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Mumbai, tutti i segreti della giungla della Borsa indiana: dalla truffa del secolo di Adani al sorpasso su Londra

Pixabay

La Borsa di Mumbai fa la prima conta dei danni  dopo il monsone in arrivo da Ovest che ha investito il gruppo Adani, molto peggio, a detta di Bloomberg, della tempesta Evergrande che pesa ancor oggi, tre anni dopo, sulla ripresa della Cina. Ma, grande sorpresa, gli operatori occidentali non hanno abbandonato il listino indiano. Anzi. Hindenburg Research, il fondo Usa che ha provocato la crisi di Adani, “la più spettacolare truffa della storia finanziaria”, si è speso a sorpresa sul New York Times a far l’elogio della piazza indiana, considerata “l’espressione di una superpotenza dal futuro molto promettente”. Un messaggio singolare all’indomani della brusca caduta della conglomerata che in soli sette giorni ha accusato un tracollo 112 miliardi di dollari che ha coinvolto non pochi Big della grande finanza, dall’immancabile Crédit Suisse a TotalEnergies, ingolosita dall’ascesa vertiginosa dell’impero di Gautan Adani, il figlio di un commerciante di stoffa di Gujarat che in una ventina d’anni è riuscito a mettere assieme una ricchezza superiore a quella di Jeff Bezos. Salvo poi crollare di fronte alle accuse di un analista di Wall Street.

Il Pil di New Delhi supera quello del Regno Unito

Una vera stangata, insomma. Ma che nulla o quasi sembra pesare sull’appeal finanziario della terra di Modi. Infatti:

  • Quest’anno l’India si accinge a celebrare più di un sorpasso. Il Pil di New Delhi supererà quello del Regno Unito. L’economia indiana, che all’inizio del millennio, rappresentava poco più di un ventesimo di quella americana, oggi vanta un rapporto di una a sette. 
  • Entro l’anno, inoltre, l’India sorpasserà la Cina per numero di abitanti
  • Alla leadership nel software, testimoniata dai non pochi capitani d’impresa di Silicon Valley in arrivo da Bangalore (dal numero uno di Microsoft Satya Nadella a Sundar Pichai di Google) si aggiunge la crescita del settore auto. Renault si accinge ad investire 600 milioni di euro nel subcontinente ove, accanto a Suzuki e ai colossi locali (Tata, Mahindra , già opera Stellantis L’India è diventato nel 2022 il terzo mercato al mondo dell’auto.
  • Narendra Modi punta per l’anno fiscale che inizia ad aprile ad una crescita del PIL del +6,5%, di gran lunga tra le più alte del globo e anche nel contesto delle economie in via di sviluppo, con un deficit fiscale al 5,9% e un aumento del 33% delle spese in conto capitale. Obiettivi compatibili con la crescita dell’industria della difesa (l’export dovrebbe salire di cinque volte nei prossimi anni) ed i maggiori consumi di energia ma anche con la prudenza della banca centrale che, dopo un aumento di un quarto di punto dei tassi, ha già anticipato altre mosse al rialzo.
  • Una politica che piace agli investitori: In termini di performance borsistica, l’ascesa del Paese si è tradotta negli ultimi nove anni in un guadagno per le performance viene espressa in Euro. Un dato eccezionale se confrontato con quello degli indici principali del globo. Sotto il profilo dei fondamentali, secondo i riferimenti aggiornati di Bloomberg, il P/E medio della borsa indiana è intorno a 22,40x.
  • La Borsa indiana rappresenta attualmente il terzo mercato azionario in termini di peso specifico nel comparto degli Emergenti. Nel corso del 2022 ha superato la Corea del Sud.

La frana di Adani è destinata a continuare

Questi primati, però sono stati messi a rischio dalle disavventure della conglomerata creata da Adani che, dopo aver più che dimezzato il valore delle sette società quotate in pochi giorni, vanta stamane ancora prezzi molto gonfiati: 141 volte gli utili contro 25 volte per la concorrente Reliance o le 28 volte di Apple- La frana del colosso delle infrastrutture, dai porti all’energia, cara al premier Modi è destinata a continuare per un bel po’, dopo che Hindenburg (già protagonista di formidabili short sul mercato Usa) ha smascherato lo schema Ponzi del gruppo: da una parte una rete di società fantasma nei paradisi fiscali (con la complicità della Conmsob indiana) raccoglieva i capitali, dall’altra i quattrini così raccolti finivano a finanziare le acquisizioni del gruppo. 

Adani, pur privo di competenze particolari, si à così aggiudicato la gestione di porti ed aeroporti, tra cui una quota dello scalo più importante, quello di Mumbai. Una marcia inarrestabile, con una performance stellare (+3.000 % in cinque anni), ma costruita sulla sabbia. come ha dimostrato Hindenburg, innescando una pioggia di vendite. Un’ascesa possibile solo con l’appoggio del premier Modi, anche lui di Gujarat, che per anni ha appoggiato l’ascesa di Adani. Ma, ad onore del premier indù, per ora non c’è stato alcun tentativo di salvataggio dell’amico e compaesano a danno del mercato. Anche perché le vere vittime del crack sono i gruppi occidentali, primo fra tutti Total Energies (forte del 37% nella consociata Gas, del 25% in quella dedicata alle rinnovabili e altro ancora) assieme a Citi. Al contrario, scrive il New York Times, il Big Business indiano non piange lacrime sulla sorte del parvenu, già secondo uomo più ricco del mondo, che oggi sacrifica i miliardi guadagnati per di salvare il salvabile. 

Con la benedizione di Nathan Anderson, il ceo di Hindenburg autore di un report inattaccabile di 416 pagine che ha demolito il gruppo della beasi d’argilla: la penna può far più danni del potere

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