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Obama-Romney: stanotte l’ultima sfida, nei sondaggi i 2 leader alla pari

L’ultimo dibattito televisivo tra Obama e Romney sarà una vera e propria “bella”. Dopo il flop della prima puntata, e il (relativo) successo della seconda, il Presidente in carica tenterà l’assalto finale a un candidato che ha saputo giocare sporco ma anche di fino, anticipando l’inquilino della Casa Bianca nella ricerca del voto moderato.

Una strategia che ha pagato, se si guarda all’ultimo sondaggio condotto dal Wall Street Journal con la rete televisiva Nbc, che attesta a pari punti (47%) i due cavalli in corsa. Tuttavia, il pretendente conservatore è inciampato più volte, e in modo piuttosto maldestro. Ma la sfortunata sortita del 18 settembre (“i poveri non mi interessano”), l’infelice battuta sui “faldoni pieni di donne”, e il disastroso rimprovero al Presidente sull’attentato in Libia, non hanno smontato come ci si sarebbe potuti aspettare le speranze repubblicane.

Il motivo è, ovviamente, la crisi. E anche qui statistiche sul Pil e aspettative future si intersecano in un groviglio inestricabile, che facilita propaganda e demagogia. E’ vero, il tasso di disoccupazione, calato al 7,8% ma ancora lontano dai livelli pre-crisi, indica che la ripresa è in corso. Ma è una “jobless recovery” in cui la creazione di nuovi posti procede a ritmo troppo lento, a dimostrazione che la politica monetaria ultraespansiva adottata dalla Federal Reserve non è stata sufficiente – in tempi di trappola della liquidità – a propellere consumi e fiducia. Il muro repubblicano alla Camera dei Rappresentanti è stato d’altronde invalicabile nel tentativo di utilizzare la leva fiscale per incentivare i consumi.

Il piano di Romney per rilanciare l’occupazione – il candidato repubblicano vanta un programma-fantasma da 12 milioni di posti di lavoro – è quanto mai indefinito, e la politica economica dell’elefantino ha come punti di certezza solo lo smantellamento dell’Obamacare e la diminuzione della spesa sociale.

Ma se – a novembre – rivincesse Obama, il quadro sarebbe comunque assai incerto: presto potrebbe abbattersi sull’economia a stelle e strisce un carico quasi letale di tagli al welfare e aumenti fiscali. E’ l’eredità della battaglia – combattuta nell’agosto 2011 – sull’innalzamento al tetto del debito, di solito una pratica quasi amministrativa che un anno fa rischiò di piombare il Paese nel default tecnico.

Il comitato bipartisan, creato ad hoc come contropartita ai repubblicani (in cambio dell’ok all’innalzamento del limite di indebitamento) e incaricato di individuare un mix ideale per contenere il deficit, non è stato in grado di consegnare un piano condiviso, e con tutta probabilità scatterà la “clausola di salvaguardia” che venne approvato e messo in standby per assicurare il raggiungimento degli obiettivi di finanza federale. Le cesoie colpiranno in egual modo capitoli di spesa cari ai repubblicani (come la difesa) e ai democratici (welfare, istruzione), ma impatteranno sull’economia americana per il 4% del Pil. A quel punto, il vero “double dip” nella recessione sarebbe quasi una certezza, più che una probabilità.

Ma stasera, probabilmente, i due contendenti continueranno a sfidarsi su altri terreni, come la politica estera: finora il precipizio fiscale non è stato così centrale nel dibattito. Quasi che, ormai, sia repubblicani che democratici siano rassegnati allo scoppio di quella bomba fiscale che terrorizza non solo gli americani, ma tutta l’economia mondiale. O che tengano ancora coperte le loro carte.

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