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Metalmeccanici: a rischio 56mila occupati. Ecco la mappa

Imagoeconomica

Sono 56mila i posti di lavoro a rischio nel settore metalmeccanico, coinvolti nei 47 tavoli di crisi nazionali attualmente aperti al Mise, a cui si sommano i 52 tavoli di crisi regionali. Questo il bilancio comunicato dalla Fim Cisl in un report sulle vertenze del comparto. Sfuggono all’analisi le imprese che nel 2020 sono fallite sotto la scure della crisi e quelle non sindacalizzate.

Lo studio sottolinea come, nonostante la crisi, il settore metalmeccanico abbia retto ai colpi della pandemia, evidenziando i passi avanti fatti nel corso del tempo culminati lo scorso 5 febbraio con il rinnovo del contratto dei metalmeccanici che ha rivisto i criteri di inquadramento della professionalità, portando importanti novità in termini di welfare, salute e sicurezza.

Nonostante ciò “Rimangono nel settore molte situazioni crisi, vertenze storiche ( ex-Ilva, Blutec, Piombino JSW (ex-Lucchini), Whirlpool, Bekaert, IIA ecc.) che si trascinano da anni e che vanno assolutamente risolte”, si legge nell’analisi. A queste si aggiungono le vertenze legate ai cambiamenti e alle transizioni tecnologiche, che in alcuni settori come l’automotive e l’aeronautica diventano sempre più preoccupati. In ultimo, va registrata anche una situazione diffusa di crisi delle aziende metalmeccaniche legate all’indotto petrolifero, in particolare in Sicilia per quanto riguarda il polo chimico di Priolo/Augusta e in Sardegna nella raffineria Saras di Sarlux (Cagliari).

La maggiore concentrazione di situazioni di crisi è nel Mezzogiorno del Paese e nelle Isole maggiori, l’area del Paese che maggiormente necessità di politiche industriali che puntino alla modernizzazione delle infrastrutture e investimenti che aiutino le imprese a fare il salto tecnologico”, spiega Roberto Benaglia, segretario generale della Fim Cisl. “Per tutte comunque c’è bisogno di interventi urgenti di liquidità che permettano di preservare l’occupazione e agganciare la ripresa, continua il sindacalista. 

ALLUMINIO E ACCIAIO 

Dei 47 tavoli di crisi aperti al Ministero dello Sviluppo economico, la maggior parte riguarda crisi storiche “per le quali o non c’è continuità di impegni al cambio di governo o l’investitore si rivela inaffidabile”, evidenzia la Fim Cisl. I settori più colpiti sono siderurgia e alluminio, con vertenze aperte da oltre 5 anni. Impossibile non citare la situazione dell’Ex-Ilva che il sindacato definisce “la madre di tutte le crisi”. Dopo l’accordo siglato nel 2018 con Arcelor Mittal e la successiva intesa firmata a marzo del 2020 che ha stabilito l’ingresso dello Stato nell’assetto societario, tutto è ancora in alto male. 

“Ci sono poi il polo dell’ex-acciaieria di Piombino oggi JSW, l’ex-Alcoa di Portovesme oggi di proprietà di Sider Alloys e, infine, l’Acciai Speciali di Terni, messa in vendita da ThyssenKrupp. A queste si somma tutta una serie di piccole fonderie e impianti di laminazione e lavorazione sparsi in tutt’Italia che sono in concordato o in crisi”, si legge nel report.

GLI ALTRI SETTORI 

Nel settore degli elettrodomestici rimane alta l’attenzione sulla crisi della Whirlpool di Napoli, mentre nell’automotive, oltre alle storiche vertenze della Blutec di Termini Imerese (ex-Fiat) e della ex- Iribus (Industria Italiana Autobus IIA), oggi alle preoccupazioni del crollo del mercato dell’automotive del 2020 si sommano in prospettiva quelle legate alla transizione ecologica del settore. Tra le vertenze aperte, la Fim Cisl segnala “la cassa integrazione nel mese di febbraio del sito di Melfi del Gruppo Stellantis per la mancata fornitura di chip. Da questo punto di vista sarebbe utile un ragionamento di filiera con le uniche due aziende produttrici di semiconduttori presenti in Italia: STM di Catania e Lfoundry di Avezzano”.

Per quanto riguarda il settore aeronautica, preoccupa la situazione di forte crisi che stanno vivendo le aziende legate alla manutenzione del trasporto aereo. Si tratta di aziende ad alta specializzazione, per lo più concentrate tra Campania e Puglia. Una situazione analoga si registra rispetto all’indotto dei grandi petrochimici nazionali, dove sono presenti molte aziende del settore metalmeccanico che si occupano di manutenzione degli impianti. 

Ci sono poi alcune situazioni di crisi storiche nel settore del revamping ferroviario (ex-Firema, Ferrosud, keller) e del settore dell’aerospazio e dell’ITC.

“Dopo l’annus horribilis della pandemia che purtroppo ancora stiamo vivendo, nel solo settore metalmeccanico, registriamo nel nostro Report sulle crisi 56mila tra lavoratrici e lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro e sono quelli legati ai 52 tavoli di crisi nazionali aperti al Ministero dello Sviluppo Economico e ai 47 tavoli Regionali”, afferma Benaglia. “Non ci aspettiamo certo, che le cose si risolvano con la bacchetta magica, ci vuole dialogo e collaborazione. Per questo chiediamo al Ministro una presa in carico di queste crisi ridotando il Ministero ‘dell’unità di crisi’. Serve concentrare maggiormente gli sforzi, risolvere le vertenze storiche in termini di politiche industriali e di filiera, sgravi, liquidità e investimenti, per dare la possibilità a queste aziende di superare quest’anno e agganciare la ripresa e mantenere i livelli occupazionali”, conclude il segretario generale della Fim Cisl.

Oggi, venerdì 26 marzo i sindacati dei metalmeccanici, Fim, Fiom e Uilm, sono in presidio a Roma, davanti al Mise, con le delegazioni di lavoratori delle maggiori aziende metalmeccaniche in crisi provenienti da tutt’Italia.

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