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Monti manda in soffitta le litanie della Lega e inaugura un federalismo vero in Italia e in Europa

Come sanno bene gli studiosi del caos, spesso i piccoli cambiamenti annunciano grandi trasformazioni. E’ quanto sta accadendo in questi giorni nel rapporto tra il governo Monti e il processo di attuazione del federalismo, che la vecchia maggioranza ha lasciato in eredità al nuovo esecutivo. Di sicuro Monti dovrà dare attuazione a qualcuno dei numerosi decreti attuativi sinora approvati dal governo Berlusconi. L’obiettivo più realistico tuttavia sarà probabilmente quello di semplificare l’intero processo e, se possibile, accelerare sul federalismo fiscale.

Entrambe queste decisioni sono non solo plausibili ma anche apprezzabili. Nel primo caso perché il federalismo promosso a cuor leggero dal centro-sinistra nel 2001, è stato in quest’ultima legislatura trasformato dal centro-destra in una babele di scatole cinesi. Secondo alcune stime attendibili, per rendere effettivamente operative le macro decisioni legislative sinora assunte, ci vorrebbero almeno altri ottanta atti regolamentari o amministrativi. Nel secondo caso perché, al di là delle occasionali assonanze linguistiche, il federalismo fiscale in realtà ha ben poco in comune con le litanie che circolano nei periodici raduni di Pontida e ricalca invece quelle moderne politiche di governo della spesa pubblica, che a partire dagli anni ’70 si sono andate affermando a livello internazionale.

I segnali di un possibile cambio di rotta sono tuttavia anche altri. E’ di questi giorni ad esempio la notizia che gli uffici ministeriali inaugurati lo scorso luglio nella Villa Reale di Monza chiuderanno definitivamente i battenti. Calerà in questo modo il sipario su una sceneggiata vergognosa, a suo tempo voluta dai Ministri Calderoli e Bossi per tener vivo quel federalismo immaginario che tanto ascolto ha trovato nel precedente esecutivo. Senza tanti proclami, con questa scelta il governo Monti dà prova di una apprezzabile sobrietà istituzionale e lascia intendere anche che il paese ha bisogno di scelte appropriate e non di politiche le quali banalizzano problemi come quello di una diversa collocazione territoriale degli apparati pubblici, che invece sono terribilmente seri.

Altri segnali di discontinuità sono legati alla collocazione e alla credibilità che Monti registra giorno dopo giorno sulla scena europea, dove la musica stà ormai decisamente cambiando. Raggiunto l’accordo sul fiscal compact, ossia sul rafforzamento delle regole di bilancio e di controllo del debito pubblico, è inevitabile che si faccia sempre più strada un’altra idea. Quella di una Comunità che non si limita soltanto a socializzare le perdite grazie al potenziamento del Fondo salva stati, ma mette in piedi anche un programma politico comune. E’ la via maestra al termine della quale l’Europa degli Stati nazionali dovrà per forza di cose cedere il passo agli Stati Uniti di Europa, per delle ragioni che ormai sono chiare.

La crisi economica ha aperto una fase costituente della governance europea, che non può continuare a operare secondo la logica dei veti intrecciati o delle responsabilità mai effettivamente divise. C’è l’attesa di qualcosa di nuovo, di un’idea e di scelte che mandino in soffitta gli egoismi nazionali e questo qualcosa, ha detto Angela Merkel parlando ai primi di febbraio davanti alla Accademia Cinese delle Scienze Sociali, è la domanda di una più forte unione politica, soprattutto tra i paesi dell’Eurozona. E’ l’unica risposta possibile che nell’epoca della globalizzazione un ‘Europa dove vivono solo 500 milioni di persone può giocare, se intende continuare a competere con un miliardo e 300 milioni di cinesi.

Intervenendo recentemente davanti al Parlamento europeo, Monti a sua volta non è ricorso alla solita retorica dell’autonomia nazionale e ha parlato invece come il leader di un paese che accetta di rispettare i vincoli e i patti sottoscritti, senza per questo tacere sul nepotismo, su gli appalti pubblici truccati, su i falsi in bilancio e la corruzione a cui tante volte hanno fatto ricorso i partner europei e che noi sappiamo essere anche un vecchio vizio italiano. Capita la musica, il leghista Speroni ha subito preso la parola attaccando a testa bassa, anche perché il fragile asse euro-scettico presente nel nostro paese si è in larga misura incrinato e adesso la Lega “balla da sola”.

Prende corpo in tal modo una logica propria del “canone inverso”, basata su poche mosse, piccoli accorgimenti, qualche nuovo giocatore, con risultati che si incominciano a vedere. Il paese si presenta con un’immagine sanamente unitaria sul piano interno e saggiamente federalista su quello europeo. Riuscirà il governo Monti a tenersi al riparo da quel vento della Padania che sino a ieri soffiava a Palazzo Chigi? Lo vedremo, ma i motivi per essere ottimisti sinora ci sono e non sono nemmeno pochi.

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