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Medie imprese industriali: 20 anni di successi, ma si può fare a meno delle grandi?

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Italiane, indipendenti, industriali e a conduzione familiare. Sono queste le caratteristiche delle 3.316 medie imprese prese in esame da Mediobanca e da Unioncamere nell’indagine sul periodo 2006-2015, dalla quale emerge che il tessuto produttivo italiano più forte è esattamente quello legato alla media impresa, quella che ha meglio resistito alla crisi e che – a differenza della piccola e della grande impresa, che sono meno produttive di quelle europee – fa meglio degli altri competitor continentali.

Se è dunque vero che piccolo non è bello, il meglio non arriva sempre e solo dal grande: “Crescere, per la media dimensione, non è un obbligo, dati alla mano”, spiega Barbaresco, direttore dell’Ufficio Studi di Mediobanca, che però rileva anche che “la tendenza deve essere a crescere, perché di conseguenza aumenta la produttività”. Nel decennio 2006-2015, cioè negli anni sostanzialmente della grande crisi, le medie imprese italiane, quelle con forza lavoro tra 50 e 499 unità e un volume di vendite tra i 16 e i 355 milioni di euro, sono quelle che hanno visto maggiori crescite percentuali della profittabilità e del fatturato: tra gli aggregati presi in esame da Mediobanca oltre a loro sono state virtuose solo quelle del made in Italy, mentre sono andate male le aziende pubbliche e hanno fatto fatturato ma non margine operativo i grandi gruppi manifatturieri. “Il fatturato – ha rilevato Barbaresco – è cresciuto del 25%, più del triplo rispetto alla manifattura di medio-grande e grande dimensione (+8%)”.

Del resto i numeri di questa base produttiva italiana non lasciano spazio ad equivoci: rappresentano, secondo l’indagine Mediobanca-Unioncamere, il 18% del valore aggiunto della manifattura italiana, il 62% della produzione made in Italy, nel decennio preso in esame hanno raddoppiato il fatturato, aumentato del 176% l’export e del 28,6% i dipendenti, mentre nello stesso periodo la manifattura italiana nel suo insieme ha perso valore aggiunto per il 7,6% e perso il 16,7% dei dipendenti. Le medie imprese primeggiano anche sulla solidità finanziaria: oltre il 70% di loro sono considerate investment grade, solo il 2,8% sono valutate come fragili. Si occupano principalmente, per il 38%, di meccanica, uno degli assi nella manica del made in Italy, poi per il 21,4% di beni per la persona e per la casa, per il 14,4% di chimico e farmaceutico (in particolare il farmaceutico cosmetico), la nuova eccellenza italiana che relega al quarto posto il food con il 13,9%. In contrazione editoria e metallurgia.

“Il contributo delle medie imprese industriali italiane alla manifattura del Paese – spiega Barbaresco – non si limita però al valore aggiunto: rappresentano anche il 18,8% del fatturato e il 18,5% dell’export”. Dati che hanno registrato anche valori più alti prima della crisi del 2008, ma che partivano dal 12-15% di vent’anni fa, quando hanno iniziato a essere prese in esame. Per il 2017, Mediobanca prevede un “sensibile aumento” del fatturato per il 53% delle imprese, mentre meno di una su dieci registrerà una diminuzione. Idem per l’export: il 90% delle imprese esaminate avrà o un aumento o un dato stazionario, e il 90% di loro esporta, ricavandone oltre la metà del proprio fatturato.

Ma dove sono collocate, in Italia e all’estero, queste imprese? Quasi tutte al Nord e al Centro-Nord. Al Nord (comprese Liguria e Emilia-Romagna) sono l’80% del totale, concentrate soprattutto tra Lombardia e Veneto, l’11,6% è nel triangolo Toscana-Marche-Umbria e meno di una su dieci è situata nel Meridione. Per quanto riguarda le controllate all’estero, cresce dal 1998 ad oggi è cresciuta la tendenza a dislocare fuori dall’Europa: nel 1998 due controllate su tre erano nell’Ue, oggi sono la metà, con l’Asia che è salita quasi al 20%. “Ma la tendenza – ha spiegato il direttore dell’Ufficio Studi Mediobanca – è quella a riportare la produzione in Italia. Ogni dieci siti produttivi delle medie imprese è sul territorio nazionale, e la spinta alla delocalizzazione si è esaurita già nel 2012”. E le basi produttive estere non sono necessariamente in Paesi a basso costo del lavoro: solo il 55% si trova in Paesi in via di sviluppo, il resto in economie mature. L’export, invece, rimane principalmente orientato al mercato Ue (87%, +10% nel 2017) e Usa (31,7%, +18% nel 2017): cresce più lentamente la Cina (17,8%, +4% nel 2017), cala la Russia (7,7%, -5% nel 2017).

Infine, la sfida dell’innovazione tecnologica e della cosiddetta Industria 4.0. “Il focus realizzato quest’anno sul tema di Industria 4.0 – ha detto Ivan Lo Bello, presidente di Unioncamere – conferma che la maggioranza delle medie imprese interpellate sono consapevoli del ruolo chiave della trasformazione digitale per la competitività”. Il 61% di loro, infatti, accederà al credito d’imposta previsto dalla legge per gli investimenti in innovazione, anche se dall’indagine di Unioncamere risulta che meno della metà di loro sta affrontando il tema in maniera strutturata. Investono in ricerca e sviluppo il 24,5% delle medie imprese, anche se spesso non si tratta di investimenti rilevanti, e molte delle altre ancora non sono consapevoli della rivoluzione 4.0: solo il 20% ha avviato dei progetti, il 6,4% li ha già ampiamente introdotti, ma soprattutto emerge che il 34,2% non ne ha alcuna conoscenza e il 7,4% non ha nemmeno ancora affrontato il problema.

Sul tema del rischio occupazione, Unioncamere ha stabilito che grazie all’innovazione gli occupati non diminuiranno nel 27% dei casi, aumenteranno nel 14,4% dei casi (+21,1% nel caso degli occupati qualificati), diminuiranno solo nell’8,3% dei casi. Ma soprattutto, aumenterà del 30,7% la produttività degli occupati: “Industria 4.0 – ha chiuso Lo Bello – consentirà di avere maggior successo sotto il profilo economico e di accrescere la qualificazione dei propri dipendenti”.

A chiudere la presentazione è stato il presidente di R&S Mediobanca, Giorgio La Malfa, secondo cui l’indagine testimonia che per le medie imprese italiane “la crisi è ormai alle spalle. C’è un margine di crescita per l’economia italiana, ma resta un grande interrogativo: al di là della virtuosità delle medie imprese, l’Italia può davvero fare a meno delle grandi?”.

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Categories: Economia e Imprese