calcolo contributivo, il nostro incasserebbe un assegno più alto o più basso a seconda delle sue scelte. A questo “partito’’ si è iscritto – in un’intervista ad un importante quotidiano – anche il neo presidente dell’Inps, Tito Boeri, il quale, tuttavia, ha l’onestà di mettere in guardia sulle difficoltà che, un’operazione siffatta (molto onerosa sul piano dei conti pubblici) potrebbe incontrare in sede Ue. Il fatto è  – Boeri lo sa benissimo – che il pensionamento flessibile è già previsto. 

L’USCITA FLESSIBILE C’E’ GIA’

La riforma Fornero ha introdotto un meccanismo “premiale’’ a favore di quei soggetti che ritardino l’accesso alla pensione rispetto all’età minima vigente e fino al compimento dei 70 anni (a cui si aggiunge l’aggancio automatico all’attesa di vita). Anzi, a chi compie tale scelta viene estesa, per tutta la durata del posticipo, la tutela contro il licenziamento ingiustificato.  I propugnatori della soluzione”politicamente corretta’’ della flessibilità hanno un solo scopo: abbassare la soglia minima d’accesso, ripristinando una qualche forma di pensionamento anticipato (già sono riusciti, nella legge di stabilità, a togliere di mezzo, fino a tutto il 2017, la modesta penalizzazione economica prevista per chi, pur avendo maturato il requisito contributivo, andava in quiescenza prima dei 62 anni).

LA BOMBA DELL’INVECCHIAMENTO

Ma come si affronta la bomba dell’invecchiamento, destinata a a trasformare la struttura stessa della popolazione? In Italia, l’attesa di vita all’età di 65 anni, che nel 2015 è pari a 18,6 anni per gli uomini e a 22,2 per le donne, salirà a metà del secolo, rispettivamente a 22 e a 25,3 anni. A metà secolo ci saranno più over80enni che ragazzi con meno di 14 anni, mentre raddoppierà il rapporto tra gli over65enni e la popolazione in età di lavoro. Sarà, prima di tutto, un’esigenza del mercato del lavoro ad imporre di lavorare più a lungo, anche per rendere più adeguato l’importo delle pensioni. Non ha senso mandare in quiescenza, magari con un assegno modesto, persone ancora in grado di lavorare. Perché prepararsi ad avere dei vecchi poveri, quando potrebbero non esserlo se posticipassero di qualche anno il pensionamento?

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