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Noera (Bocconi): “Lo spread calerà se e quando il sovranismo perderà”

Imagoeconomica

Fin dove può arrivare lo spread? “Provo a dare una risposta sulla base della mia passata esperienza a contatto con i mercati. Lo spread calerà, perciò, se e quando gli operatori si convinceranno della sconfitta delle forze sovraniste. Si tratta di un dato politico, non di una valutazione tecnica. Ed è per questo che il quadro generale non mi lascia tranquillo. Anzi, sono molto preoccupato”. Parla così Mario Noera, docente di Finanza e di Economia degli Intermediari in Bocconi, un ricco curriculum di esperienze bancarie, oggi componente del comitato esecutivo di Bper. Da sempre scettico sulle terapie della crisi basate sull’austerità. “Ma sono in ottima compagnia – commenta – da Lawrence Summers ad Olivier Blanchard”.

Perché tanta preoccupazione? 

“Il quadro generale mi ricorda I sonnambuli, il libro di Christopher Clarke che racconta la crisi che ha portato alla Prima Guerra Mondiale. Per carità, non siamo a questo punto. Ma, così come allora le varie nazioni persero anni dietro manovre diplomatiche spicciole, oggi si sprecano tempi ed energie per dibattere dietro pochi decimali di crescita o questini di dettaglio invece di affrontare il cuore del problema”. 

Ovvero? 

“L’Unione Europea, in sostanza, non ha ancora risolti i nodi emersi con la crisi greca. Allora, quasi all’improvviso, la Comunità si rese conto della propria fragilità. L’edificio stava in piedi, in condizioni ordinarie, ma era destinato a vacillare in situazioni di crisi per l’assenza di politica fiscale, rimasta nelle mani degli Stati nazionali. I mercati ne hanno preso atto e da allora la situazione non è sostanzialmente cambiata sotto questo profilo. La Banca Centrale Europea, utilizzando gli strumenti a sua disposizione, è intervenuta sul piano della politica monetaria. Ma, nel frattempo, sotto la pressione del disagio sociale emergente, il problemi sono diventati più evidenti e sono cresciute le spinte sovraniste che hanno approfittato del vuoto politico che si è generato. In Portogallo, dove i socialisti sotto la guida di Mario Centeno hanno saputo occupare lo spazio con una politica di crescita, il populismo non ha attecchito”. 

La lezione sta provocando una risposta europea. La riforma fiscale franco-tedesca va nella direzione di una seppur cauta mutualizzazione delle risorse. O no? 

“Mi sembra l’ennesima occasione mancata. Il piano Merkel-Macron è dominato dalle clausole sospensive: la prima preoccupazione è quella di immunizzare il corpo della Comunità da eventuali infezioni, ma non si dice quasi nulla su come prevenire o debellare le malattie.  Da quel punto di vista sarebbe stata utile una riflessione su quanto sostenuto da Paolo Savona. Ma l’occasione, per ora, è andata sprecata”. 

Proviamo a uscire dal vicolo cieco… 

“Mi rifaccio ad un recente lavoro del professor Sergio Cesarano e di Antonino Iero che hanno esaminato il peso che ha avuto la spesa per interessi rispetto ad altri fattori all’origine del debito pubblico italiano. Dai dati emerge che tra il 1980 ed il 2017 il debito pubblico, in termini di peso sul pil, è cresciuto del 76% per colpa della spesa per interessi pari a 275 punti, il 7,24% annuo. Rinvio allo studio per valutale ‘impatto delle singole voci, dall’ammontare cospicuo del saldo primario a quello, peraltro modesto, delle privatizzazioni. Quel che mi preme è sottolineare che la questione del debito pubblico è soprattutto una questione di tassi di interesse”. 

E’ quanto sostengono i difensori del rigore: abbatti il debito, abbassi la spesa per interessi. O no? 

“Come abbiamo sperimentato in Italia, così si deprime più che altro l’economia rendendo vani gli sforzi di aggiustamento. Purtroppo, però, invece di incalzare i partners Ue con proposte indirizzate agli investimenti ed all’economia reale, i leader di governo hanno detto e ripetuto parole d’ordine banali e difeso contenuti della manovra con un dubbio impatto sulla domanda aggregata”. 

Insomma, i nuovi protagonisti non sono all’altezza, la classe politica, vedi il Pd, uscita sconfitta dalle urne non ha i numeri per un eventuale cambio di rotta. E allora? 

“Sono preoccupato, inutile negarlo. Anche se si intravvedono i segnali di una presa di coscienza sulla necessità di un cambiamento. Anche perché nuovi tagli nella spesa, nel caso si volesse riprendere un domani la politica dell’austerità, porterebbero a tagli davvero drammatici, nella Sanità come nella previdenza. Come evitarlo? Serve un nuovo patto di fiducia tra l’Italia e l’Europa. Ma per il momento l’importante è evitare di andare a sbattere contro il muro. Come ha ammonito governatore Ignazio Visco, l’incremento del rialzo dei tassi rischia di comportare la necessità di un nuovo aumento del fabbisogno primario”.      

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