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No al rovinoso referendum sulle trivellazioni petrolifere

FIRSTonline

Nessuna persona di buon senso si sognerebbe di chiedere alla Gran Bretagna o alla Norvegia di rinunciare allo sfruttamento dei loro giacimenti offshore. Non fosse altro perché queste attività hanno consentito alla Gran Bretagna di superare la crisi economica della fine degli anni 70 e alla Norvegia di finanziare il suo sviluppo e il suo “sontuoso” stato sociale. Avrebbe ,invece, senso chiedere che queste attività siano svolte nel massimo rispetto dell’ambiente e della sicurezza di chi vi lavora, che ad essere impiegate siano le tecnologie più avanzate e le migliori competenze professionali e che i benefici siano equamente distribuiti e finalizzati allo sviluppo generale del paese.

Non sono questi, però, gli obbiettivi che le regioni promotrici del Referendum del 17 aprile intendono perseguire. Quello che in realtà esse si propongono è di avviare un processo che porti alla cessazione di ogni attività , sia estrattiva che di ricerca, nelle nostre acque territoriali. Si propongono ,in pratica ,di impedire l’utilizzo delle riserve di gas e di olio di cui il nostro paese dispone in quelle aree. Una cosa del tutto insensata e una offesa nei confronti di quanti, a cominciare da Enrico Mattei, si sono impegnati per garantire all’Italia un minimo di indipendenza energetica.

Questa pretesa va respinta. Innanzitutto facendo chiarezza sui dati. Non è vero , come sostiene Greenpeace, che il contributo di queste attività al fabbisogno nazionale sia insignificante. Oggi la produzione nazionale copre il10,3 del fabbisogno di olio e l’11,3 di quello del gas. Questo “insignificante” ha prodotto nel 2015 una riduzione della “bolletta energetica “ di circa 4,5 miliardi di euro! Non è neppure vero che il settore sia economicamente marginale . Il fatturato delle imprese direttamente coinvolte è di 5,7 miliardi di euro che salgono a 20 se si considera il fatturato dell’indotto italiano nel mondo. Gli addetti diretti ed indiretti nella sola attività estrattiva sono più di 130.000 persone, davvero tutt’altro che poche. ( più di 30.000 su progetti Italia ,tra diretti e indiretti e indotto non oil and gas e oltre 100.000 addetti nell’indotto per l’export).

Al di là del numero degli addetti e del fatturato, conta anche la qualità delle imprese, il loro know how, la professionalità dei loro dipendenti. Valga per tutti il nome della Micoperi, l’impresa che ha raddrizzato e portato via la nave Concordia arenata nell’isola del Giglio. La gestione degli impianti e delle piattaforme in questi anni ha garantito la sicurezza dei lavoratori e la salvaguardia dell’ambiente. Non risulta che la Citta di Ravenna abbia sofferto sotto il profilo del turismo balneare o della valorizzazione del suo immenso patrimonio culturale per il fatto di ospitare molte di queste attività. Questo settore investe otre 300 milioni nella ricerca , in stretto rapporto con le Università e i Politecnici. Le imposte che versa all’erario superano gli 800 milioni e sono più di 400 quelli versati a titolo di royalties o di canone. E’ un settore che crea lavoro e produce ricchezza, che diffonde professionalità e competenze e che “da, davvero, una mano “al paese in un mercato, quello dell’energia, che ha un valore strategico assoluto .

Ma le regioni che hanno chiesto il referendum non sembrano essere più di tanto interessate ai problemi dell’energia. Quello che a loro preme è il rapporto fra lo Stato e le Regioni in materia di politiche energetiche. E’ un problema reale, che va però affrontato nel quadro del dibattito sulle riforme istituzionali e non surrettiziamente. L a via scelta, quella della durata delle concessioni , è sbagliata e il referendum proposto è strumentale e può rivelarsi rovinoso. Per questo va fermato e ciò si può fare in due soli modi: o non andando a votare ( cosa del tutto corretta se si considera che a richiederlo non sono stati i cittadini firmando la domanda ma gli uffici regionali), oppure votando NO. In ogni caso l’auspicio è che a prevalere , oltre all’interesse nazionale, sia il buon senso.

Gianfranco Borghini è presidente del comitato per il no al referendum sulle trivellazioni petrolifere.

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